Andare alle Poste per sbrigare delle commissioni è una di quelle cose che nessuno vuole mai fare, a meno di non essere pensionati il primo lunedì del mese. Ma a volte capita, e bisogna fare i conti con l’intricato sistema di chiamata numerica, il timore di aver sbagliato a compilare qualche parte del bollettino e la possibilità che uno dei suddetti pensionati decida di farsi sistemare l’intera rubrica approfittando della necessità di una ricarica.
Dato che tutta la questione viene vissuta come un dramma personale, abbiamo pensato che per una volta poteva essere utile dar voce a chi invece allo sportello ci staziona. Elena* è un’impiegata postale di un paese dell’Abruzzo che svolge questo lavoro da quasi trent’anni.
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Abbiamo parlato di pregiudizi sulla categoria, dei famigerati concorsi delle poste e del perché in pochi sanno che all’ufficio postale i pacchi li vendono davvero.
VICE: Come sei diventata un impiegato postale?
Elena: All’epoca ho fatto un regolare concorso mentre frequentavo l’università. Mi ricordo che il test verteva su nozioni di diritto, geografia, dattilografia e matematica. Adesso entrare in poste è diverso, un po’ com’è diverso anche il lavoro in sé: prima era tutta una questione di accettazione di bollettini, lettere e raccomandate; adesso invece facciamo di tutto, dalla telefonia mobile agli investimenti.
Quali sono i clienti tipo?
Dipende molto dalla zona in cui lavori, ma credo che alcuni clienti siano gli stessi un po’ ovunque. Le categorie che vanno per la maggiore sono sostanzialmente due: da un lato gli anziani che vengono soprattutto il primo lunedì del mese per ritirare la pensione, dall’altro i giovani che usano la prepagata per le spese. Poi gente di qualsiasi estrazione che viene per pagare le bollette, spedire raccomandate e pacchi.
A proposito dei pacchi, li avete o non li avete?
Non so perché molta gente abbia ancora dei dubbi al riguardo, ma da noi sono disponibili confezioni pre-affrancante sia per l’Italia che per l’estero. Ci sono scatole di varie dimensioni: la più piccola può contenere al massimo un libro, quella più grande può trasformarsi in un pacco da fuori sede zeppo di lasagne, sottovuoti e insaccati.
Mentre qualcuno viene prima a comprare i pacchi e poi torna per spedirli pieni, altri vengono addirittura con dei bustoni da cui inscatolano direttamente le robe che vogliono spedire. Saranno ormai più di cinque anni che abbiamo i pacchi: forse è per questo che non tutti ne sono ancora al corrente e continuano a chiederli nei supermercati.
Pacchi a parte, cosa non può mancare sulla scrivania di un impiegato alle poste?
Diciamo che computer e stampante fanno parte della dotazione del lavoro basilare. Poi ovviamente cancelleria varia, penne, forbici e matite. Invece non si possono mettere effetti personali: finché si tratta di una piantina per abbellire un attimo sì, ma non si possono sistemare fotografie di vacanze o cose del genere, né in postazione né alle pareti. È una regola generale che vale per tutto il settore pubblico.
E perché pestate così tanto sui timbri?
Perché i datari in realtà non sono dei timbri di gomma e di conseguenza per fare in modo che lo stampino venga leggibile bisogna applicare una certa pressione. Per esempio se vieni a ritirare un atto giudiziario, una multa, è importante che ti metta il timbro con la data visibile, perché da quella data intercorreranno i giorni dal pagamento utile. Si tratta di una cosa pratica, giuro che non lo facciamo per far scena.
Qual è la cosa più matta mai successa in posta?
Di contrattempi ne capitano, ma nulla di irreparabile. L’aneddoto che ricordiamo più spesso recentemente è questo: qualche tempo fa un cliente anziano a cui era stato chiesto di firmare “per esteso” ha scritto “per esteso” e basta. Gli hanno dovuto dare un modulo nuovo dicendogli di firmare con nome e cognome.
E poi c’è gente che confonde mittente e destinatario.
Questo più che matto è preoccupante. Cosa pensi dei postini e dei pregiudizi su questa categoria?
Sinceramente noi impiegati postali abbiamo poco a che fare coi postini, perché il lavoro è strutturato in maniera differente rispetto a una volta: non siamo più a stretto contatto e il rapporto è quasi a zero. Posso dire solo questo: che il lavoro del postino, checché se ne dica, non è un lavoro semplice. Perché la mole di posta che gira è tanta, capita che gli indirizzi non siano corretti o completi, e se non ti occupi sempre della stessa zona non riuscirai mai a memorizzare tutti i nominativi dei destinatari. È innegabile che la maggior parte della posta sia pubblicità che poi viene quasi tutta gettata ma anche quella va consegnata. Dico tutto ciò con cognizione di causa, perché ho iniziato anche io come postina.
Come funziona invece il software che “chiama” i numeri, visto che a una certa compaiono sempre sigle sconosciute che hanno in due?
Diciamo che ad ogni servizio dovrebbe essere associata una sigla: se devi pagare un bollettino ti viene data una sigla specifica con un numero associato, se devi ritirare qualcosa un’altra ancora e così via. Credo che questo sia piuttosto chiaro a chiunque, ma forse lo è molto meno il perché alcune persone vengano chiamate molto prima di altre. In questo caso potrebbe trattarsi di clienti che sono anche correntisti postali e che quindi hanno un’agevolazione una volta inserita la propria tessera prima di ritirare il numero. È un po’ come il fast-track in aeroporto.
Perché c’è questa idea che la gente che lavora alle poste non faccia un cazzo?
Diciamo che una volta poteva anche essere così, nel senso che la gamma dei servizi era talmente stretta che avevi “poco da fare” e magari nell’ufficio in cui lavoravi il personale era abbastanza.
Adesso invece il personale è davvero ridimensionato, alle volte ridotto all’osso, e di conseguenza il lavoro è aumentato di molto. Non me la sento proprio di corroborare luoghi comuni o dire che in posta si fa sempre la fila. Ovviamente dipende anche dalle realtà: a Roma a mio figlio è capitato più volte di aspettare anche un’ora abbondante, mentre un’eventualità del genere capita raramente dove lavoro perché la città è più piccola. La verità è che per far bene le cose, ci vuole il tempo che serve.
Tutti hanno qualche nonna/zia/madre che ha cercato di convincerci a provare i fatidici “concorsi alle poste”. E anche se dici che lavorate davvero alla fine tanti ci metterebbero la firma per lavorare alle poste. Da cosa deriva secondo te questo interesse?
Potrebbe derivare dal fatto che noi impiegati postali facciamo dei turni giornalieri di sei ore, che ci permettono in sostanza di avere la mattinata o il pomeriggio libero. Lavoriamo anche il sabato ma ci si abitua, resta un buon orario che ti lascia tempo da dedicare alla casa, alla famiglia, a eventuali hobby.
Un altro motivo potrebbe essere che si tratta di un posto fisso. Ma la verità è che, almeno nella mia zona, non ci sono concorsi da diversi anni.
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