Mode italo-adolescenziali: un post per non dimenticare

Adolescenza e stile sono due parole che non dovrebbero mai stare nella stessa frase. Nuove pelurie, reggiseni vuoti e insicurezza totale non sono basi di partenza ottimali per un look convincente. Eppure, per migliorare (leggi “mascherare”) le cose, uno cerca di vestirsi bene. Solo che il bene, a posteriori, è sempre molto relativo. Grazie allora, pagina Fotolog del liceo, perché mi ricordi lo scempio che compivo ogni mattina vestendomi. E grazie soprattutto perché mi ricordi una legge importante del guardaroba universale, una regola che in questi tempi di crisi è comunque una certezza: i tempi cambiano, ma l’orrore resta.

Certo, ci fu qualche eccezione e ormai, da diversi anni, si tende a rivalutare un po’ tutto. Ma ci sembrava lo stesso doveroso riesumare alcuni dei capi più rilevanti in Italia in quel periodo imprecisato che va dal vostro primo giorno di scuola media all’ultima volta che avete scaricato un file da WinMX. Sì, è un sacco di tempo, e sì, abbiamo volutamente escluso certe ovvietà che tutti ricordano ancora benissimo.

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Ecco dunque un piccolo compendio di alcuni marchi e abiti che furono popolari in quella buia epoca della nostra esistenza, quella che volevamo dimenticare fortissimamente e che risponde al nome di pubertà.

BORSETTE KOOKAЇ

Mai nome fu più cacofonico e associazione di caratteri tipografici fu più fastidiosa di questo marchio francese nato agli inizi degli anni Ottanta. Kookaï voleva probabilmente diventare la risposta gallica a Benetton ma finì con l’essere la Pinko Bag degli anni Novanta (sì, la presenza di una kappa nel nome ha influenzato il paragone). Pare sia ancora diffuso in Europa, ma l’Italia sembra averla scampata—almeno stavolta. Saranno passati quasi quindici anni dall’ultima volta che ho visto una di quelle borse Kookaï, rigidone e plasticose, sempre e solo nelle loro rigorosissime varianti bianche e nere, quando affollavano il tram sotto le ascelle di ragazze che dal basso dei miei occhi undicenni sembravano emancipatissime e cazzute e invece erano soltanto Barbare e Silvie che si vestivano di merda.

FELPE RAMS 23 (CON VARIANTE SPORTIVA CHAMPION)

Purtroppo a Milano nascono per lo più mode bruttone e bisogna ringraziare i ragazzi che vivono nella circonvallazione interna per aver diffuso questi indumenti oltre la Cerchia dei Bastioni e nel resto d’Italia. Copiando il nome dai St. Louis Rams, hanno scelto il numero 23 probabilmente solo perché veniva meglio da stampare sulle felpe. L’evoluzione del marchio è stata poi misteriosa ma abbastanza prevedibile: indossato fino alla nausea dai ragazzi bene, ha conosciuto una seconda e muscolosa vita con gli zarri. Non è ancora molto chiaro come, ma ora Rams 23 pare andare bene in Spagna, dove viene venduto come il frutto “de la fusión entre la cultura americana y el estilo de vida europeo” ed è orgogliosamente indossata da Iker Casillas e altri eroi locali.

Se non avevi abbastanza denari o “buon gusto”, bastavano le felpe blu della Champion, quelle che facevano i pallini dopo un lavaggio. Per alcuni anni è stato anche il surrogato delle felpe della GAP, se non avevi genitori ricchi che ti portavano a New York o che ti costringevano a fare viaggi studio in provincia di Dublino, dove potevi svaligiare il centro commerciale di Dun Laoghaire. Infine è tornato ad essere l’acquisto più popolare tra le mamme con figli in età scolare.

MAGLIETTE CON STAMPE BRUTTE E/O TURISTICHE

T-Shirt dell’Hard Rock Cafe sei una piaga sociale. Ogni volta che vedo quel logo le tarme fanno un buco nel mio maglione preferito. Non ho mai capito il senso né dei locali né della maglietta, ma il fatto che mi vengano in mente solo cose come Ligabue o inglesi sbronzi con le infradito mi impedisce di scriverne oltre.

Obbligatorie da menzionare sono però tutta un’altra serie di stampe che apparvero sulle nostre magliette tra il ’93 e il 2001 e che vedono i nostri genitori in buona parte responsabili. Tutti avevamo in classe un ragazzo brufoloso con la stampa di: l’uomo di Leonardo, Einstein che fa la linguaccia , Homer o Bart Simpson, il logo della rivista Cuore, la Monna Lisa al Louvre. Tra le ragazze andavano invece forte: i putti di Fiorucci, il Piccolo Principe accompagnato da “L’essenziale è invisibile agli occhi”, cuccioli di gatti e cani su sfondo melange. Questi ultimi si acquistavano solo nei negozi d’abbigliamento che si trovavano in metropolitana (tipo Lo Zoccolaio) e costituiscono un importante precedente delle magliette coi vari lupi, abeti e scacciapensieri che volevate comprarvi un paio d’anni fa.

PUMA MOSTRO

Il nome parla da sé e la crudele ironia con cui ci hanno spedito a chiedere “vorrei un paio di Puma Mostro numero 40” diventa a posteriori lampante e quasi tragica. Io le avevo grigie e nere, a mio parere la versione più sobria. Mia madre ora le usa per andare in piscina, probabilmente perché ci vede qualcosa di anfibio, squamoso e acquatico. Le jing-jang bianconere rimangono le peggiori e soprattutto sono colpevoli di aver introdotto il concetto di scarpetta morbido-dura e sportivo-tecnologica per uomo: non dimentichiamoci che alcuni anni dopo, quando avevamo già acquisito la facoltà di intendere e volere, fu il momento delle Merrell, altra calzatura deprecabile che ha portato il termine “sneaker” sulle labbra dei quarantenni milanesi e spalancato le porte alle odierne Bikkembergs. Proprio le Bikkembergs ci ricordano il peccato più grande delle Puma Mostro: l’aver sdoganato le scarpe con lo strappo in velcro, fino ad allora giustamente confinate al cortile dell’asilo dove correvamo con le nostre Superga blu.

QUALSIASI INDUMENTO DELLA ONYX

Molto importante per noi donne, Onyx fu forse il marchio più democratico di sempre e sicuramente colpì tutti gli armadi di chi fosse nata dopo il 1984. Era quasi impossibile trovarci dei capi a tinta unita, tanto che prima o poi si finiva tutte a comprare una di quelle maglie con la caricatura di una tipa zarra stampata sopra. C’erano in tutte le sfumature: la bruna avventurosa, la bionda tenerona, la rossa sportiva , praticamente le Spice Girls disegnate come il Diddl, altra infausta mania di quegli anni.

ZAINI PICKWICK

Anche se ora è finito a competere con la Seven per accaparrarsi il ruolo di Invicta di seconda scelta, questo marchio ebbe la sua fortuna grazie a due tipici fenomeni della fine degli anni Novanta: i loghi di figure umane con alcuni arti particolarmente sviluppati (vedi sopra le bamboline Onyx con Buffalo e teste enormi) e l’esplosione del telefonino. Pickwick ebbe la grande idea di mettere le due cose insieme e ta-daan!, ecco un’epidemia di subumani ZAINI MONOSPALLA con porta cellulare incorporato sull’ibrida monobretella. Non posso provarlo, ma sono sicura che se a un certo punto migliaia di italiani hanno deciso di portarsi in giro una specie di marsupio gigante, Bob Sinclair ne è in qualche modo responsabile.

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Il nostro elenco finisce qui, ma siamo certi di aver dimenticato qualcosa. Se volete contribuire alla riesumazione di questi orrori adolescenziali, non esitate e commentate.