Addentare una pizza rossa a Roma, magari di notte, sul retro di un forno che te la vende appena fatta, è una delle cose più belle dell’Universo. Voglio dire: c’è niente di più democratico e perfetto e sexy di un quadrato di pizza bassa, ripiegata in due, cosparso di sugo di pomodoro che quasi certamente ti gronderà da un lato del labbro?
Quando a Roma si dice pizza rossa, si intende la pizza bassissima cosparsa solo di sugo di pomodoro fatta in teglia o “alla pala”
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Ora, provate a pensare alla situazione assurda e orribilmente comica di un uomo che decide coscientemente di passare tutta la giornata a mangiare non una, ma dodici pizze rosse in dodici forni diversi. Ecco, se siete anche solo lontanamente riusciti a pensarlo, allora potete continuare a leggere. Perché sì, io e il fido Andrea di Lorenzo ci siamo imbarcati forse nel nostro food tour più difficile. Fatto di pizze rosse in teglia, alla pala, pizzette, “scrocchie” e da una dozzina di fornai romani che se gli dici “poca eh, che sono alla decima”, ti guardano come se fossi fuori di testa. Non perché sei alla decima pizza, ma perché ne hai chiesta poca.
Prima di iniziare, è necessario fare delle precisazioni: quando a Roma si dice pizza rossa, si intende la pizza bassissima cosparsa solo di sugo di pomodoro fatta in teglia o “alla pala”. La pizza alla pala da forno è un ovale gigantesco di pizza. Le sottocategorie della pizza rossa sono: la pizzetta (che è una pizzetta) e la pizzetta rustica (che è una pizzetta di pasta sfoglia). Bene, c’è tutto, possiamo iniziare. Col botto.
La pizza rossa di quartiere: Forno Ferrari al Pigneto
Questi tour non sono fatti per dire chi è il migliore o il peggiore. Però quella che ci siamo mangiati a colazione al Forno Ferrari al Pigneto ci ha fatto volare tutto il giorno. Il nostro tour delle pizze rosse di Roma è iniziato con gli occhi cisposi, come sempre e a stomaco vuoto. A volte mi chiedono come faccia a mangiare tutta quella roba in un giorno e la risposta è: non ci penso e butto giù.
Come si giudica una pizza rossa? Dal sugo. Non deve essere troppo né troppo poco e deve avere quell’equilibrio mistico tra acidità e saporito che ti fa sbavare.
“Mi da un pezzo di quella pizza rossa?”, chiedo alla ragazza al bancone dopo aver diligentemente aspettato che fossero servite le vecchine prima di me. Di sfuggita vedo uscire anche il signor Massimo, che rientra subito a panificare. Per un euro e qualche spiccio, la quantità era onesta, l’impasto sottile e croccante (ad alimentare la straordinaria perversione dei romani che amano tutto ciò che fa crunch) e il sugo saporito al punto giusto.
Ora, come si giudica una pizza rossa? Dal sugo. Non deve essere troppo né troppo poco e deve avere quell’equilibrio mistico tra acidità e saporito che ti fa sbavare senza che ci sia modo di fermare la saliva.
Siamo usciti al sole, ho dato un morso e boom. Le pupille mi si sono dilatate come se mi fossi preso un acido, la bocca ha cominciato a salivare e il cervello continuava a dirmi “ancora ancora ancora, ti prego ancora.” E tutte queste reazioni, per avere una prova semi scientifica, sono le stesse che ha avuto Andrea con la macchina fotografica penzolante. “Io ho 70 anni”, mi dice Massimo, che inforna pani e pizze anche alla sua età con una forza pazzesca. “Il forno ha più di cento anni, ma noi siamo qui da quaranta.” Quarant’anni di pizza rossa racchiusi in una manciata di morsi si fanno sentire. Non si può dire ma oh, tante ci si sono avvicinate, ma nessun’altra l’ha battuta durante tutta la giornata. Il programma però era serrato, era tempo di andare.
La pizzetta di Giustina nella periferia est di Roma
Quando ho parlato di questa ennesima follia di fare un tour mangiando per un giorno intero, ero a bere in un cocktail bar chiamato Drink Kong. Appena ho accennato la cosa, in tre mi hanno subito chiesto con moti d’orgoglio che nemmeno quando abbiamo vinto i mondiali, se intendessi la pizza in teglia, in pala o la pizzetta. Mi sentivo minacciato, quindi ho ascoltato cosa avevano da dirmi quei personaggi che una volta staccato da lavoro fanno da anni la spola tra i forni notturni romani e pure di giorno. Tra loro uno si era preso tanto a cuore la questione della pizzetta che non ho potuto non chiamarlo e farmi fare da Virgilio in questo viaggio nel Paradiso dei carboidrati. Io Dante mezzo fatto di pizza, lui Virgilio de Centocelle.
Perché la pizza rossa è colazione, merenda, pranzo, cena. È il tutto qui a Roma
Alessio, che chiameremo Spadino perché tutti lo chiamano così, ci ha introdotti in questa piccola pizzeria nella periferia est di Roma con un orgoglio smisurato. Da Giustina (che non è un forno, ma a Spadino non si dice di no), a detta sua fanno la pizzetta tonda più buona di Roma. “Se venivate a pranzo la coda arrivava fino a laggiù,” mi dice.
Nell’attesa della pizzetta rossa, visto che è di casa, se n’è presa un’altra. Sono le 11 e non ho ancora idea della raffica di pizza che mi mangerò da lì a due ore. “Da Giustina c’è da na vita. L’amica di mia madre veniva a prenderla uscita da scuola, fai tu. Ah e te la fanno pure ripiena.” Come ripiena??? “La riempiono con quello che vuoi e la piegano e te la magni.” E fu così che, prima della rossa, mi sono fatto una margherita con tonno e salsa yogurt. Poi è uscita: calda, sottile, scrocchiarella. Ce la siamo azzannata uno sull’altro, mentre l’occhio cadeva intenerito sulle crepe che si formavano alla base un morso dietro l’altro.
Extra: siccome Virgilio non è che fa vedere un girone a Dante e poi ciao Core, non abbiamo potuto dire di no a una passeggiata nel quartiere alla scoperta degli altri due forni. Nel primo, da Grano Caffè, abbiamo trovato una pizza rossa alla pala così sottile che era trasparente sul fondo, nella seconda delle pizze in teglia così piene di roba che un quadrato aveva il peso specifico di un mammut in forze.
Roba di gamberetti e salsa cocktail a profusione. La pizza sottilissima aveva anche lo strano difetto di costare 16 euro al chilo, circa cinque euro in più di qualsiasi altro forno provato. Ma più avanti capiremo perché. Arrivederci Virgilio-Spadino.
La pizza rossa kosher: Antico Forno del Ghetto
Quando vi raccontavo che la cosa più bella dell’Universo è mozzicare una pizza rossa presa aprendo una porta del fornaio di notte allungando qualche euro, stavo pensando all’Antico Forno del Ghetto in piazza Costaguti.
Questa è una delle pizze rosse più da sballo della città. Un po’ perché ha quella cosa del sugo che non ti fa fermare un attimo di morderla, un po’ perché te la mangi in uno dei posti più allucinanti di Roma. Palazzi antichissimi, una sinagoga, colonne romane. Cioè, ma dove cazzo la mangiate qualcosa per strada a due soldi davanti a uno spettacolo del genere, compreso di gabbiani che si beccano tra di loro senza nessuno intorno? Pomiciata assicurata.
Se andate alle 12, vi ritrovate in un mare di genitori in fila e di bimbi appena usciti da scuola con la cartella. Tutti rigorosamente con una pizza in mano. Perché la pizza rossa è colazione, merenda, pranzo, cena. È il tutto qui a Roma. Non manca per strada, non manca a tavola insieme al pane.
Per la pizza rossa c’era da aspettare qualche minuto, stava uscendo dal forno in quel momento. E poi, eccola, alla pala, lunga che pareva un’anaconda di pizza e la gente che mi incitava a prendere il bordo o il centro. Rispetto a quella notturna aveva un altro sapore, un po’ più sciapa, ma non è durata più di cinque morsi lo stesso. La crosta croccante, il sugo che colava ai bordi, l’impasto morbido. “Il forno esiste da 150 anni”, mi ha raccontato Mauro, uno dei fratelli che gestisce il forno. “Noi ci siamo dal 2001 e, nonostante non siamo di origine ebrea, abbiamo deciso di fare comunque un forno kosher. Vengono a farci i controlli e dobbiamo usare ingredienti certificati e buoni e le farine senza tracce di miglioratori che le fanno durare di più o grassi animali.”
Mauro dice che è digeribile e io gli credo, ma con quattro pizze in corpo non capisco bene quale lo sia e quale no. Il tempo scorreva, era il momento della storia dei forni romani. Il tempo di andare da Roscioli.
La pizza rossa storica di Roscioli
Se dici pizza rossa a Roma, dici Roscioli. In un inaspettato caldo di Gennaio, io e Andrea abbiamo fatto una passeggiata che aveva la doppia valenza di goderci il sole e non farci addormentare abbracciati alle nostre ginocchia per l’abbiocco post-carboidrati. Un po’ food blogger, un po’ tossici da zuccheri complessi. Roscioli è “IL” forno di Roma. Quattro generazioni di fornai che arrivano fino alla prima metà dell’800 non potevano non essere sinonimo di garanzia. Da Roscioli eravamo stati anche per il Supplì Tour, che non ci aveva fatto impazzire.
Ma tutti possono sbagliare, e quindi era il momento del riscatto. A ora di pranzo gente ce n’è, eccome, quindi ci siamo messi in fila ad aspettare che la signora Anna dietro il bancone ci desse la nostra pizza rossa. Sono undici anni che serve le pizze al taglio lì dentro.
Come di consueto usciamo per addentare. Le palpebre cominciavano a calare e la pancia a lievitare facendomi temere la morte o peggio, di interrompere il tour a metà. Poi ho dato un morso. Croccante, ignorante, con il sugo e tutta oleosa, la pizza rossa di Roscioli non sbaglia mai un colpo. Senza, probabilmente sarei finito a dormire abbracciato a un pellicano. Ho detto che quella del Pigneto era la migliore, ma qui si viaggiava a livelli altissimi. Un saluto ai ragazzi, una passeggiata che sarebbe durata pochi secondi ed eravamo pronti per finire il triangolo dei forni storici in centro a Roma.
L’altra pizza rossa storica: Forno Campo de’ Fiori
Ad avere 200 anni ci sono due forni. E sono uno a tre minuti dall’altro. Se Roscioli è in un vicoletto piccolino e riservato, il Forno di Campo de’ Fiori guarda la piazza con il mercato più famoso della città in modo spavaldo. Come a dire “Venite qui, che vi sfondiamo di pizza come mai in vita vostra.”
Da queste parti c’è un melting pot di turisti, romani e studenti come da nessun’altra parte. E anche qui, come da Roscioli, la pizza rossa è un’istituzione. In vetrina, sempre per non smentire il concetto di spavalderia (ma ci piace), il fornaio impasta pale di pizza con le mani creando delle bolle ipnotiche. Ipnosi e abbiocco, combo perfetta. Prendiamo la pizza rossa, salutiamo uno dei proprietari che sta in cassa tutto distinto e usciamo fuori come un bisogno fisiologico: lo street food deve essere consumato in strada. Punto.
La pizza rossa qui la prendo spesso, costa quanto mezzo rene al mercato nero degli organi, ma è uno incredibile. Quel giorno non particolarmente, un po’ sciapetta. Però aveva una parte acidula che mi ha fatto venire voglia della prossima tappa. Con la base croccante e la parte sopra più morbida poi ero pronto a conquistare il mondo.
La pizza rossa di quello famoso: Bonci
Il centro di Roma ci ha regalato emozioni, era tempo di andare nel forno che tutta Italia conosce: Bonci. Gabriele Bonci ha fatto la storia della panificazione non solo a Roma, ma in Italia e pure fuori, grazie anche alla TV. Gli ingredienti devono essere eccellenti, l’impasto alveolato e leggero e non ci devono essere compromessi.
Si è fatto strada così e la gente faceva la fila per imparare il mestiere da lui. Ora c’è una doppia fila: quella di chi vuole imparare a fare il pane e quella dei clienti a orario di pranzo (a qualunque orario) che vogliono l’ultimo pezzo di pizza. Ci mettiamo in fila, con il fegato a pezzi, ma in orario sulla tabella di marcia e rispondiamo alla ragazza che ci chiede cosa vogliamo una cosa tipo “Eh? Parli con me? Boh, lo sapevo ma non me lo ricordo più. Mi sa della pizza rossa.”
Rispetto alle altre, la pizza rossa da Bonci non solo è alla pala, ma non è nemmeno sottile. Per la prima volta in tutta la giornata (sono le 14 circa), la pizza rossa cambia. Idratata, un po’ alveolata, ci siamo messi come sempre fuori a sbafarci quei quattro pezzetti di pizza tagliati per bene e non ripiegati come una volgare pizza rossa.
Non so bene se il mio giudizio a quel punto della giornata fosse valido o cominciavano dei momenti deliranti come accade ogni volta che ci imbarchiamo in questa follia dei tour in giornata. Però oh, lo devo dire: era sciapa. Ho guardato gli appunti per ricontrollare bene e c’è scritto proprio: “un po’ sciapa ma bell’impasto. Comincio a spegnere il cervello.” Ricordo che l’ultimo morso l’ho dato fissando per interi minuti la targa di un motorino e sentendomi in botta totale.
La pizza rossa di Roma Nord: Dolce Forno
A parte Bonci, trovare un forno nella zona nord di Roma è la cosa che ha incredibilmente richiesto più tempo. Il che conferma solamente il mio astio nei confronti di quella zona di Roma famosa per lo stadio, l’auditorium, Moccia e i fasci. Che sollievo. Stereotipi a parte, è vero che tra conoscenze e google sono riuscito a trovare un solo forno decente nella zona di Flaminio.
Dolce Forno sono Massimiliano e Rita dal 1994. Era forse il primo caso di forno famigliare in cui le storie non andavano oltre i cinquant’anni. Massimiliano e Rita si sono fatti un bel mazzo e in una ventina d’anni sono diventati uno dei forni migliori della zona. Comunque una delle pizze rosse migliori della città ce l’hanno loro. Semplice ma efficace. Il caffè di poco prima aveva risvegliato la fame e il sonno stava diventando una sorta di depressione da carboidrati. Andava fatta rapida.
Un pezzo di pizza rossa e uno di pizza bianca, che la signora Rita ce l’ha offerto e non sapevamo bene come dirle che saremmo probabilmente morti. Non nutrivo molte speranze, visto l’orario e quindi il fatto che fosse ormai fredda. E invece pure da fredda era bella pomodorosa. La regola non scritta è “Se è bona pure fredda, allora è bona davero”. Le forze cominciavano ad abbandonarmi. E mancava tutta Roma Sud.
La pizza rossa paracula: Supplì
Ok, sappiatelo ora. Mi sono sbagliato. Ma c’è un motivo. Supplì a Trastevere, che era un po’ il vincitore del Supplì tour, non è famoso solo per quello. Ha anche una famosa pizza rossa buonissima e dei polli arrosto sensazionali. No, non farò un tour di polli arrosto (forse). Comunque da Roma Nord a Roma Sud, dall’altra parte del Tevere e già mi sentivo meglio.
Dovevo resistere. Entriamo da Supplì a Trastevere e il “mi dia della pizza rossa” è volato senza storie. Ero nel flusso ormai. Surfavo mari di pomodoro e glutine. La pizza rossa mi è arrivata, però c’era qualcosa che non andava. C’era odore di aglio da stendere un cavallo e delle foglioline verdi sbriciolate sopra. “Ma che è una marinara???” “Eh sì,” mi rispondono. Io lo so che non vale ma ormai il danno era fatto. Era una marinara. Ma sugna da morire, piena di olio, di sugo, di aglio e probabilmente se non ci fosse stato un sapore diverso dal solo sugo di pomodoro sarei diventato pazzo.
La pizza rossa del prodigio: Lievito Pizza Pane
Sono le 15.30. Fatico a crederci perché arrivati alla decima pizza mi sembrava non solo sera, ma io mi sentivo più saggio e decrepito. Un albero saggio della pizza. Una delle tappe per cui ero più curioso era Lievito. Lievito Pizza Pane, di cui ammetto di aver sentito parlare solo di recente, è un forno piccolissimo all’Eur. Insomma non proprio un posto dove vai a passeggiare, ecco perché non c’ero ancora capitato. Dentro questo piccolo forno c’è un ragazzo di 24 anni che fa una pizza stratosferica e una gastronomia cotta solo con un forno Rational.
La pizza di Francesco Arnesano era bella alta, piena di sana aria, lavorata con farine bio, condita con pomodoro bio della piccola azienda toscana e da una bella colata d’olio laziale. Ora, lui ha insistito per darci una bella porzione di pizza rossa (e una di bianca, che fai non l’assaggi?). Io in quel momento non sapevo come dirgli che se avessi mangiato più di un morso sarei crollato lì davanti. Ho cercato di temporeggiare parlando con lui per ritrovare fiato.
“Non vengo da una famiglia di fornai ma ho questa passione e da tre anni ho aperto questo posto.” Serio, determinato, integerrimo e gli impasti erano dei capolavori di glutine e aria. Ha fatto anche così tanti panettoni che i sostegni che aveva costruito apposta stavano cedendo. Con tutte le forze che avevo ho dato un morso.
Scordatevi la regola di bassa e scrocchiarella, qua si gioca un campionato diverso. Era medio alta, morbida e croccante insieme e il pomodoro una bomba atomica. Immaginatemi mentre mangio una cosa che mi piace ma non solo non ce la faccio più: il mio cervello è ormai atrofizzato, per cui continuo a sbocconcellare piano piano guardando il vuoto. “Senti ma volete portarvela via?” Mai ho sentito idea migliore. L’ultimo pezzetto l’ho mangiato due minuti fa, due giorni dopo. Era ancora super.
La pizza rossa sugnosa: Albanesi
A Marconi c’è un forno che esiste da 54 anni. Calcolate che la pizza rossa di cui parliamo è nata soltanto nel dopoguerra, si dice perché la proposta dei fornai limitata al solo pane non piaceva più alla gente. Albanesi, il Forno delle Meraviglie è un’altra pietra miliare dei forni romani: un po’ più periferico, di quelli con le signore che comprano ancora il pane per casa.
Sembra scontato, ma ormai prendiamo tutto al supermercato. A suggerirmi Albanesi è stato stavolta Patrick Pistolesi, il proprietario di Drink Kong, quella fatidica sera, raccontandomi leggende su quando ci si andava a prendere la pizza rossa dopo aver fatto serata.
Ero all’undicesima pizza e avrei avuto ancora poca autonomia. Il fatto che la signora Stefania mi avesse servito una delle pizze della giornata con più sugna (la sugna sarebbe il grasso del maiale, ma a Roma si usa per indicare qualsiasi cosa sia unta e grassa e buona) non aiutava. Era così sugna che persino la crosta grondava olio.
Però non riuscivo a smettere di mangiarla. Avete mai letto la lettera di Cesare Pavese alla sorella mandata dal carcere? “Ho l’asma e voglia di crepare. Saluti.” Non avevo l’asma, ma arrivato a quel punto una gran voglia di crepare sì. Felice ma comunque morto.
La Scrocchierella rossa: Marchetti
Non di sola pizza rossa può vivere il l’uomo. Ecco perché hanno inventato anche la pizza Scrocchia. La perversione tutta romana del crunch in bocca raggiunge qui il suo apice: una pizza -bianca o rossa- come quelle da forno, ma sottilissima e biscottata. Che ti si frantuma in bocca come fosse un gigantesco boh, cracker di pizza???
Insomma la Scrocchia entra di diritto nel campionato delle pizze rosse. È una pizza rossa che scrocchia sotto i denti. Sono le 17, questa è la mia boh, che importa che numero di pizza sia? E sto per mangiare non solo l’unica pizza scrocchiarella della giornata, ma da chi ha inventato la Scrocchia rossa a Roma. Al forno Marchetti ci si ferma dopo una giornata al mare d’estate, perché è leggera, tu sei affamato e quando scendi dalla moto sei sempre un po’ una bestia con la voglia di sbriciolarti ovunque.
Se la pizza Scrocchia bianca è conosciuta in tutta Roma, ho scoperto con questo tour che quella rossa no. Stefano, che ha 46 anni, a quanto pare è colui che ha inventato questa pizza, 20 anni fa. “Noi siamo stati i primi a farla, ma se la trovi in giro sono quasi tutte delle imitazioni riuscite così e così”, mi dice.
Stefano è laureato e ha deciso che nella vita voleva fare il fornaio, affare di famiglia da un po’. Comunque, la pancia stava per esplodere in mille pezzi ma uno spazietto per la Scrocchia rossa che è fina fina lo si trova sempre. Il segreto rimane un segreto, a scrocchiare scrocchiava e il sugo è stupefacente: non deve essere troppo, o l’ammolla. Non deve essere poco, sennò non ha senso. E quello che c’è, che sporca appena la pizza, deve attaccarsi all’impasto come se fosse un affresco della panificazione moderna.
La mia pizza rossa: L’acquolina di pane
Sono quasi le 18. In qualche modo siamo arrivati alla fine del tour. Con tredici pizze rosse in corpo e innumerevoli assaggini di altre pizzette, pizze, pani, caffè e dio solo che altro. L’ultima -lo sapevo fin dall’inizio- avrebbe dovuto essere il pizzicarolo sotto casa. Un po’ perché dai, Maurizio mi serve quella pizza praticamente ogni settimana. Un po’ perché così ho scroccato un passaggio a casa, che sta sotto la discesa della collina (così alle brutte ci arrivavo rotolando). La pizza rossa di Maurizio de L’Acquolina di Pane, che ha un forno alimentari di quelli dove ci trovi i biscotti quanto la mortadella e le uova, è della categoria morbida. La pizza rossa piò essere sostanzialmente in due modi: con il fondo scrocchiarello e con il fondo morbido. Quella con il fondo morbido, non per una ragione storica, mi ricorda il momento della merenda tipo da bambino. Mi piace per questo, perché è buona ma senza pretese.
Ecco, il forno di fiducia è sempre tra i migliori. Maurizio è il mio. Alla fine ho preso coraggio e gli faccio: “Maurizio, ma ce la facciamo una foto insieme?” Titubanza. Posa da foto ufficiale. Per tutto l’anno posso essere felice.
Ricapitolando: 14 pizze, tutta Roma da Nord a Sud, Est e Ovest. Facce, sole, passeggiate e un principio di qualche malattia strana che mi prenderò solo io perché solo io posso fare una cazzata del genere (non provateci a casa, sul serio). Ora posso svelarvi un segreto: la pizza rossa è la mia preferita, non mi nausea ho scoperto nemmeno dopo una giornata intera a mangiarla.
Quindi sono arrivato a casa, mi sono messo sul divano a fissare il vuoto e non so come, ma dieci minuti dopo, stavo ciucciando un pezzo di pizza rossa che mi ero portato dietro. Ciao, me ne vado a prendere altra.
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