Nel 1972 un libro ha scatenato il più grande dibattito sul futuro dell’umanità. Si trattava di I limiti dello sviluppo, un report sullo stato complessivo del pianeta Terra, che metteva in guardia verso ipotetici scenari futuri. Il libro, di circa 200 pagine, era stato commissionato dal Club di Roma — un’associazione di scienziati, umanisti e imprenditori legati dalla comune preoccupazione per la situazione mondiale — ed è diventato un best seller, tradotto in più di 30 lingue.
A colpire il grande pubblico è stato uno degli scenari proposti dagli autori, che delineava come, procedendo anno dopo anno con gli stessi ritmi di crescita di sempre, l’umanità sarebbe giunta al collasso nel corso del Ventunesimo Secolo.
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Il 17 e il 18 ottobre scorsi, il Club di Roma ha festeggiato il 50° anniversario della sua fondazione, con un summit di due giorni e la presentazione di un nuovo rapporto — Transformation is feasable — che illustra gli scenari in cui potrebbe ritrovarsi l’umanità nei prossimi 30 anni. E non c’è da stare allegri.
Il pensiero, le relazioni e le vicende che hanno portato alla fondazione del Club di Roma e alla stesura del rapporto vanno ricondotti alla figura di Aurelio Peccei, dirigente d’impresa italiano nato a Torino nel 1908. Considerare le singole crisi come sintomi di una crisi globale, prendersi cura del pianeta Terra prescindendo dagli interessi politici contingenti, pensare al futuro con una visione unitaria, sono alcune delle idee maturate da Peccei nel corso degli anni e durante i numerosi viaggi di lavoro — prima per conto di FIAT, poi per Olivetti, di cui è diventato amministratore delegato nel 1964.
Il Club di Roma è stato fondato nell’aprile del 1968 da Peccei e, fra gli altri, dallo scienziato scozzese Alexander King. Deve il suo nome al luogo in cui si è svolto il primo incontro, presso la sede dell’Accademia dei Lincei a Roma. Lo scopo era istituire una realtà capace di individuare e suggerire le possibili soluzioni ai problemi e ai cambiamenti globali.
Peccei si è messo subito alla ricerca di un modello scientifico — e di fondi — per analizzare i possibili futuri dell’umanità. La figura che poteva soddisfare queste aspettative era Jay Forrester, ricercatore al MIT di Boston e tra i fondatori della Dinamica dei Sistemi, la scienza che studia l’interazione fra sistemi complessi. Nella riunione del Club di Roma che si è svolta il 29 giugno 1970 a Berna, Forrester ha suggerito di costruire un modello che simulasse le interazioni fra i principali fattori considerati alla base dei problemi dell’umanità, e che ne dimostrasse le relative conseguenze — in altre parole, ciò che Peccei e gli altri membri del Club stavano cercando.
In meno di un mese Forrester ha presentato il primo modello — chiamato World 1 — che evidenziava come, in un mondo di dimensioni finite, la continua crescita di variabili come inquinamento e popolazione avrebbe condotto prima o poi al collasso. Convinti che questo risultato preliminare legittimasse la preoccupazione per le sorti del pianeta, i membri del Club di Roma hanno insistito per raffinare lo studio.
Forrester ha incaricato del compito collega Dennis Meadows. Meadows ha così radunato un’equipe di ricercatori giovanissimi (l’età media era di 26 anni), per sviluppare un modello con cinque variabili: crescita demografica, produzione alimentare, industrializzazione, inquinamento e consumo di risorse non rinnovabili.
Il modello, denominato World 2, era il seguente:
Gli autori del rapporto, Donella H. Meadows, Dennis L. Meadows, William W. Behrens e Jørgen Randers, hanno dato per assunto che il trend di crescita esponenziale delle cinque variabili sarebbe continuato inalterato nei decenni successivi — indagando però la possibilità di raggiungere un equilibrio sostenibile modificando alcune tendenze dei cinque indicatori.
I ricercatori hanno descritto vari scenari e fornito quelle che — impropriamente — sono state chiamate “previsioni.” Lo scenario denominato “standard run” — in cui l’andamento dei cinque indicatori non viene modificato — illustrava la concreta possibilità che l’intero sistema “mondo” sarebbe collassato nel corso del Ventunesimo Secolo.
Gli autori sono stati accusati di catastrofismo, ma il messaggio che volevano lanciare era diverso e ben più profondo. Dennis Meadows, durante la presentazione del libro avvenuta a Washington il 2 marzo 1972, ha riassunto in cinque punti le vere conclusioni di I limiti della crescita:
1 — Ci sono limiti fisici alla crescita che, al ritmo attuale ( del 1972, n.d.a.), verranno probabilmente raggiunti già nel corso della vita dei nostri figli;
2 — Se operando scelte a breve termine continueremo a ignorare questi limiti, essi saranno inevitabilmente superati con conseguenze catastrofiche;
3 — L’unica alternativa è riequilibrare l’incremento demografico e la produzione materiale con l’ambiente e le risorse;
4 — Ci vorranno dai 50 ai 100 anni per raggiungere questo equilibrio;
5 — Ogni anno perso nel perseguimento di questi obiettivi rende una transizione ordinata verso una situazione di equilibrio sempre più difficile, riducendo le nostre opzioni.
In un attimo, i ricercatori e il Club di Roma si sono ritrovati al centro di una controversia mondiale. Questa improvvisa fama ha però attirato l’attenzione del pubblico e il supporto di importanti personalità politiche come Maurice Frederick Strong — presidente della prima conferenza ONU sul clima, indetta a Stoccolma, nel 1972 — o Sicco Leendert Mansholt, allora presidente della CEE.
Il Club di Roma aveva raggiunto uno degli obiettivi prefissati — farsi ascoltare — e Peccei ha potuto indire nel 1974 a Salisburgo una riunione tra esponenti del Club e alcuni capi di stato, fra cui il presidente del Messico Luis Echeverría, il primo ministro del Canada Pierre Trudeau e il primo ministro svedese Olof Palme. Quest’ultimo, pur in buona fede, ha mosso una critica chiave: in base al modello proposto dai ricercatori del MIT, qualsiasi governo che adottasse le politiche severe e impopolari necessarie per raggiungere la sostenibilità, non avrebbe avuto alcuna speranza di essere rieletto. Trovare un compromesso, in altre parole, era inevitabile.
Negli anni successivi, gli autori si sono resi amaramente conto che i tempi non erano maturi. Allora, a differenza di oggi, mancava del tutto la “tangibilità” dei limiti e delle conseguenze di uno sviluppo dettato da dinamiche esponenziali. I critici e gli oppositori de I limiti dello sviluppo hanno bollato gli autori come profeti di sventura. In particolare l’ex presidente americano Ronald Regan, in più occasioni, ha proclamato che le conclusioni del rapporto erano del tutto errate e che non esisteva alcun limite allo sviluppo e al progresso. Così — per due decenni e al netto degli eventi storici — le cose sono proseguite, in sostanza, secondo lo “standard run.”
La pioggia di critiche ha però convinto Peccei a insistere per approfondire le indagini. Da allora, il Club di Roma pubblica con regolarità rapporti e studi metodologici sui limiti del pianeta, analisi sulle migliori pratiche di governance e riflessioni sui valori fondamentali per il futuro.
All’inizio degli anni ’90, gli autori di I limiti della crescita si sono domandati che scenari avrebbero ottenuto passati 20 anni senza alcun provvedimento preso per modificare la crescita delle prime cinque variabili. La risposta è compilata in Oltre i limiti dello sviluppo, una sorta di aggiornamento del primo testo, in cui Donella Meadows, Jorgen Randers e Dennis Meadows giungono alla conclusione che immaginate: i limiti del pianeta erano stati superati.
“Il vero problema adesso è il tempo a disposizione — perché è già scaduto.”
Da allora, il dibattito sul presente e sul futuro del pianeta Terra si è sviluppato sempre più, così come le azioni concrete e l’impegno delle nazioni. Proprio nel 1992, si è tenuta a Rio de Janeiro la prima conferenza mondiale dei capi di Stato sull’ambiente; cinque anni dopo, è stato redatto lo storico protocollo di Kyoto per la riduzione di emissione di inquinanti, ratificato da 192 nazioni ed esteso con ulteriori obiettivi con l’accordo di Doha del 2012.
I traguardi politici, il fiorire di una miriade di iniziative e la maggiore consapevolezza globale rispetto al passato non sono stati però sufficienti. Già a Doha, Connie Hedegaard, Commissario europeo per l’Azione per il Clima, ha dichiarato: “siamo convinti che il tempo stia scadendo,” riferendosi all’intervallo necessario per attuare provvedimenti ed evitare le consueguenze catastrofiche del cambiamento climatico.
Nel 2015, l’ONU ha approvato l’Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile, i cui elementi sono stati riassunti nei “17 punti per lo sviluppo sostenibile” — tra lotta a povertà, fame, disuguaglianze, conservazionismo ambientale e promozione di economie globali sostenibili. Lo stesso anno, quasi 200 nazioni hanno siglato l’Accordo di Parigi per la riduzione delle emissioni di gas serra con il fine di contenere il riscaldamento medio del pianeta entro la soglia massima compresa tra 2°C (obiettivo minimo) e 1,5°C (obiettivo desiderabile).
A ottobre 2018, l’UNFCC ha pubblicato un report curato da più di 90 autori ribadendo la differenza che solo mezzo grado può fare: un mondo a +2°C avrà infatti conseguenze ben più gravi per l’umanità — tra siccità, epidemie, aumento della mortalità infantile e disastri ambientali senza precedenti.
Ora, il nuovo report pubblicato dal Club di Roma, Transformation is feasable, “tratta il come raggiungere gli obiettivi di sviluppo sostenibile promossi dall’ONU e suggerisce, di nuovo, alcuni possibili scenari futuri,” ha spiegato a Motherboard al telefono Gianfranco Bologna, direttore scientifico di WWF Italia e segretario generale della Fondazione Aurelio Peccei, che rappresenta il Club di Roma in Italia.
“Gli scenari che verranno adottati nel futuro e il modo con cui si affronteranno o non si affronteranno i problemi che oggi abbiamo di fronte, modificheranno la fattibilità dei famosi 17 obiettivi, affinché la sostenibilità diventi qualcosa di concreto e non solo qualcosa di teorico. Purtroppo la gravità della situazione è tale per cui la reazione che c’è oggi è del tutto insufficiente. È più che mai necessaria una vera e grande mobilitazione,” ha avvertito Bologna, “perché non possiamo più girare attorno al concetto che era in noce a I limiti della crescita e a tantissimi altri rapporti del Club di Roma: il modello economico che conosciamo non è assolutamente adeguato alla realtà odierna e va cambiato.”
Il nuovo report propone quattro possibili scenari futuri per il pianeta Terra ed è stato curato da Jörgen Randers, Per-Espen Stoknes e Johan Rockstörm — già autore di uno studio pubblicato nel 2009 su Nature che introduceva il concetto di “limite planetario,” ovvero l’insieme di 9 soglie di altrettanti processi chiave per il sistema Terra, che l’essere umano può manipolare.
Il documento si basa su un nuovo modello, chiamato Earth3, che calcola gli “effetti” sui 17 punti per lo sviluppo sostenibile di sette regioni del mondo e ne valuta per ciascuna l’impatto sui nove limiti planetari. “Il primo satellite Landsat per l’osservazione della Terra è stato lanciato qualche mese dopo la pubblicazione de I limiti dello sviluppo. Il team di ricerca di allora non aveva neanche una minima percentuale delle informazioni che sono disponibili oggi e che sono state utilizzate per questo nuovo report,” ha spiegato a Motherboard per telefono Bologna. “Paradossalmente, però, ci troviamo in una situazione ben peggiore di allora. Non teniamo ancora in conto, ad esempio, della perdita di biodiversità in termini di valore. Sarà necessario trovare una soluzione politica globale se vogliamo anche solo provare a conquistare i 17 punti per lo sviluppo sostenibile.”
“Le persone che abbiano impedito, anche con la menzogna, una reazione globale contro il cambiamento climatico, verranno giudicate come persone che si sono macchiate di un crimine contro l’umanità.”
Per quanto un traguardo del genere — con il ripristino dell’integrità della nostra biosfera e il raggiungimento della sostenibilità e della salute per l’umanità tutta — appaia pressoché impossibile nell’immediato futuro, è interessante considerare gli scenari proposti dal report.
Scenario 1 – Tutto procede come sempre (Same)
Le nazioni del mondo continuano a portare avanti le proprie politiche senza sostanziali modifiche. I governi che operano per conformarsi ai 17 punti per lo sviluppo sostenibile non reggono il malcontento della cittadinanza. Nel 2025 le diseguaglianze economiche sono sempre più accentuate e c’è grande instabilità politica, tra nazionalismi e forti spinte anti-globaliste che sfociano in conflitti. Nello stesso periodo e nei due decenni successivi gli eventi climatici estremi diventano quasi comuni. Il tasso di urbanizzazione è in crescita costante e le principali megalopoli del mondo sono al collasso. Nel 2050 vengono raggiunti solo 11 dei 17 punti per lo sviluppo sostenibile ma, al contempo, gran parte dei limiti planetari è abbondantemente superata. L’umanità si prepara a vivere decenni difficili, all’insegna dell’instabilità sociale e degli sconvolgimenti del clima.
Scenario 2 – Accelerazione della crescita economia (Faster)
L’idea dominante è che una crescita più veloce possa finanziare le manovre per raggiungere i 17 punti, eliminando la povertà, la fame e le conseguenze del riscaldamento climatico. La maggioranza dei governi sposa questa idea e intensifica lo scambio commerciale, gli investimenti e lo sviluppo tecnologico. Dapprima sembra funzionare, ma, gradualmente, le ineguaglianze sociali ed economiche aumentano. Contemporaneamente, l’impatto della crescita economica potenziata impatta l’ambiente. Dimenticato il concetto di “consumo responsabile,” l’inquinamento aumenta e causa danni maggiori del primo scenario. Nel 2050 l’umanità è contraddistinta da enormi ineguaglianze regionali e le catastrofi naturali sono costanti. Milioni di esseri umani migrano verso le zone del pianeta meno colpite dal cambiamento climatico.
Scenario 3 – Un forte impegno su più fronti (Harder)
Nel 2020, durante l’Assemblea Generale dell’ONU, emerge chiaramente l’impossibilità di raggiungere i 17 punti attraverso una crescita economica tradizionale. Nel corso degli anni Venti si diffonde l’idea che sia necessario adottare un nuovo modello di crescita economica, sostenibile e rispettosa dell’ambiente. Non si tratta, però, di un cambio di marcia radicale e alcune logiche di crescita adottate nel Ventesimo Secolo permangono. Vengono attuate politiche forti su ambiente, economia e salute, ma raramente sono coordinate globalmente. Spesso, anzi, al miglioramento in un ambito corrisponde una assenza di iniziative in un altro. Dopo un decennio dove le principali diseguaglianze sembrano essere destinate a scomparire si assiste a un’inversione di tendenza, come se il peggio fosse stato solo rinviato. La grande battaglia è nei confronti degli effetti del cambiamento climatico, sempre più devastanti.
Scenario 4 – Una trasformazione globale radicale (Smarter)
È il 2020 e i governi delle nazioni colgono di sorpresa osservatori e giornalisti intraprendendo politiche estremamente coraggiose. Il fine è operare una transizione verso la sostenibilità sinergica in tutto il mondo. Per raggiungere i famigerati 17 punti è necessario dimezzare l’uso del carbone a ogni decennio, rendere sostenibili produzione e consumo alimentare, introdurre nuovi meccanismi di sviluppo nelle nazioni povere e contromisure drastiche alle disuguaglianze, attuare provvedimenti in materia di educazione, uguaglianza di genere e pianificazione familiare. Lo sforzo è immenso ma l’umanità — ormai del tutto connessa alla rete internet — nel 2050 ha raggiunto 15 dei 17 obiettivi per lo sviluppo sostenibile e sta gradualmente rientrando dentro ai limiti planetari.
Il report pone l’accento sulla necessità di incentivare il dialogo e la collaborazione evitando qualsiasi chiusura. Purtroppo, oggi “sta accadendo esattamente l’opposto di quello che dovrebbe essere il governo del bene comune,” ha dichiarato Bologna. “Penso che le persone che abbiano impedito, anche con la menzogna, una reazione transnazionale e globale contro gli effetti del cambiamento climatico, ad esempio, verranno in futuro giudicate come persone che si sono macchiate di un crimine contro l’umanità. In ogni caso, il vero problema adesso è il tempo a disposizione — perché è già scaduto.”
A novembre 2018 si terrà la UN Biodiversity Conference, mentre a dicembre avrà luogo la Conferenza delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici — COP24. Si tratta di due appuntamenti chiave per capire verso quale “scenario” l’umanità andrà incontro. La vera sfida sarà cambiare il modo con cui gran parte degli esseri umani pensa al pianeta Terra. Per il momento, ricordano gli autori dell’ultimo report del Club di Roma, viviamo ancora in un mondo dove sembra che “tutti sappiano ma nessuno voglia capire” la magnitudine della trasformazione necessaria.
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