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Cosa rimane di ‘Active Worlds’, il mondo virtuale anni ’90 che era meglio dei social

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Quando sei giovane e freelance, andare in vacanza può essere complicato. Ma se il tuo obiettivo è vivere un’esperienza simile al giro zaino in spalla che si sono fatti i tuoi amici nell’entroterra spagnolo (e conservare quei 200 euro sul conto), una soluzione esiste: partire per un mondo virtuale in 3D degli anni Novanta.

Oggi, internet coincide quasi del tutto con le app che intasano la memoria dei nostri smartphone. 25 anni fa, però, il mondo digitale era descritto da un altro concetto: il metaverso—un vero e proprio spazio collettivo, dove oggetti fisici acquistano proprietà virtuali e viceversa.

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La quintessenza di questa visione ha preso vita nei mondi virtuali 3D. Tra i più longevi c’è Active Worlds, che riprende la forma e i concetti del metaverso descritti da Neal Stephenson nel racconto Snow Crash del 1992.

Per entrare in AW devi aprire un account, scaricare un software specifico, e creare un avatar a cui puoi far indossare capi e accessori usciti direttamente dai primi 2000. L’avatar è ciò che distingue la realtà di AW da quella di un social come Facebook: secondo lo studioso Mark W. Bell, infatti, un mondo virtuale è “una rete permanente e sincrona di persone, rappresentate da avatar, facilitata da computer connessi tra loro.” L’avatar è tale perché ha una capacità d’azione al di là del suo creatore. “Possiamo dire ‘il mio avatar corre verso il castello e uccide il drago.’ Sono azioni separate, compiute dall’avatar. Al contrario, non possiamo dire ‘il mio profilo Facebook ti sta mandando un messaggio’,” scrive Bell.

Poiché volevamo partire in due e la “vacanza” doveva essere immersiva il più possibile per entrambi, abbiamo creato un avatar a testa e ci siamo dati appuntamento nel mondo iniziale, il primo in cui si approda.

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Malgrado nel corso degli anni AW abbia raggiunto oltre 700 mondi disponibili, oggi i più frequentati sono pochi e, più che per esplorare, servono principalmente come zone in cui stare insieme ad altri utenti e chattare. Secondo alcune stime fornite dal forum di AW (non troppo in linea con il traffico visto da noi), durante il periodo delle festività invernali sono stati attivi dai 200 ai 240 utenti giornalieri—di cui tra i 30 e 40 nuovi—e circa 1000 utenti mensili.

Appena entriamo, diversi utenti ci accolgono con messaggi cordiali e ci informano subito che la sera stessa si terrà una festa— AW ha un fuso orario in-game, il VRT, che è tre ore indietro rispetto al nostro. Da anni queste feste sono organizzate le sere del venerdì e del sabato da uno degli utenti più longevi, e tutti possono partecipare: si sceglie il tipo di danza da un pannello e ci si butta in quella che generosamente chiameremo una mischia, seguendo il ritmo delle canzoni scelte con cura dall’organizzatore—nonché DJ—del party.

Mentre i nostri avatar ballano la “Club Dance 11,” noi chattiamo con gli utenti. I trending topic della serata sono: la Prussia e il suo ruolo nella geopolitica tedesca, la cucina italiana, le arti marziali e gli utenti morti di cancro.

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Decidiamo di allontanarci dalla festa per iniziare ad esplorare altri mondi. La prima tappa è AWMyths, uno dei più famosi mondi di AW, un MMORPG fantasy con una lore tutta sua. Tra fortezze, terre elfiche, e sculture che sputano sangue, cerchiamo di scoprire come utilizzare questa parte di metaverso che sembra non essere molto divertente senza altri utenti con cui interagire o combattere. Nonostante non ci sia nessuno a sfidarci, l’interazione con certi oggetti o scritte sembrano sufficienti a ucciderci. Inoltre, nonostante una di queste iscrizioni prometta un’esperienza ultraterrena, noi non riusciamo a capire come accedervi. Ce ne andiamo confusi dopo aver collezionato una serie di “you’re dead!” e “you’re not dead!” troppo alta per il nostro orgoglio.

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Da lì, scegliamo di entrare in Pollen: ci ritroviamo all’interno di quello che una persona che non si è mai fatta un acido ma ha visto un sacco di volte Paura e delirio a Las Vegas crede sia un trip. Il mondo è pieno di funghi con gli occhi, soffitti a pattern intermittenti e messaggi lasciati da chi è passato di lì negli anni.

I mondi di AW vengono prezzati su base annua a seconda della loro grandezza; si parte da 18 dollari per 40.000 mq, per arrivare ai 1.100 dollari dei più grandi. Inoltre, alcuni sono mondi dove è possibile costruire per chiunque, mentre in altri le azioni degli utenti sono limitate. I Public Building World, si legge sulla pagina di informazioni del sito, sono il “pane quotidiano” di AW, “per via del potenziale unico di interazione e sviluppo al loro interno che non esiste in software simili.” Ma trovare terra libera su cui costruire non è stato sempre semplice, evidentemente—al punto che esiste una guida per i nuovi arrivati “che si aspettano di trovare spazio subito.”

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Dopo un breve giro dentro Pollen (che, tra le varie, ci offre un paio di cartelli con su scritto “PENIS”), ce ne andiamo anche stavolta un po’ perplessi, in cerca di spiagge più sofisticate.

Le troviamo in un altro mondo in un cui entriamo, chiamato Mythopia. La dedizione e l’impegno di chi ha creato questo luogo traspaiono in ogni minimo dettaglio: dalle terme romane agli affreschi sui soffitti, passando per ponti, arazzi e la riproduzione di un intero teatro dell’opera. Tra tutti questi palazzi c’è anche un angolo che crea un contatto diretto e inaspettato con la dimensione fisica della realtà, da cui siamo lontani ormai da un paio d’ore: è una piccola cappella affrescata, dedicata alla memoria della madre di un’utente. Restiamo qualche secondo a contemplarla, poi ci spostiamo.

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Lo scorrere del tempo è cristallizzato all’interno degli oggetti stessi di AW e cliccando due volte con il tasto destro si può sapere quando sono stati creati. Gli edifici prodotti di recente affiancano così quelli costruiti nel 1995. Teleportandosi alle coordinate 0N 0W di AlphaWorld, si possono vedere le prime creazioni in assoluto: un’immagine in 2D di un lampione che si spaccia per una sua riproduzione 3D, un viale di alberi e torce che rendono omaggio ad alcuni utenti, un ruscello che si ferma perfettamente dentro i limiti di una recinzione bucata.

Dalla sua creazione, Active Worlds ha vissuto diversi momenti di fama, uno a inizio anni 2000 e un secondo a inizio anni ‘10. Nel 2016, però, lo youtuber Vinesauce lo ha riportato involontariamente in auge dopo aver registrato lì un video poi diventato virale.

Dopo aver incontrato un giocatore scambiandolo per un NPC “risvegliato,” Vinesauce ha descritto AWMyths come una specie di cimitero abbandonato in cui si incrociano solo bot. Si parla spesso dei mondi virtuali come luoghi creepy da esplorare e sfruttare per spettacolo, probabilmente perché si prestano perfettamente a quel senso di superstizione che le vecchie tecnologie ci suscitano. Ma prima che luoghi infestati (o ‘infestabili’), i mondi virtuali sono proprio questo, luoghi: appezzamenti di “terra” permanente più o meno grandi in cui gli utenti hanno riversato per anni tempo e sudore. Dove puoi anche incontrare un utente gentile e felice di mostrarti il suo mondo, salvo poi crashare di continuo e scusarsi dicendo: “Sorry I’m slow, I’m old.”

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Il video di Vinesauce, però, aveva generato un’ondata di interesse da parte di nuovi utenti che volevano ricreare la sua esperienza senza prestare attenzione al mondo in sé, cosa che ai fruitori più anziani (anziani sia per tempo di utilizzo che, a volte, per età anagrafica) non era andata molto a genio. Quella di AW, infatti, è una community che ricorda un paese di campagna, formata però da persone sparse per il mondo, difficilmente sotto i trent’anni d’età, che giocano da decine di anni ( AW esiste dal 1995) e sono abituate a toni di discussione lontani dai flame e dal trolling tipici dell’internet dei social.

E queste persone non hanno nessuna intenzione di andare altrove. A differenza di tanti altri utenti che hanno deciso di approdare in altri metaversi, alcuni degli ActiveWorlders più affezionati provano una sensazione strana nei confronti di altre piattaforme simili, ci raccontano, dove effettivamente mancano tutta una serie di regole e limiti che AW concede. Un aspetto che possiamo confermare noi stessi: quando abbiamo visitato IMVU—un altro mondo virtuale 3D, fondato nel 2004—per colpa delle interazioni preimpostate un utente sconosciuto si è seduto in braccio a uno dei nostri avatar con sembianze femminili, dandoci così la sensazione di essere toccati senza consenso.

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Considerare questi mondi virtuali 3D come videogiochi rischia di essere riduttivo. Certo, una contaminazione esiste: il popolare videogioco Minecraft ha rivoluzionato il settore grazie alla sua meccanica di costruzione di mondi permanenti (o quasi), e alcuni giochi offrono oggi ai propri giocatori la possibilità di tornare nel loro mondo virtuale anche una volta conclusa l’avventura, per puro valore immersivo. Ma il metaverso ha un significato intrinseco che ha a che fare tanto con il perdurare di una comunità online, quanto con la sua radicale contrapposizione a ciò che è diventato internet per la maggior parte delle persone oggi.

Nei mondi di Active Worlds gli avatar sono multiformi, sfaccettati e disconnessi da un imperativo di autenticità—a differenza di quanto prescrivono i social network, dove persino un’attività di apparente sovversione estetica come l’uso dei filtri di Instagram non fa che estremizzare e riverberare la nostra immagine autentica—o presunta tale—in ogni angolo di internet.

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Questi luoghi offrono un modo completamente diverso di raccontare noi stessi e ciò che siamo, ma anche una riflessione su come differenti piattaforme ci facciano percepire in maniere diverse lo scorrere del tempo. Tutti noi usiamo distrattamente Facebook da almeno una decina di anni, ma una bacheca è diversa da un luogo virtuale in cui vivi come nella vita reale o, addirittura, crei qualcosa di tuo. In questo senso, AW serve anche a monitorare il tempo che passa nella sua accezione più nostalgica: non è raro trovare copie di beni fisici, come un cane morto con cui si vuole giocare ancora.

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Questa connessione tra oggetti del mondo fisico e copie digitali è il nucleo dell’esperienza del metaverso. Active Worlds non è un videogioco che ci fa disconnettere dalla realtà per il tempo di una partita, ma è parte integrante della vita delle persone. Il mondo—probabilmente creato da un italiano—con il santino di Cannavaro che alza la coppa dei mondiali ci ricorda che nel 2006 siamo stati campioni anche noi.

La nostra esperienza, invece, ci ricorda che dobbiamo trovare un modo per permetterci una vera vacanza, lontani dall’aria viziata della nostra stanza e da distese di erba di pixel.