Ecco quanto è complicato ottenere la cannabis terapeutica in Italia

Questo articolo fa parte dell’edizione 2018 della Guida di VICE alla cannabis in Italia: da chi la assume a scopo terapeutico a chi la commercializza o ci investe, e da chi la “fuma e basta” a chi si batte perché fumarla non sia l’unica cosa per cui tutti la conoscono. Vai qui per leggere gli altri contenuti della serie.

Quando in una grigia mattinata di aprile arrivo a Roma, le porte del Canapa Caffè di San Lorenzo sono aperte da poco. Ad accogliermi nel retro del locale trovo Carlo, che prepara meticolosamente la sua medicina. Da un vasetto estrae delle cime di cannabis. Le trita. Poi le mette in un vaporizzatore.

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La terapia mensile di Carlo consiste in 40 grammi di Bedrocan (dal nome dell’azienda olandese che produce la cannabis per uso medico importata anche in Italia) e 60 grammi di FM2 (la cosiddetta cannabis di stato nostrana). Questo sulla carta. Nella pratica poi, anche questo mese non è riuscito a ottenere tutte le medicine di cui ha bisogno, nella quantità di cui ha bisogno.

In Italia, nonostante sia legale (con varie evoluzioni della normativa) da più di dieci anni, curarsi con la cannabis terapeutica è infatti un percorso a ostacoli che richiede tempo, perseveranza, una conoscenza approfondita delle leggi e l’incontro con professionisti informati e disposti ad aiutarti. Anche in presenza di tutte queste componenti, poi, bisogna sperare che i medicinali siano disponibili sul mercato. Tutti fattori che rendono la cannabis terapeutica un lusso a cui pochi malati in Italia hanno effettivamente accesso.

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Carlo dietro al bancone del Canapa Caffè.

A Carlo, 34 anni, paziente, attivista e gestore del Canapa Caffé di Roma (che oltre che locale è shop e associazione), è stata diagnosticata l’anoressia nervosa quando aveva circa 20 anni. Per diverso tempo, come da prassi, per combattere il disturbo gli sono state somministrate benzodiazepine. “Ho preso Valium, Xanax, nei periodi più bui anche il Rivotril. Tutti medicinali che prima di tutto non volevo prendere. Secondo, che accusavo sul fegato e sul corpo. Ma soprattutto, che sentivo non servissero a farmi stare meglio. Anzi,” mi racconta.

Carlo era entrato in contatto con la cannabis ancora prima della diagnosi, e aveva capito che la sostanza aveva degli effetti benefici sulla sua condizione. Tuttavia, a introdurlo ufficialmente a questo mondo è stato, quando aveva 28 anni, un medico in Spagna. Dopo aver letto la diagnosi di Carlo e averlo visitato, lo specialista gli aveva assegnato un piano basato sull’assunzione di cannabis terapeutica. I miglioramenti, racconta Carlo, erano effettivamente arrivati.

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Una confezione di Bedrocan acquistata in farmacia e suddivisa come da prescrizione in bustine da un grammo.

Così, una volta rientrato a Roma, ha cominciato il percorso per ricevere il trattamento. Come sancito da un decreto del 2015, con una legislazione che varia di regione in regione, l’anoressia rientra infatti—insieme alla sclerosi multipla, la nausea e il vomito causati da chemioterapia, la sindrome di Gilles de la Tourette e altri pochi disturbi—tra le malattie che possono essere curate con la cannabis. A patto, specifica la legge, che le terapie standard o convenzionali risultino inefficaci.

In teoria ottenere la cannabis terapeutica è abbastanza semplice: una volta diagnosticato uno dei disturbi citati sopra, ci si reca da uno specialista e gli si chiede un piano terapeutico. Questo può essere sottoscritto dalla ASL, che è tenuta a farsi carico delle spese delle cure e a fornirle al paziente. Oppure, ci si può recare con esso da specialisti o medici di base per farsi prescrivere delle ricette da presentare poi nelle farmacie fornite di cannabis terapeutica.

Ma la pratica è un’altra storia. Prima di tutto, molti non provano nemmeno a far sottoscrivere il proprio piano terapeutico alla ASL: troppo complicato, troppo lunghi i tempi, troppo difficile avere i rifornimenti ogni mese. A parte rari casi, si sceglie quindi di ottenere i farmaci tramite ricetta, facendosi carico delle spese—oggi si parla di circa 12 euro al grammo, per terapie che in media si aggirano sui 150 grammi al mese.

Eppure anche in questo caso subentrano numerose complicazioni. Carlo mi racconta di aver impiegato due anni per trovare un medico disposto a fargli una ricetta. Dopo aver ricevuto diversi rifiuti, la svolta, seppur parziale, è arrivata quando si è rivolto all’associazione pugliese LapianTiamo, uno dei più attivi e radicati progetti per la cannabis terapeutica in Italia.

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Carlo prepara la sua medicina. Vicino alla mistiera, una confezione di Bedrocan e il vaporizzatore.

La prima e più concreta difficoltà in cui si imbatte un paziente che vuole curarsi con la marijuana è proprio questa: trovare medici che hanno competenze e volontà di prescriverla.

Tra questi c’è Giovanna Borriello, Neurologa al Centro per la diagnosi e cura della Sclerosi Multipla dell’U.O. di Neurologia dell’Ospedale Sant’Andrea di Roma. In Italia il suo team è stato uno dei primi a somministrare cannabis a pazienti affetti da sclerosi multipla e ad attivarsi nel campo della ricerca. Mi racconta di essersi avvicinata alla cannabis terapeutica per il trattamento della spasticità; ulteriori studi hanno poi rivelato che il beneficio riguardava soprattutto altre patologie quali il dolore, il sonno, l’inappetenza. Da allora, si è specializzata diventando una dei maggiori esperti in Italia.

“I pazienti la chiedono da anni. Io mi occupo principalmente di sclerosi multipla, ma arrivano da me anche persone affette da altre patologie perché hanno diffocoltò a trovare medici che prescrivono la cannabis, nonostante sia ormai fuori discussione il suo funzionamento su determinati problemi. Sappiamo come agisce, sappiamo perché… e tuttavia non viene prescritta,” mi dice.

Secondo la dottoressa Borriello le motivazioni sono diverse. Da una parte non esistono corsi di formazione ufficiali sul tema, e sta quindi al medico informarsi e capire come prescrivere, in quali dosaggi e in che forma. La seconda ha a che fare con la cultura a cui la cannabis appartiene, e tutto ciò a cui viene associata. Per dirla in parole più semplici, con la difficoltà che abbiamo in Italia di guardare alla cannabis come un medicinale e di trattarla come tale.

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Il vaporizzatore Volcano, utilizzato da un altro paziente per assumere la cannabis terapeutica.

Quando parlando con Carlo ci soffermiamo sul suo attivismo, che va oltre il campo medico, e sulla differenza tra la battaglia per la legalizzazione della cannabis a scopo ricreativo e a scopo terapeutico, mi descrive due linee diverse ma unite: prima riusciremo a sdoganare la cannabis in senso più ampio, prima riusciremo ad accettare che è anche un medicinale. Per la dottoressa Borriello la distinzione è molto più netta. Nonostante ammetta che una sua depenalizzazione potrebbe portare i medici a trattarla con meno preconcetti, crede che finché non capiremo la differenza tra i due diversi “tipi” di cannabis e non li scinderemo sarà impossibile parlarne in modo scientifico.

“Bisogna capire che si tratta di due discorsi completamente diversi. Io non prescrivo canne. Io prescrivo una cura, il più delle volte in gocce, che come tutte le cure deve essere totalmente controllata (nel dosaggio, nella provenienza, nella purezza, nella modalità di assunzione) e che come tutti i farmaci crea dipendenza. Non ha nulla a che fare con la cannabis che si trova in giro, negli effetti e negli intenti. Sono due pianeti diversi. La gente ancora sorride quando racconto del mio impegno nel campo della cannabis medica: c’è un lavoro enorme da fare,” mi dice.

E il lavoro enorme, secondo la dottoressa Borriello, va fatto anche a livello logistico. In Italia, nel 2018, il Ministero della Salute ha autorizzato la produzione di 500 chili di cannabis terapeutica. Di questi, 150 saranno prodotti dallo stabilimento militare di Firenze, e i restanti importati tramite un’azienda canadese e un’azienda olandese (quest’ultima è la sopracitata Bedrocan), con cui l’Italia ha stipulato dei contratti. Tuttavia, si tratta di una quantità insufficiente per sopperire alle richieste dei pazienti che sulla carta ne hanno diritto.

Come mi spiega Carlo, infatti, il fabbisogno viene calcolato dal Ministero della Salute prendendo in considerazione i pazienti che per un intero anno hanno concluso il loro piano terapeutico: una piccola minoranza, come visto finora. In questo circolo vizioso, il risultato è che in Italia, da ottobre, la stragrande maggioranza delle farmacie è sprovvista di cannabis terapeutica.

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Il dottor Emilio Vista.

La farmacia Gallia, dove mi reco su segnalazione di Carlo, ha fatto richiesta a dicembre e dopo quattro mesi ancora non ha ricevuto le scorte. “Dovrebbe essere un percorso abbastanza semplice. Come per qualsiasi farmaco, contatti un magazzino o un laboratorio che dispensa la sostanza, da cui puoi ottenere le tinture madri o il farmaco già fatto. Fai un buono acquisto (ovvero indichi il quantitativo che ti serve) e ti dovrebbe arrivare tutto entro qualche giorno,” mi spiega il dottor Emilio Vista, proprietario della farmacia.

Nonostante questo, mi dice che i magazzini stanno sopperendo adesso alle richieste arrivate a luglio, e in un sistema in cui i ritardi vanno ad accumularsi ad altri ritardi, la cannabis terapeutica che arriverà è già tutta prenotata e i pazienti continueranno a rimanere scoperti. “Da farmacista mi trovo in difficoltà a spiegare ai pazienti che non posso fornire loro una cosa di cui hanno bisogno. Con qualsiasi altro farmaco sarebbe impensabile,” conclude.

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L’interno del Canapa Caffè.

Quando a fine giornata torno al Canapa Caffé, nel retro trovo diverse persone intente ad assumere la loro terapia. La particolarità del locale è proprio questa: la presenza di una stanza destinata ai pazienti muniti di ricetta e farmaci.

All’entrata invece, tutti possono comprare prodotti a base di cannabis o a questa legati—cannabis light, cartine, vaporizzatori, alimentari e altro. Il contrasto è forte, e risulta evidente che la cannabis non è un medicinale come tutti gli altri. Ma potremmo dire che anche i malati che hanno bisogno della cannabis terapeutica non sono malati come tutti gli altri: a loro viene negato il diritto a una cura che la scienza ha accettato e la società ancora no.

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