La vicenda degli stupratori de ‘La Manada’ sta diventando sempre più paradossale

C’è appena stata una nuova svolta nel caso de La Manada, la violenza sessuale di gruppo avvenuta a Pamplona, in Spagna, nel luglio 2016 e diventata un caso giudiziario.

Ieri il tribunale provinciale di Navarra—lo stesso che aveva condannato i membri del “branco” a nove anni, giudicandoli colpevoli di abuso sessuale ma non di violenza—ha deciso ieri che, a partire dal 7 luglio, i cinque potranno uscire su cauzione (fissata a 6mila euro) in attesa del secondo grado di giudizio.

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Ricapitoliamo la vicenda. È la festa di San Fermín del 2016 a Pamplona. Cinque uomini tra i 27 e i 29 anni si offrono di accompagnare alla macchina una ragazza di 18 anni, conosciuta poco prima. La scortano invece nell’androne di un palazzo dove la violentano a turno. Girano anche dei filmati che documentano il tutto, con lo scopo di inviarli su WhatsApp.

Il soprannome “la Manada” (il branco) se lo sono dato loro stessi: è il nome della chat che condividono insieme ad altri amici e che usano per vantarsi delle proprie “goliardie” e prodezze sessuali. Un’abitudine non solo spagnola, se pensiamo al caso—simile per molti aspetti—dei dipendenti dell’Hotel di Meta di Sorrento, a Napoli, che hanno violentato in gruppo una turista inglese, prendendola poi in giro sulla loro chat “Cattive abitudini”.

La ragazza vittima de la Manada, originaria di Madrid, viene trovata da una coppia qualche ora dopo, ancora accasciata nell’androne. Fornisce subito la descrizione degli aggressori, che il giorno dopo sono identificati e arrestati.

Il processo però non va come ci si aspetterebbe. I cinque vengono condannati per “abuso sessuale”, che rispetto alla violenza è un reato minore, con la motivazione che “non c’è stata violenza palese né intimidazione vera e propria”. Si tratta quindi solo di “consenso viziato”: in pratica, avrebbero solo calcato un po’ la mano.

Il verdetto, emesso giovedì 26 2017 aprile in diretta televisiva viene criticato da politici, associazioni e dalla stampa di mezzo mondo: l’impressione è che a essere finita sotto processo sia stata la vittima più che i cinque accusati, uno dei quali è membro della Guardia Civile.

In Spagna si apre il dibattito sul consenso e in molti si schierano a favore di una battaglia che ha ancora molta strada da fare: far comprendere cioè che non si può farsi ammazzare come sante vergini martiri per dimostrare di aver negato il consenso. E che il non reagire con violenza durante uno stupro—specie se di gruppo—non implica compiacenza, semmai terrore e istinto di sopravvivenza.

““Se non lotti contro 5 grossi bruti, rischiando la vita, non ti stanno violentando. Vergogna e schifo,” ha twittato il leader di Podemos Pablo Iglesias, mentre Amnesty International ha dichiarato che “la mancanza di riconoscimento legale del fatto che le relazioni sessuali senza consenso costituiscano uno stupro dà origine all’idea che spetta a noi donne proteggere noi stesse dallo stupro.”

Ma la pioggia di critiche e le decine di manifestazioni di protesta che si sono svolte in tutta la Spagna al grido di “Hermana, yo sí te creo!” (Sorella, io ti credo!”) non hanno avuto presa sul tribunale di Navarra, che in un caso così delicato e rappresentativo ha scelto ancora la linea morbida, con la motivazione che gli accusati sono tutti incensurati e che non commetteranno altri stupri.

I cinque de la Manada sono in carcere dal luglio 2016, e la detenzione preventiva avrebbe potuto essere prolungata per un massimo di due anni e mezzo. Tuttavia i giudici (con due favorevoli su tre) hanno deciso per questo rilascio anticipato, esponendosi di nuovo a parecchie critiche, come quella del presidente Pedro Sanchez, che ha dichiarato: “Decisioni come questa dimostrano che non si è capita la gravità dei delitti contro la libertà sessuale delle donne.”

valanga di tweet indignati avvertono: