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Un’analisi dei profili dei giovani camorristi su TikTok tra carcere, tatuaggi e corse in motorino

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Sul TikTok italiano non è certo raro imbattersi in video di utenti comuni con canzoni neomelodiche vecchie e nuove in sottofondo; è decisamente inusuale, però, vederli girati dentro un carcere. Cosa che è successa lo scorso maggio, quando è apparso un video con in sottofondo “Si sto’ carcerato” di Tommy Riccio—il cui ritornello fa “mi sento più forte quando so che fuori ci sei tu / io sono carcerato per una scelta di vita.”

La polizia penitenziaria ne ha ricostruito la provenienza: la sezione alta sicurezza della prigione di Avellino, dove sono presenti detenuti affiliati alla camorra. I reclusi avevano escogitato un sistema per introdurre gli smartphone fin dentro le celle, nascosti in un pacco di cioccolatini e in un barattolo di pelati riempito con del riso.

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Da lì avevano pubblicato il video su TikTok, arrivando ad accumulare parecchi like e condivisioni (anche su altri social) e dando luogo all’indagine delle forze dell’ordine. Per quanto peculiare, non si tratta però di un caso isolato: da tempo la criminalità organizzata campana fa un utilizzo massiccio di TikTok.

In questi ultimi mesi abbiamo infatti osservato costantemente hashtag e utenti attivi sul social, imbattendoci per l’appunto in questa tendenza. La ricerca per colonna sonora è stata molto utile: un pezzo su tutti, “Paradies Rmx” di Bl4ir (col ritornello “si pass a machin r’è guardie, ra l’avvis”) è il sottofondo di centinaia di video, attraverso i quali abbiamo iniziato a comprendere il fenomeno.

Da quanto abbiamo potuto vedere, TikTok ha ormai soppiantato Facebok e altre piattaforme come canale principale di una certa strategia comunicativa criminale. Allo stesso tempo, non si tratta soltanto di una preferenza tra un social e l’altro: è il riflesso di un cambiamento profondo nella mentalità e nella logica stessa dei clan.

Quando si pensa alla camorra il primo modello a venire in mente è quello familistico e gerarchico, che ormai va avanti da tre secoli. “I gruppi di camorra sono il risultato di un lento processo di formazione,” ha scritto il professore Luciano Brancaccio nel saggio I clan di camorra. “Essi trovano una definizione quando una famiglia conquista una posizione di comando in un settore di traffici, grazie a capacità di carattere imprenditoriale e a una gestione razionale della violenza.”

Questa struttura si riconosce nel cognome del boss di riferimento, da cui deriva il senso di appartenenza familiare: nella divisione di influenza delle zone di Napoli e provincia si è sempre parlato di “territorio dei Nuvoletta,” delle “zone dei Di Lauro,” dei Misso, dei Mallardo, e così via.

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Negli ultimi anni, tuttavia, è in corso un fenomeno criminale inedito: gruppi di giovani e giovanissimi, spesso dello stesso quartiere o addirittura dello stesso vicolo, si associano per “fare i guai.” La relazione 2019 della Direzione Investigativa Antimafia lo definisce  “accademia della camorra,” parlando di un “efficace percorso di formazione e selezione della futura leadership” ed evidenziando come queste nuove bande armate “magari non hanno legami con le organizzazioni criminali ma agiscono con la stessa violenza esasperata.”

In questa difficile ricerca di affermazione criminale, TikTok è uno degli strumenti ideali per farsi pubblicità. “Come tutti i nativi digitali,” ci ha detto il docente Marcello Ravveduto, esperto di rappresentazione mediatica delle mafie, “i giovani camorristi sfruttano al massimo le potenzialità del mezzo, indicando modalità d’uso ignote alle generazioni precedenti.”

Stando ai video che abbiamo consultato, uno dei filoni più riconoscibili è l’esibizione dei simboli distintivi del successo criminale: sono diversi, infatti, i video in cui si mostrano armi, tatuaggi, auto, moto e lusso sfrenato; rigorosamente accompagnati da canzoni neomelodiche o traplodiche.

Anche il senso di fratellanza e “l’onore” sono temi ricorrenti. “Meglio morire che tradire,” recita la didascalia di un utente che mostra fieramente il suo gruppo—o meglio, la sua “paranza.” Un altro utente invece posta un amico dentro una macchina, definendolo “fratm” (fratello), e scrivendo che “il carcere non lo ferma”; il tutto corredato da emoji di catene (la prigione) e di un cuore nero (la tristezza per chi è in carcere).

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A tal proposito, abbiamo notato come ci sia una costante rielaborazione dei significati originari delle emoji.

Oltre a quelli appena citati, nelle didascalie e nei video compaiono leoni (simbolo di forza e aggressività), pistole, occhiolini (riferimento al detto napoletano “zitto a chi sape ‘o juoco”, con allusione al valore del silenzio e dell’omertà all’interno di un gruppo) e anche una coppia di uomini che si tiene per mano—sempre per rimarcare il concetto di fratellanza.

Naturalmente, il carcere e tutto quello che gravita attorno è un argomento costante nei TikTok dei giovani camorristi. Il tema delle scarcerazioni conta, infatti, centinaia di post. In un video, ad esempio, si riprende il momento di ritorno a casa di un uomo con una canzone del neomelodico Nello Amato (“A libertà è ‘a cosa cchiù carnale e doce/pe chi sta carcerato e tiene ‘o core ‘n croce”). In un altro, un utente festeggia la scarcerazione di un amico che viene descritto come il “reggente della piazza” (in gergo, il luogo dello spaccio).

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Se è vero che i primi a usare TikTok in questo modo sono stati i giovani, di fronte a questo nuovo scenario le organizzazioni “familiari” non hanno tardato a reagire—dandosi così una svecchiata su vari livelli per stare al passo con i tempi.

Sul piano “diplomatico,” in base a quanto sottolineato dalla relazione della Dia già citata in precedenza, hanno cercato di incorporare le nuove “paranze” tramite spartizioni più o meno ufficiali di influenze e territori. L’utilizzo della violenza nei confronti dei più giovani è evitato dove possibile, per non attirare l’attenzione mediatico-giudiziaria e non creare nuovi “martiri” alla Emanuele Sibillo (il capoparanza 19enne ucciso nel 2015).

Ma il rinnovamento delle sigle storiche passa inevitabilmente anche per la propaganda mediatica, che si traduce nella capacità di recuperare il terreno perso e reclutare nuove leve. Per questo motivo, TikTok è diventato in breve uno dei canali privilegiati del rebranding criminale.

L’esempio più significativo è quello degli Amato-Pagano, già noti per essere gli “scissionisti” della faida di Scampia dell’inizio del Duemila. Siccome quel nomignolo rimanda all’idea del tradimento nei confronti del clan dei Di Lauro, ora sul social preferiscono rappresentarsi come “gli spagnoli”—un soprannome derivato dal capoclan Raffaele Amato, conosciuto come “lo Spagnolo” dopo aver vissuto da latitante nella Costa del Sol prima di essere estradato in Italia nel 2010.

Recentemente su TikTok sono spuntati video zeppi di simboli di forza e potere, tutti siglati con la bandiera della Spagna e l’emoji della corona. Quelli più impressionanti riprendono una lunga sfilata di scooter che percorre le strade di uno dei feudi storici degli scissionisti nell’hinterland di Napoli.

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Secondo Ravveduto, il caso degli “spagnoli” evidenzia molto bene come le vecchie leve non “rinneghino il proprio passato,” e anzi “lo riaffermano, costruendo una memoria culturale ‘interreale’ che grazie al web si globalizza seguendo la strada del social media marketing.”

Il docente sottolinea anche che “spesso dimentichiamo che tra organizzazioni criminali e social media esiste un punto di contatto: il network. Una rete, materiale e immateriale, che definisce il ‘posizionamento sociale’ nella corrispondenza tra reale e virtuale.”

Per le sue caratteristiche, insomma, TikTok è il social che da un lato permette alla criminalità organizzata campana di autorappresentarsi in maniera estremamente efficace, e dall’altro restituisce la portata del cambiamento in quel mondo. E pur rimanendo fedeli alla tradizione, sia le nuove formazioni che le vecchie “rinnovate” si stanno avvicinando al modello delle gang del Centro e Sud America.

Similmente a quanto accade dall’altra parte dell’oceano, la scalata nel mondo criminale non deriva più soltanto dal “diritto di nascita,” ma passa attraverso l’ostentazione della violenza e dell’abilità criminale su strada e sui social—qualità che permettono a una banda di ragazzini di diventare un’organizzazione temuta e rispettata.

E a questo fine, i brevi video su TikTok funzionano quanto—se non più—dei colpi di AK47 sparati in aria nelle famigerate stese.