Di Quit the Doner – foto di Margot Pandone e Roberto Seclì
Rousseau, il filosofo che scrisse il primo trattato di pedagogia e poi abbandonò cinque figli (gli disse bene che Freud doveva ancora nascere), intitolò “La religione civile” uno dei capitoli più importanti de Il contratto sociale, il suo libro più famoso.
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Lo fece perché era solito sostenere due cose 1. I marmocchi fanno un sacco di casino, meglio metterli al mondo e poi passare le proprie serate all’osteria con delle donne di malaffare 2. Per il corretto funzionamento di uno Stato è necessario istituire una “religione civile” che promuova i valori laici della giustizia e del rispetto delle leggi, una religione con i suoi riti, le sue credenze e i suoi eroi.
Questa riflessione mi viene in mente ogni volta che penso ai motivi per cui nonostante l’autoflagellazione del centro sinistra italiano ricordi quella di un sadomasochista che abbia dimenticato la parola di sicurezza, l’Emilia è elettoralmente ancora una terra rossa. Buona parte (ma non tutta, ovviamente) della risposta al quesito la trovate nel culto della resistenza, che da queste parti è per l’appunto una religione laica.
Quasi ogni paesino in Emilia (e in particolar modo quelli sull’Appennino) ha una storia eroica, tragica o entrambe le cose da raccontare. Storie di partigiani, staffette, preti, donne e bambini che in una maniera o nell’altra si sono opposti ai fascisti o i nazisti. Un armamentario di vicende ognuna così eroicamente retorica da far venire il sospetto che non possano essere tutte vere, o che quantomeno siano state romanzate da gente che ritiene Murakami avvincente.
Possibile che davanti ai mitra nazi-fascisti nessuno abbia mai implorato pietà ma si siano tutti strappati la camicia invocando la libertà a costo della morte? No, ovviamente, ma qui la realtà storica si fonde con il mito e insieme cementa un sistema di valori. Da queste parti è la resistenza, prima ancora delle lotte contadine e operaie, il vero momento fondativo della sinistra. Che va dagli anarchici
al Pd.
E per momento fondativo non s’intende solo la storiella da raccontare una volta l’anno, ma qualcosa di più sostanziale. Ecco un aneddoto che forse può rendere l’idea a chi, come me, emiliano non è. Un mio ex compagno d’università, diventato poco più che ventenne segretario della sezione del Pd del suo paese in provincia di Reggio Emilia fu chiamato in disparte da un vecchio dopo la sua elezione. L’oscuro geronte posò le carte da briscola e gli disse “devo mostrarti dove sono le armi.” Al che il mio amico rispose qualcosa tipo “Quali cazzo di armi? Ho 23 anni le uniche armi che conosco sono shottini color blu radioattivo.” Il vecchio si riferiva alle armi dei partigiani, mai riconsegnate e ormai realisticamente inservibili ma ancora nascoste sotto terra in campagna. “Nel caso tornassero i fascisti,” spiegò con la faccia del buon padre di famiglia.
Non aveva capito che contro i fascisti sarebbero stati molto più utili due canali televisivi che un cassa di vecchi Sten arruginiti. Ma sappiamo tutti come è andata a finire: “Fermi o sparo!” non può nulla contro “Ok il prezzo è giusto torna dopo la pubblicità.”
Credo che questa piccola storia renda l’idea di cosa significhi ancora oggi la lotta partigiana, e al tempo stesso (l’altro lato della medaglia) spieghi anche perché qualsiasi cosa faccia e chiunque sia il segretario del Pd, in Emilia uno zoccolo duro di voti ce l’avrà sempre.
Il fascista o “il tedesco” non sono un ricordo sbiadito, ma una ferita collettiva capace ancora di sanguinare. Per la gioia di D’Alema, non essere il “nemico” per molti elettori sopra i 50 anni sembra un requisito più che sufficiente per ricevere il voto.
Oggi, però, la sinistra bolognese è ferita al cuore dallo sperticato appoggio del Pd alle scuole private nel referendum cittadino che interrogherà gli elettori per chiedere se è il caso di finanziare gli istituti paritari quando quelli pubblici non hanno più nemmeno i soldi per piangere, come potete leggere qui.
Per capire lo stato di salute di quel che resta della sinistra-sinistra bolognese, quella che al referendum voterà per la scuola pubblica, il 25 aprile bisogna andare al Pratello, per Pratello R’esiste.
Per chi non fosse di Bologna, il Pratello è una specie di città nella città che si sviluppa in centro attorno ad una via pedonale lunga 700 metri che va dal Piazza San Francesco fino alla chiesa di San Rocco. È una parte di Bologna che faceva parte della città in età romana e ne fu estromessa durante il medioevo, rimanendo a lungo fuori dalle mura e diventando per secoli dimora di ladri, accoltellatori, puttane e magnaccia.
Insomma, il tipo di posto dove VICE Middleage avrebbe mandato i suoi inviati se solo Carlo V avesse istituito la banda larga nel Sacro Romano Impero.
Molto tempo dopo, rientrato entro le mura cittadine, il Pratello fu una delle zone della città in cui gli abitanti (al tempo lavandaie + lazzaroni che vivevano ancora in larga parte di espedienti) diedero più filo da torcere ai fascisti. Più di recente, durante gli anni Novanta, due palazzi all’incrocio fra via Pietralata e via del Pratello furono occupati per cinque lunghi anni.
Oggi il Pratello non è solo un posto dove si converge per ubriacarsi da tutta la città, ma soprattutto una piccola comunità urbana con i suoi esercenti storici che sono anche memoria del quartiere, gli abitanti che almeno di vista di conoscono tutti, i personaggi tipici, e conserva ancora un certo spirito anarchico e una sorta di autonomia spirituale dal resto di una città che dopo essere passata attraverso la reggenza nazi-legalitaria di Cofferati sembra aver scoperto lo yuppismo con vent’anni di ritardo. Qui invece certe cose contano ancora e non lo si nasconde.
Il Pratello è uno strano compromesso, è un posto dove trovi più gente in giro alle due di notte del martedì che alle 9 del mattino seguente ma anche un luogo dove anziani e famiglie bolognesi vivono mischiati con tanti ex studenti dell’università di Bologna che sono rimasti in città a lavorare dopo la laurea.
Un posto dove puoi bere la sera per poi ricordarti con nostalgia dei tempi in cui cinque vodka tonic erano l’altro nome di “colazione” e non la sicurezza di passare il giorno seguente riversi sul divano mentre il telefono squilla continuamente per le sei consegne che hai mancato. Ogni riferimento a fatti/cose e/o persone realmente in hangover è ovviamente puramente casuale.
Il barazzo. Durante la settimana è l’ultimo a chiudere dei bar del Pratello e per questo ufficiale dispensatore di bicchieri della staffa ai più disperati dei disperati.
Pratello R’esiste è l’evento che più di ogni altro definisce l’identità del Pratello, il giorno più atteso dell’anno per gli abitanti del quartiere. Come sia nato questo appuntamento ce lo spiega Lino, lo storico edicolante della strada nonché analista politico di tutto rilievo, in grado di discerne agevolmente di strutture e sovrastrutture mentre ti da come ogni mercoledì Topolino.
Lino non si vuole fare fotografare ma ama il Pratello.
L’evento nasce nel 2007 per iniziativa di un’associazione di madri e da lì in poi si allarga a macchina d’olio coinvolgendo un numero sempre maggiore di associazioni, artisti, studenti, esercenti, attivisti e venditori pachistani di cose che vibrano.
Una cosa che tengono a fare sapere gli organizzatori è che non lo fanno per i soldi.
“La cosa stupenda” spiega ancora Lino “è la sua trasversalità.” Ha ragione: R’esiste non è la solita festa della sinistra italiana con ventenni che bevono tavernello, fumano canne e ogni tanto intonano “Bella Ciao” peggio di egomaniaci come Santoro. È un’autentica festa popolare dove ai suonatori di bonghi si affiancano un sacco di gente “normale” e di bambini.
Ogni anno per R’esiste viene fatta una maglietta, e ovviamente la cosa più cool di tutti è mettersi quella dell’anno precedente e guardare gli altri con l’accondiscendenza del veterano.
Vediamo qui sotto due esempi illustrati; per comodità ho utilizzato due modelle molto simili fra loro:
Maglietta nuova
Maglietta vecchia
Il modello numero due è chiaramente più antifascista.
Il tema a Pratello R’esiste non è parlare di Letta, Bersani o quale membro dell’Aspen Institute D’Alema decide debba governare il Paese. Non è nemmeno fare le solite sparate finto-paradossali per non ammettere pubblicamente che non si è antifascisti come ha fatto Beppe Grillo in questo post, dove sostanzialmente spiega al mondo che chiunque festeggia la liberazione dal nazifascismo invece che comprare un suo dvd o aderire al partito azienda antidemocratico di Casaleggio sta compiendo (letterale) un rito ruffiano e falso.
Per tutti quelli che se ne sbattono i coglioni di cosa un anziano miliardario consideri “ruffiano e falso”, ci sono eventi come questi in cui il tema è cercare di mantenere uno spazio per essere umani in una società che lo è ogni giorno un po’ di meno.
Qui quello che conta è ricordarsi quanto valore c’è nella comunità, nel portare avanti progetti che servano a sé e agli altri e non ad autoassolversi da ogni peccato tramite l’indulgenza fornita da un click a favore del savonarola telematico di turno.
Valeria e la sua famiglia ad esempio sono un pilastro del Pratello, fanno pasta e tortelli da 28 anni e hanno anche ricevuto un riconoscimento ufficiale dal quartiere per il servizio svolto alla cittadinanza, cosa di cui sono molto orgogliosi.
Recentemente il quartiere ha perso uno dei suo “personaggi”, il poeta Roberto Mastai, a cui i “pratelliani” hanno provveduto a intitolare un incrocio in occasione di R’esiste, senza aspettare il sindaco.
Qua e là lungo la strada sono appese le sue poesie sul 25 aprile.
Un altro personaggio tipico del Pratello è Melania.
Una donna dall’età misteriosa (girano stime clamorosamente giovanilistiche) che vaga per i bar del quartiere a prendere a schiaffi tutti (ma proprio tutti) gli uomini presenti all’interno per qualche ignoto trauma passato o perché le fa piacere così. Fare finta di niente e di dire “ah-ah Melania che simpatica burlona che sei” mentre dentro di te stai segretamente bestemmiando (o pensando ancora!) è una di quelle cose che la gente fa per marcare la sua appartenenza alla comunità del Pratello. Non credevate mica che ci fossero solo aspetti positivi, vero?
Non bisogna essere necessariamente un movimento politico per venire a portare la propria idea di resistenza al Pratello.
Lui ad esempio è Carlo di Campi Aperti,
un’associazione che riunisce piccolissimi produttori agricoli che non possono sostenere le spese di lavorazione industriale certificata del loro prodotto. Per questo hanno deciso di certificarselo da soli attraverso un’associazione che riunisca produttori e consumatori e svolga questa attività di controllo in maniera comunitaria. Il risultato, mi racconta, è “migliore della certificazione bio, che pure abbiamo ma non è così severa.” I loro prodotti rimangono comunque clandestini e sono riuniti sotto il marchio.
L’associazione Kinodromo, che promuove i suoi film al cinema Europa della vicina via Pietralata, oggi proietta gratis dentro un camion interviste a membri della resistenza.
C’è chi ricicla Teloni di camion per farne borse (sì lo so, non è un’idea originale).
Al Pratello sono soprattutto rappresentate buona parte delle 1768 anime della sinistra italiana. Lui ad esempio è Vincenzo del Cassero ed è l’addetto alle cartoline delle cose che puoi fare senza necessariamente prendere L’Hiv.
Questa invece è la bancarella dell’associazione genitori di omosessuali.
Lui è Giuliano di Contro Corrente, un gruppo antifascista che sta raccogliendo soldi e firme a sostegno della lotta contro i fascisti greci.
Io firmo ma non caccio il grano spiegando “Vi metto in un reportage.” Questo per spiegarvi perché in questo momento un compagno greco si sta difendendo da un’aggressione di Alba dorata menando colpi a destra e manca con una copia arrotolata di VICE piena di battute affilatissime.
Lui è Tiziano di dell’Usi-ait, un sindacato autonomo presente a Bologna ma molto forte soprattutto in Lombardia; ad esempio, dice, sono il primo sindacato fra i dipendenti dell’ospedale San Raffaele di Milano.
Al Pratello c’è spazio anche per dure battaglie animaliste.
Loro due sono Lorenzo e Stefano della Fgci, l’associazione giovanile dei comunisti italiani.
Chiedo a Lorenzo di raccontarmi un po’ come vede la situazione politica. Prima mi chiede se voglio parlare con un dirigente—“No, voglio parlare con te”—allora incomincia subito con un “noi,” e io lo interrompo per dirgli che vorrei la “sua” opinione. Ma lui mi spiega che “è la stessa cosa.” Dopodiché capisco subito che il prendere lo zero virgola boh alle elezioni non gli impedisce di avere una visione ultra strutturata del mondo. Mi spiega che per quanto in Italia la situazione sia disastrosa, in Francia, Grecia, Cipro, Portogallo e, guarda un po’, in Cina i partiti comunisti stanno crescendo o sono già massicciamente presenti.
Al che mi si accende una lampadina “Sarà mica perché in Italia è Grillo ad assorbire quasi tutti i voti di coloro che sono insoddisfatti dallo status quo?”
“No la colpa non è di Grillo, è nostra.”
Dall’89 in poi, spiega, in Italia è mancata totalmente un’azione politica di sinistra, lasciata in mano ai soli sindacati che hanno fatto un lavoro ottimo ma necessariamente insufficiente. Ciononostante, da bravo comunista ha una visione molto pragmatica dell’azione politica del Pdci, che deve attuare cercando singole convergenze sui temi con qualsiasi interlocutore—Renzi compreso, se dovesse capitare.
Puoi essere d’accordo o no (io lo sono fino a un certo punto), ma a livello di analisi politica rispetto al grillino medio Lorenzo è Charles De Gaulle e forse proprio per questo non se l’incula nessuno.
A un certo punto, proprio mentre sto pensando che è “un mondo difficile” incontro Tonino Carotone.
Mi spiega che ieri è stato a suonare a Siena e oggi è venuto al Pratello per R’esiste e soprattutto per mangiare da Pasquale. Chi è Pasquale?
È il proprietario dell’osteria “Il rovescio”, qui ritratto con la maglia di Banksy.
Quello di fianco a lui invece è leggenda del Pratello Fc Pietro Soldatino Curatola.
Ma cosa c’entra il calcio con i valori della resistenza? Ah sciocchi! Al Pratello tutto c’entra con tutto, basta farci una maglietta.
C’è anche tanto di torneo di calcio resistente per i bambini.
Lo sport qui è importante. Ad esempio la boxe c’entra molto con l’antifascismo per motivi che non devo certo starvi a spiegare, e al Pratello quelli del centro sociale Tpo vi fanno vedere con precisione cosa dovete fare se incontrate per caso qualcuno che trova divertenti le imitazioni che Fiorello fa di La Russa.
Anche questo è instillare i valori dell’antifascismo nelle nuove generazioni.
Siamo sicuri che sarà sufficiente cliccare “mi piace” sulla pagina “questo pomodoro avrà più fan di silvio berlusconi”, ma non si sa mai.
L’autodifesa è una cosa così importante da queste parti che la insegnano anche quelli del Crash, con la loro palestra popolare che ha corsi Thai, Boxe e Pilates in maniera talmente antisessista che uomini e donne combattono assieme. “Ma abbiamo ancora spogliatoi separati,” mi spiega subito Luca. E io che stavo già pensando d’iscrivermi.
A questo punto, come in una nemesi biblica sento odore di Zolfo e incontro il mio arcinemico.
Per tutti quelli che non sono studentesse di scienze dalla comunicazione: lui è Vasco Brondi, un cantante destrutturato e generazionalista a cui ho dedicato una lunghissima e impietosa analisi dei testi per poi scoprire che probabilmente ho perso più tempo io sopra le sue canzoni che lui. Comunque è gentile e al contrario di quello che avevo immaginato non sta andando al sacrificio umano di una vergine con deficit di apprendimento ma si sta facendo un giretto mentre aspetta di prendere l’aereo per andare a suonare a Parigi, dove, se non altro, almeno hanno minori probabilità di capire le sue parole.
A questo punto per concludere il Reportage sarebbe carino sapere cosa ne pensano alla sezione Pd del Pratello della resistenza e del popolo di sinistra che affolla il quartiere.
Peccato però che non ci sia nessuno. Saranno andati a prendere un caffè. Da vent’anni.
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