Qualche settimana fa avevo deciso di seguire una dieta per perdere qualche chilo. Proteine, carboidrati, grassi, vitamine pesate, attività motoria e tutto il resto—allora, Mark Renton? Ovviamente avrei dovuto scordarmi l’alcol per un po’ e con la stessa ovvietà ho fallito nell’intento quando, dopo due giorni, stavo ingollando delle lattine di birra con dei colleghi.
Proprio in quei giorni, in occasione dell’Alcohol Prevention Day, è stato presentato dall’Istat il Rapporto sul consumo di alcol. Stando ai dati il consumo medio di alcol in Italia, rispetto agli ultimi dieci anni, sembra in calo ma è in forte aumento il consumo occasionale o fuori pasto e l’alcol sembra continuare a rappresentare un grande problema—soprattutto fra i giovani.
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Risconoscere la dipendenza da alcol secondo un’esperta
VICE: Esiste un modo scientifico per riconoscere un problema con l’alcol?
Maria Grazia Movalli: Occorre anzitutto chiarire che ci sono diversi modi di avere un problema con l’alcol. Il concetto di dipendenza da alcol classico, cioè lo stereotipo dell’alcolista che inizia la sua giornata bevendo, è ormai superato. Oggi la letteratura specialistica, in particolare il DSM–5—il manuale di riferimento della psichiatria mondiale utile per orientare i professionisti nella diagnosi—parla di disturbi da uso di alcol, classificando così tutti i disturbi legati al consumo rischioso di alcol, a prescindere dalla presenza di segni e sintomi di dipendenza fisica e dall’evidenza di sintomi di astinenza.
Quando parliamo di problemi con l’alcol copriamo casi che vanno dal consumo di 5-6 drink in un arco di tempo molto breve, il cosiddetto binge drinking, fino all’estremo di chi, invece, consuma alcolici quotidianamente, magari da solo, nell’arco della giornata e che ovviamente avrà un quadro sintomatologico diverso. Comunque sia, per parlare di un disturbo sono rilevanti sia aspetti oggettivi che soggettivi.
In che senso?
Gli aspetti fondamentali sono: la perdita del controllo, l’incapacità di fermarsi, piuttosto che l’assunzione di alcolici in situazioni in cui bere è totalmente fuori luogo o quando bere espone a pericoli; il desiderio intenso (il cosiddetto craving) per l’effetto conosciuto dell’alcol, che può comparire quando il bevitore incontra uno stimolo come vedere alcolici o altri bere ma anche spontaneamente, magari in risposta a un’emozione difficile. Per esempio, sul piano soggettivo, una persona può iniziare ad avvertire disagio, sensi di colpa o vergogna perché ha esagerato, ma il giorno o la settimana dopo può ritrovarsi nella stessa condizione. Questo potrebbe essere uno dei segnali che qualcosa non sta funzionando.
E questi possono essere considerati dei campanelli di allarme?
Sì, un altro aspetto può essere quello del controllo. Come uscire a bere una cosa e ritrovarsi a berne cinque perché non si riesce a limitarsi una volta iniziato. [Questo], talvolta porta a cominciare a bere prima di uscire, magari per non dare nell’occhio. C’è chi senza alcol non si muove, arrivando a scandire immancabilmente alcune esperienze, e gradualmente c’è una selezione sociale in cui l’abuso viene quasi incoraggiato.
E oltre a questo esistono dei sintomi a livello cerebrale o psicologico?
Certo. Le ripercussioni sul sistema nervoso centrale sia per gli abusi sporadici come il binge drinking che per il consumo cronico possono essere: perdita di critica, disinibizione e comportamenti impulsivi o anche aggressivi, l’annebbiamento durante l’intossicazione e i tipici sintomi da “hangover”, inclusi veri e propri blackout alcolici. Le conseguenze dell’alcol sono particolarmente dannose durante l’adolescenza, quando il cervello attraversa una fase delicata ed è estremamente vulnerabile agli effetti gratificanti dell’alcol—e di qualsiasi sostanza d’abuso—alla sensibilizzazione e ai condizionamenti che rappresentano le tappe del percorso verso la dipendenza. Chi fa un uso esagerato di alcol può sviluppare alterazioni di funzioni cerebrali preziose, come la capacità di orientare e mantenere l’attenzione, la memoria, la capacità di pianificazione, di ragionamento astratto, di problem solving.
Mi capita spesso di bere quando mi sento a disagio o sento di essere in ansia per qualcosa. Che rapporto c’è tra problemi nella gestione dell’ansia, depressione e alcol?
Esistono forme di disturbo da uso di alcol che rappresentano la punta dell’iceberg, cioè si originano come tentativo di automedicazione di svariate forme di sofferenza psichica. Per esempio, sappiamo che l’alcol è uno dei più rapidi ed efficienti ansiolitici, e questo è uno dei motivi della sua ampia diffusione tra chi soffre di disturbi d’ansia, di attacchi di panico, talvolta di insonnia.
Ma sappiamo anche che praticamente tutti i disturbi psichiatrici possono venire indotti dall’abuso di alcol, dalla depressione alle allucinazioni. Un’altra situazione frequente è la concomitanza dell’uso patologico di alcol con altre sostanze nel contesto di quadri di poli-abuso, oppure il passaggio da una dipendenza a un’altra. L’alcol spesso diventa sia la causa che la conseguenza di altri disturbi.
Mettiamo che io mi riconosca in parecchi punti che ha elencato e che quindi possa avere una dipendenza dall’alcol. Qual è la soluzione?
Le premesse sono due: la prima è che stiamo parlando di un problema multifattoriale e sia le cause che le conseguenze sono di tipo biologico, sociale e psicologico: l’espressione della patologia è infatti legata a fattori come la genetica dell’individuo, l’età, il contesto sociale, l’esposizione a stress, la personalità o la presenza di un disturbo psichiatrico. Inoltre, come ti dicevo prima, ci sono diversi modi di avere un disturbo da uso di alcol. Ciascuno di essi richiede di essere adeguatamente riconosciuto e trattato per quello che è, tenendo conto della gravità e della durata del problema e soprattutto delle caratteristiche della persona.
Nei casi più lievi, una volta valutata con un medico l’assenza di problematiche fisiche e di disturbi psichiatrici, si può proporre un approccio psicologico che aiuti la persona a focalizzare gli elementi disturbanti per cui vale la pena cambiare il proprio comportamento: si può ridurre il consumo o decidere di smettere. Se sono presenti disturbi associati, uno dei modi migliori è l’approccio integrato in cui si associano interventi medico-psichiatrici, farmacologici e psicologici; cioè curare contemporaneamente anche i disturbi associati.
Nel caso di una dipendenza fisica, con sintomi di astinenza che possono essere anche molto pericolosi per la salute, la disintossicazione deve avvenire possibilmente in un regime protetto, per esempio in ricovero. Generalmente l’obiettivo è il raggiungimento dell’astinenza. In seguito è importante prevenire una possibile ricaduta, che avviene naturalmente se non si tiene conto dei fattori di vulnerabilità.
Oggi si sa che uno degli aspetti focali dell’addiction è una modificazione del sistema del piacere, una specifica area cerebrale connessa con le funzioni istintuali ed emotive. La stimolazione di quest’area da parte delle sostanze d’abuso (stupefacenti e alcol) nel tempo condiziona e motiva l’individuo a orientarsi verso il piacere dato dalle sostanze, riducendo l’interesse per gli altri stimoli sani. Questa modificazione funzionale è duratura ed è alla base della comparsa del craving e della tendenza a ricadere anche a distanza di mesi. La psicoterapia specifica e il lavoro di gruppo aiutano a gestire il craving, ma ci sono anche dei farmaci che lo possono controllare.
Il trattamento è un lavoro che coinvolge la persona nella sua globalità, spesso anche la famiglia, per arrivare al recupero delle abilità che la consuetudine a bere ha penalizzato.
A livello più ampio, pensa che il consumo di alcol in Italia sia un problema sottovalutato?
Io penso di sì. Non sono un’esperta di epidemiologia, ma nel mio campo professionale ho incontrato spesso pazienti il cui problema non è stato riconosciuto o non è stato tanto affrontato adeguatamente.
È un’area di lavoro difficile: spesso il paziente cela o nega il problema e in quel caso non è semplice farlo emergere. E oltre alla sensibilità e alla preparazione, il fatto è che ci vuole tempo e non sempre i medici ne dispongono a sufficienza. Infine, non dimentichiamo che l’alcol è la droga più consumata al mondo e quella più subdola visto che è socialmente accettata: ed è così che il problema emerge quando il disturbo è già avanzato.
Credo che il frutto della maggiore informazione che si sta diffondendo negli ultimi anni si raccolga nell’incontro, fortunatamente sempre più frequente, con pazienti che presentano forme di alcolismo lievi e che possono ancora ricostruirsi una buona qualità di vita.