Questo articolo potrebbe contenere piccoli spoiler.
A distanza di quasi 15 anni dalla fine della serie originale—andata in onda dal 1993 al 2002—X-Files è tornata quest’anno con una miniserie da sei episodi. Il primo episodio, andato in onda questa settimana, ha riaperto la giostra con un andamento un po’ zoppicante, che cerca da un lato di ricordare insistentemente al suo pubblico l’identità fondamentale della serie, dall’altro di definirne una nuova, che deve fare i conti con un mondo completamente diverso da quello che si è lasciato alle spalle.
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Al di là dei discorsi che si possono fare sulla narrativa spicciola di questa nuova miniserie, il ritorno di X-Files è soprattutto un’occasione per fare una meta-critica della serie; per parlare di quello che ha rappresentato negli anni Novanta—sia da un punto di vista culturale che storico-televisivo—e di quello che deve affrontare ora.
X-Files nasce in un momento ben preciso della televisione americana. È il 1993, la televisione è una realtà estremamente pop che si rivolge a un pubblico medio, dove le dinamiche di produzione influenzano fortemente il contenuto delle serie televisive; non è ancora il mondo post-Lost, in cui gli autori hanno una nuova autonomia rispetto all’emittente che li produce—la libertà con cui Vince Gilligan ha potuto rifiutarsi di mandare avanti Breaking Bad oltre la quinta stagione, negli anni Novanta semplicemente non era pensabile. Twin Peaks—uno degli esperimenti più significativi a livello narrativo e registico di quegli anni—è arrivato da poco alla sua prematura e malformata conclusione, proprio perché gli interessi della produzione hanno sovrastato e mutilato le intenzioni del reparto creativo.
È importante specificare questa cosa perché X-Files è stata una serie lunga e “disordinata”, piena di cosiddetti episodi filler, riempitivi che permettevano di “allungare il brodo” di un prodotto con un buon livello di audience e di attirare anche spettatori occasionali. Nel dirottare i protagonisti verso sotto-missioni slegate dalla mitologia principale—quella puramente cospirazionista, per cui alieni e governo americano sarebbero alleati—questi episodi avevano, però, anche una funzione narrativa ben specifica: esplorare ed esorcizzare tutta una serie di fantasmi culturali e sociali americani che, all’inizio degli anni Novanta, quando il mondo si stava preparando alla società del Grande Fratello in cui viviamo ora, dovevano essere smascherati.
La serie originale di X-Files non ha fatto altro che guardare dentro gli armadi e sotto i letti dell’America per fare la conta di quali paure e quali mostri fosse giusto portare con noi anche nel Ventunesimo secolo.
Negli anni Novanta X-Files dà ancora la colpa dei misteri e delle paure umane a qualcosa che prescinde da noi, che sia dio, gli alieni o una tecnologia “stregata”.
La fantascienza di X-Files è, dunque, una fantascienza dell’orrore: non è la fantascienza esistenziale di Blade Runner, né quella esoterica di Lost. È una fantascienza che rappresenta paure sociali come i vampiri nell’epoca vittoriana: dall’incesto dell’episodio “Home,” al cannibalismo di “The Jersey Devil,” dall’intelligenza artificiale di “Ghost in the Machine,” alla società prototipata e falsa di “Chimera,” X-Files mette sullo stesso piano e affronta con le stesse armi le paure più antiche di un paese in continua evoluzione—quelle, diciamo, legate all’arretratezza culturale e alla superstizione religiosa—e le sue paure più moderne, quelle legate alla rivoluzione tecnologica che è alle porte.
Un po’ come in un’altra serie cult degli anni Novanta, Buffy the Vampire Slayer—in cui l’informatica è letteralmente una moderna stregoneria, retaggio tanto di “nerd” quanto di fattucchiere—anche in X-Files il mondo cibernetico è un totem narrativo ancora ibrido, dotato di una propria carne e di un proprio spirito, assolutamente comparabile alle figure dell’orrore più classiche nel modo in cui può “impadronirsi” della nostra realtà e della nostra anima. I super-soldati di X-Files sono un’evoluzione “innaturale” dell’essere umano, frutto di un’unione tra carne e tecnologia che rimanda alla figura del cyborg della fantascienza degli anni Ottanta e all’orrore ad essa legato in film come Videodrome.
Il modo in cui X-Files affronta entrambi gli scenari—quello superstizioso e quello tecnologico—è sempre dicotomico: da un lato c’è la fede, dall’altro il raziocinio. Per quanto la serie abbia saputo danzare intorno a questi due pilastri, mescolandone le variabili in modo dinamico—l’agente Scully è un medico razionale, ma anche una devota cattolica, Mulder crede agli alieni ma è ateo—si basa comunque sulla presunzione che, prima o poi, in un modo o nell’altro, l’uomo potrà scoprire e comprendere la verità. Una verità ultima altra da noi. Questo passaggio è fondamentale: negli anni Novanta X-Files dà ancora la colpa dei misteri e delle paure umane a qualcosa di esterno all’uomo, qualcosa che prescinde da noi, che sia dio, gli alieni o una tecnologia “stregata.”
La tecnologia è sicuramente uno dei mostri più importanti di X-Files, sia come argomento saltuario di episodi indipendenti come “Ghost in the Machine,” che come leit-motiv della trama cospirazionista principale: il governo degli Stati Uniti cerca e utilizza tecnologia aliena per i propri—spietati—scopi. Alieno è ciò che viene dallo spazio, ma è anche, metaforicamente, ciò che è diverso, quel qualcosa con cui non siamo ancora in grado di rapportarci, da cui non sappiamo come difenderci.
La nuova miniserie sembra voler conservare i suoi mostri principali, conferendo loro, però, un significato diverso da quello che avevano nella serie originale. Il mondo in cui X-Files approda oggi e che deve tornare a interpretare, è un mondo in cui forse non c’è più spazio per le fiabe, in cui la tecnologia è parte integrante della nostra natura e in cui il cospirazionismo non più è tramandato da orecchio a orecchio nei vicoli bui delle grandi metropoli, ma è gridato su YouTube—concetto incarnato dal nuovo personaggio da ribalta ossessionato dalle cospirazioni della serie, Tad O’Malley.
Di tutte le paranoie su cui la serie ha costruito la propria narrativa negli anni Novanta, fantasmi, demoni e persino alieni fanno fatica a trovare spazio oggi. Per quanto la prima puntata di questa nuova serie arranchi a livello di sceneggiatura—a livello di contenuti mette subito le carte in tavola, a mio avviso in modo abbastanza puntuale.
Quello di cui avevamo paura una volta, un’alleanza tra il governo degli Stati Uniti e una società aliena, oggi non può funzionare: l’esistenza degli alieni è diventata un problema relativo nella nostra società, così come la tecnologia ha perso la propria anima mostruosa. Mentre un governo che spia e sperimenta sulla sua stessa nazione è un incubo assolutamente tangibile. Tecnologia e alieni fanno ancora paura non in quanto entità indipendenti, ma in quanto strumento: sono diventati un mezzo perfettamente sfruttato dall’unico nemico che Mulder e Scully possono individuare e (sperare di) affrontare per dare senso a un ritorno di X-Files: gli esseri umani.
Non ci resta che guardare i prossimi episodi per scoprire se gli X-Files possono ancora esistere nel mondo profondamente mutato di oggi.