Dopo nove giorni di blocchi e proteste, il 18 dicembre doveva essere la Grande Calata su Roma del movimento #9 dicembre. La spaccatura all’interno del Coordinamento nazionale e le relative defezioni di Lucio Chiavegato (presidente di LIFE) e Mariano Ferro (leader del Movimento dei Forconi) hanno tuttavia ridimensionato la portata dell’impresa, affidata solo a Danilo Calvani e ai suoi accoliti. Secondo la Questura di Roma avrebbero dovuto esserci 15mila manifestanti; secondo gli organizzatori, la cifra astronomica di 300mila.
Tra questi, come assicura il “Patrizio Romano Conte Cavaliere di Gran Croce Prof. Fernando Crociani Baglioni di Serravalle di Norcia,” ci sono un centinaio di “Nobili Contadini” e “Monarchici Tradizionalisti (Sabaudi ma anche Borbonici, Asburgici e Papalini). Anche il “barone nero” Roberto Jonghi Lavarini (presidente del comitato “Destra per Milano”), ha promesso di essere a Roma, pronto a replicare la Marcia fascista del ’22 con un sogno nel cuore: “Un colpo di Stato militare? Magari fosse possibile, come quelli dei Colonnelli in Grecia o di Pinochet in Cile.” I tempi, purtroppo, sono cambiati: “I veri colpi di stato oramai li fanno solo le banche private, le borse, le agenzie di rating, l’alta finanza senza volto che, giustamente e con grande lungimiranza, Benito Mussolini denunciava e definiva come plutocrazia internazionale.”
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In mattinata, i manifestanti al presidio permanente in Piazzale dei Partigiani avevano denunciato le prime infiltrazioni del NWO e della Kasta, che avrebbe messo una cimice per ghermire e sopire l’inarrestabile l’onda ribellistica della Nazione.
Insomma, l’attesa per la “Marcia su Roma” è tanta. Ma quando arrivo a Piazza del Popolo alle ore 15, cioè quando nel cielo della Patria dovrebbero sentirsi i rintocchi della Rivoluzione, il colpo d’occhio è assolutamente desolante e la piazza tristemente semivuota.
I manifestanti si guardano attorno, cantano l’inno d’Italia a getto continuo e, nell’attesa che succeda qualcosa, esibiscono i vari cartelli di protesta.
Lo slogan “Tutti a casa” è quello che va per la maggiore.
Anche l’outfit militaresco è particolarmente apprezzato.
Non può mancare, ovviamente, l’ormai leggendaria citazione apocrifa di Sandro Pertini, l’unico Presidente della Repubblica riconosciuto dalla Sollevazione Popolare.
E soprattutto non può mancare lui, il manifestante vestito da D’Artagnan che nei giorni scorsi era stato visto al presidio di Lavello, provincia di Potenza.
Da Porta del Popolo arriva un gruppetto di Italiani Veri che, tra gli applausi degli altri rivoluzionari, sventola bandiere italiane e regge in mano un cartello di difficilissima collocazione politica.
Dal Pincio intanto scende qualche centinaio di militanti di CasaPound—con tanto di maschera tricolore e cappio al collo—al grido inequivocabile di “Italia, Nazione, Rivoluzione”. La folla applaude e saluta con gran calore i fascisti del terzo millennio.
C’è anche Simone di Stefano, vicepresidente di CasaPound, che questo lunedì è stato condannato a tre mesi di reclusione per aver “rubato” la bandiera dell’Unione Europea durante il blitz alla sede di Roma. Di Stefano aveva fatto sapere che il suo movimento sarebbe stato in piazza per chiedere al Presidente della Repubblica di “sciogliere questo Parlamento e un governo che non rappresentano nessuno.” In un’intervista del 17 dicembre, il leader di CasaPound ha dichiarato che “durante il fascismo il lavoro ce l’avevano tutti, qui invece nell’Unione Europea la gente muore di fame. Si stava sicuramente meglio, tutti gli italiani lo pensano.”
A un certo punto noto un temerario che arriva in piazza sventolando una bandiera di Rifondazione Comunista. Appena i manifestanti se ne accorgono partono insulti ed esortazioni a farla sparire. Qualcuno urla: “Questa è una manifestazione apolitica!” Alcuni manifestanti gli si scagliano contro con una certa aggressività per allontanarlo dalla piazza. Un ragazzo riesce a sottrargli la bandiera e tira fuori un accendino per bruciarla. Ma non ci riesce, perché un Italiano Vero lo blocca con fermezza e si porta via la bandiera.
Finito l’estemporaneo momento di tensione ascolto i vari interventi dal palco, che individuano le cause primarie del malessere nel “signoraggio bancario” e nell’Euro, definito una “forma di schiavitù inventata negli Stati Uniti nel 1928” per soggiogare i popoli europei.
La Rivoluzione è iniziata da più di un’ora e non sta succedendo assolutamente nulla. Decido di parlare con un po’ di manifestanti e m’imbatto in Michele, un medico “a partita iva” che si trova in piazza “per protestare per tutta una serie di danni che vengono fatti alle persone che lavorano veramente,” tra cui rientrano “il fatto che ci hanno tolto la nostra sovranità economica e nazionale e il fatto che noi siamo una colonia della Nato.”
In merito alle infiltrazioni e strumentalizzazioni operate dai partiti politici, Michele ha le idee piuttosto chiare: “se oggi qui ci sarà qualche infiltrato, sarà sicuramente qualche infiltrato dei servizi segreti.” Il medico conclude dicendo che “dei Ferro, Calvani e Chiavegato non me ne frega assolutamente nulla. A me interessa il popolo: io faccio parte del popolo, sto qui per il popolo e con il popolo.” Ad ogni modo la protesta, assicura, “andrà avanti e non ci sarà nessuna interruzione.”
Una signora mi spiega le ragioni della sua presenza in Piazza del Popolo: “Siamo qua perché lavoro, libertà, sovranità, onore sono diritti che la legge deve tutelare. Lo dice la Costituzione. Noi vogliamo quello che ci viene negato e deve essere garantito per legge.” Fermo un uomo, un piccolo commerciante che “nella confusione delle ultime elezioni” dice di essersi astenuto, che tenta di spiegarmi chi sono i “forconi”: “Ci sono quelli che hanno votato a lui [Berlusconi], però lui li ha portati alla fame. È gente che non può sentire né Grillo né Renzi, è esasperata. Questa è la voce del Popolo, il risultato che la Casta ha creato.”
Subito dopo aver parlato con il piccolo commerciante guardo il palco e noto con stupore che sta parlando Davide Fabbri alias “Il Vikingo”, personaggio cult che avevo già incontrato mesi fa alla manifestazione in piazza Farnese organizzata da Giuliano Ferrara.
Per la cronaca, quello di fianco al Vikingo è Bruno Di Luia, noto esponente dell’estrema destra romana nonché ex membro di Avanguardia Nazionale (organizzazione neofascista attiva negli anni Settanta e fondata da Stefano Delle Chiaie) che in un’intervista al Corriere della Sera ha detto di essere finito in carcere “20 volte, sempre per la politica” e si è definito “un nazista inferocito.” Tra le imprese recenti del camerata Di Luia si segnala la presenza ai mancati funerali di Priebke ad Albano Laziale, oggetto di un lungo “retroscena” su YouTube.
Nel frattempo arriva Danilo Calvani (non con la Jaguar pignorata, questa volta), e inizia il suo comizio davanti a non più di tremila persone.
“Questa classe di mafiosi, corrotti, delinquenti sta distruggendo il nostro Paese!” esordisce. “Ma noi siamo migliori di questa gente. Per questo il 9 dicembre è iniziata la liberazione del Paese da questi parassiti. Hanno detto che noi siamo i violenti, ma i violenti stanno a 600 metri da noi.” Il leader del Coordinamento ci tiene anche a salutare Papa Francesco, accompagnato dal coro della piazza: “Francesco uno di noi, uno di noi!”
In molti dalla folla chiedono di dirigersi verso Montecitorio; Calvani però placa gli istinti e si avvia alla conclusione: “Oggi metteremo un paletto importante: credo che capiranno che siamo determinati e decisi. Andremo in tutte le piazze italiane, ci conteremo e quando si vedrà che siamo di più in maniera democratica i politici se ne andranno.”
Finito il comizio di Calvani si respira aria di smobilitazione e il freddo si fa sempre più pungente. L’intervento finale è affidato a un uomo vestito da militare, che in cinque minuti nomina almeno una ventina di volte le seguenti parole chiave: Bilderberg, Trilaterale, Aspen, Mario Monti, Mario Draghi, Bce, “Golman Sacs” e altri chiodi fissi del complottismo nostrano. Mancano solo i rettiliani a completare il cerchio.
La “Rivoluzione” iniziata il 9 dicembre finisce dunque così, mestamente, tra le maschere di CasaPound e le tirate contro il signoraggio bancario. Eppure, questa mobilitazione ha rappresentato l’embrione di una protesta fortemente populista inserita in una situazione—come l’ha descritta il centro studi di Confindustria—in cui i danni economici provocati dalla crisi sono “commisurabili solo con quelli di una guerra” e in cui la tenuta del Paese vacilla sempre di più.
I dati parlano chiaro: “Le persone a cui manca il lavoro, totalmente o parzialmente, sono 7,3 milioni, due volte la cifra di sei anni fa. Anche i poveri sono raddoppiati a 4,8 milioni. […] Dall’inizio della crisi (fine 2007) si sono persi 1 milione e 810 mila Ula (Unità di lavoro equivalenti a tempo pieno)”. Secondo l’Istat, una persona su tre in Italia (e una su due nel Mezzogiorno) rischia di entrare—e rimanere—nella fascia di povertà. Il 14,5 percento degli italiani versa in condizioni di “severa deprivazione”, il 21,2 non riesce a scaldare la propria casa, il 42,5 non è in grado di affrontare spese impreviste e il 16,8 non riesce a mangiare “un pasto proteico adeguato ogni due giorni.”
Nonostante il fallimento della manifestazione a Piazza del Popolo e l’incapacità totale dei leader dei “forconi” nel gestire la protesta, il retroterra per l’esplosione scomposta del disagio sociale rimane estremamente fertile e aspetta solo che qualcuno sia in grado di incanalare l’enorme dose di rabbia che ribolle.
Segui Leonardo su Twitter: @captblicero. Foto di Federico Tribbioli.
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