Come la città più vivibile d’Italia è diventata ossessionata dal “degrado”

La “famiglia Giuliani”. Tutte le foto di Nicola Novello.

Una delle prime cose in cui ci si imbatte arrivando a Trento con il treno delle 21:56 è la famiglia Giuliani proprio lì, fuori dalla stazione centrale: padre, madre, bambina e bambino, perfetta rappresentazione della famiglia tipica trentina. Quantomeno stando alla targhetta posta alla base della statua, installata nel bel mezzo di Piazza Dante. Probabilmente però, queste figure di bronzo sono anche la cosa più simile a una forma di vita che si potrà incontrare camminando a quell’ora per le vie del centro storico.

Il che è strano, per una città che conta più di 18mila studenti universitari—su 110mila abitanti—e che è costantemente ai primi posti nella classifica dei migliori poli accademici italiani. Ma questo non è l’unico primato di Trento: si tratta infatti della città più vivibile d’Italia, come stabilito da una ricerca condotta dal Dipartimento di Scienze Sociali dell’Università La Sapienza di Roma che prende in esame parametri come ambiente, lavoro, servizi, tenore di vita, disagio sociale e criminalità.

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Eppure, è proprio su questi due ultimi punti—disagio sociale e criminalità—che si concentra da qualche anno una parte importante del dibattito locale, quella che vuole Trento come una città assediata dal “degrado”. L’ho scoperto tramite gli articoli della stampa locale condivisi da amici che vivono e studiano in città, articoli che si propongono di raccontare “l’altra faccia” del capoluogo, fatta di “spaccio, risse e degrado,” paragonano Trento a Ciudad Juárez e scrivono di minorenni che “si avvinghiano ai tunisini come fossero dei tronisti, leccandosi le labbra per la dose che verrà.”

Gli stessi toni li ho poi ritrovati nei post e nei commenti di alcuni gruppi Facebook locali, come questo o questo, e fin da subito ho iniziato a pensare a come l’isteria sul “degrado,” che si accompagna a una concezione di “decoro” molto politicizzata, non riguardi solo le grandi città come Roma, ma abbia ormai sfondato anche nei posti più insospettabili—come, appunto, Trento. È per questo che, accompagnato da uno degli amici di cui sopra, Giuseppe, ho deciso di fare un giro in città e capire cosa ci sia dietro i titoli allarmistici.

Il “calendario dell’Avvento della legalità” realizzato dai residenti della Portela a dicembre.

Il punto di partenza, la mattina successiva al mio arrivo, è il quartiere della Portela, considerata, assieme a piazza Santa Maria Maggiore, un’area particolarmente calda per la presenza di spacciatori e per il numero di studenti che vi si riversano in orario aperitivo. La zona, recentemente rinnovata, si presenta come una normale via di transito di un centro cittadino: anziani con la borsa della spesa, studenti, negozi aperti e qualche kebap.

La nostra attenzione viene però attirata dalle finestre di alcune abitazioni. Qui sono appesi striscioni che recitano “Chi di droga ferisce, di droga perisce,” o ancora “Polizia + Legalità = Civiltà”. Si tratta del calendario dell’Avvento della legalità: un’iniziativa che ha visto alcuni abitanti della zona esporre, dall’1 al 24 dicembre, un cartellone al giorno con slogan contro il degrado e l’illegalità del quartiere.

La stessa piazza, circa un anno fa, era stata al centro delle cronache per un’altra vicenda che sembra uscita da un racconto di Douglas Adams: l’installazione di un emettitore di ultrasuoni a frequenze percepibili solo da orecchie in età universitaria. E se questo dissuasore di divertimento è poi stato rimosso, si è mantenuta invece costante la ritrosia della cittadinanza ad accettare che gli studenti facciano gli studenti. A riprova di ciò ci sono gli innumerevoli tentativi di apertura di locali-meteora soffocati nel giro di pochi mesi dalle lamentele dei vicini e dai provvedimenti amministrativi, mentre in questi giorni in zona si stanno organizzando ronde private, “per riappropriarsi di una parte della città considerata ormai sotto il controllo degli spacciatori.”

Proseguendo il giro in centro, io e Giuseppe arriviamo in piazza Duomo. Qui ci fermiamo a parlare con i tre rappresentanti del gazebo Stop al degrado della Lega, uno dei partiti più attivi sul tema.

“Non voglio essere razzista, ma quando succede qualcosa ci sono sempre di mezzo loro [gli immigrati],” ci dice il più anziano dei tre. “Siamo a rischio, ecco perché vedi così tanta polizia,” continua indicando i due blindati e le tre volanti poste lì intorno. “C’è sempre il timore di poter essere vittima di qualche rappresaglia politica.”

La militarizzazione pare in effetti una vera e propria costante per le vie del centro città, generando, soprattutto di sera, l’effetto visivamente paradossale di strade vuote a eccezione delle forze dell’ordine. La già citata piazza Santa Maria Maggiore, ad esempio, è stata nel periodo estivo e autunnale quotidianamente presidiata da una speciale unità di polizia antidegrado—tre volanti parcheggiate nelle ore di massima affluenza di studenti, risultato dell’ampliamento del corpo di Polizia Locale promesso dal Sindaco Andreatta.

Mercoledì universitario in via Belenzani, ore 22.30. In fondo, Piazza Duomo.

Ed è sempre al sindaco Andreatta che si deve il provvedimento che vieta la vendita di alcolici d’asporto dopo le 21 nell’area di Santa Maria Maggiore. Oltre a questa, sono state promosse altre misure di stampo più creativo, come l’introduzione di un tetto massimo di quattro membri per le band che volessero esibirsi nei locali; o l’installazione di una serie di ringhiere sui muretti dove si era soliti sedersi con un drink presso i locali più frequentati.

La sera attraversiamo le vie semi-deserte per raggiungere piazza Dante, altro luogo del centro identificato come altamente “a rischio,” tanto da portare alcuni consiglieri comunali a invocare l’intervento dell’esercito. Qui ci aspettano i ragazzi di Volontarinstrada, un’associazione che due volte a settimana distribuisce cibo e bevande a qualche decina di senzatetto. In realtà a Trento ce ne sono più di 500, una cifra sorprendente se si considera la ricchezza della città ed il numero di immobili pubblici sfitti.

“Nell’ultimo anno la stigmatizzazione mediatica di questa piazza, e la conseguente presenza costante di forze dell’ordine, hanno allontanato quei disperati che qui trovavano uno dei pochi spazi di socialità,” mi dice Claudio, presidente dell’associazione. “Si è finito col nascondere il problema senza tentare minimamente di risolverlo.”

La volante dei Carabinieri e la troupe RAI in piazza Dante.

Mentre stiamo parlando, mi accorgo dell’ennesima volante dei Carabinieri appostata, con le sirene accese, a qualche decina di metri da noi. Nulla di nuovo, non fosse che a un certo punto arriva una macchina della RAI, da cui scendono due operatori che in un attimo montano treppiede e telecamere, puntandole verso la piazza. Al segnale del cameraman, la volante sgomma e si esibisce in una ronda sotto i riflettori della telecamera, per poi scomparire nel desolante orizzonte notturno. Incuriositi dalle riprese dello spin-off trentino di Carabinieri, scopriamo dagli operatori—che intanto hanno già smontato tutto—che si tratta di un semplice “servizio sulla messa in sicurezza dell’area.”

In un contesto in cui il “degrado” viene spettacolarizzato e montato ad arte in questo modo, a subirne le conseguenze sono soprattutto certe categorie sociali. È il caso di alcuni esercenti delle zone più colpite dalle ordinanze. Syed, titolare bengalese di un alimentari in Santa Maria Maggiore, ci racconta di aver visto crollare le sue entrate da quando il Comune ha vietato la vendita di alcolici d’asporto. “Spero qualcosa cambi, così non riuscirò ad andare avanti,” dice mentre riordina gli scaffali.

Syed nel suo negozio.

Le vittime della lotta al degrado sono anche i clienti di Syed, gli studenti. “Nel momento in cui si creano situazioni di socialità, tipo in piazza Santa Maria, si cerca subito di limitarle attraverso la militarizzazione,” ci raccontano i ragazzi del collettivo studentesco Refresh. Questo condiziona sia la partecipazione che la voglia di muoversi all’interno della città, impedendo la creazione di un senso di appartenenza al territorio. Gran parte degli studenti finiscono così per “scappare” nelle rispettive città d’origine nei fine settimana.

Per provare ad invertire questa tendenza, alcuni artisti locali hanno dato vita al collettivo I Know A Place. Il gruppo ha organizzato una serie di concerti a sorpresa in varie zone della città, sottolineando come la questione della sicurezza, in nome della quale si svuotano le piazze sia intrinsecamente connessa alla dimensione culturale della città, che di quelle piazze vive.

L’utilizzo degli spazi, a Trento, è comunque un problema più complesso di quel che sembra. Solo negli ultimi cinque anni, gli alloggi a gestione pubblica rimasti sfitti sono aumentati del 50 percento, arrivando a superare le 1200 unità a fronte di circa 4000 domande pendenti. Le cause di questa inefficienza vanno rintracciate nei tempi della manutenzione edilizia e in quelli della burocrazia, ma resta innegabile anche una profonda responsabilità gestionale dell’Istituto Trentino di Edilizia Abitativa, leader locale del mercato immobiliare.

La nuova sede del Centro Sociale Bruno, quartiere Piedicastello.

Un caso emblematico è quello del Centro Sociale Bruno, che ha alle spalle un passato di occupazioni, sgomberi, nuove occupazioni e, ancora, nuovi sgomberi. Abbiamo passato un pomeriggio con i ragazzi del collettivo nella loro nuova casa, l’ex palazzina dirigenziale dell’Italcementi nel quartiere Piedicastello. Quello che fino a due anni fa era un cumulo di macerie e tubature rotte, oggi si presenta come un puzzle di stanze colorate, tra aree concerto, osteria, bar, sala prove e biblioteca.

“In passato la risposta delle istituzioni è stata di chiusura,” ci racconta uno dei responsabili del Centro. “Noi abbiamo sempre occupato con il fine di ottenere un pieno riconoscimento istituzionale, sull’esperienza di altri centri sociali d’Italia.” Oggi sembrano esserci riusciti, avendo ricevuto dal Comune lo spazio in comodato d’uso gratuito.

Nonostante questo stato di riconoscimento legale, non sono comunque finite le frizioni con la Provincia di Trento, che ha chiesto oltre 400mila euro di danni per l’occupazione dello stabile ex-dogana, vecchia sede del Bruno. Un importo, questo, calcolato sulla base di un algoritmo che tiene conto dell’affitto medio trentino e lo moltiplica per le mensilità dell’occupazione, che avrebbe, secondo l’accusa, bloccato un utilizzo ed una riqualificazione dello stabile.

Il che è una strana visione delle cose, per un edificio che prima dell’arrivo dei ragazzi del Bruno era abbandonato da molti anni e che nel 2013 è stato abbattuto per farci un parcheggio—l’ennesimo, siccome la stessa sorte è toccata sei anni prima all’altra sede del Centro, l’edificio ex-Zuffo. “Dove passiamo noi creano parcheggi,” ci dice sarcastico uno dei ragazzi.

Santa Maria Maggiore, poi

Uno degli edifici occupati dagli anarchici insgomberato e murato.

Il problema degli immobili sfitti è stato sollevato di recente anche dal collettivo anarchico cittadino, protagonista di diverse occupazioni. L’ultima di queste, in via Pio X, è un condominio di proprietà ITEA di quattro piani con 28 appartamenti. Dopo anni di totale abbandono, l’immobile era diventato con l’occupazione uno spazio di aggregazione—chiamato “l’Assillo”—che ospitava feste, concerti ed assemblee pubbliche. A fine gennaio è arrivato lo sgombero, un’azione tardiva stando alle parole del questore di Trento, che ha sottolineato come non si sia potuto procedere prima a causa di altre contingenze urgenti quali “il Giubileo, l’ISIS e i mercatini di Natale.”

Siamo andati a vedere come si presenta oggi l’immobile, trovandoci davanti una palazzina completamente murata in ogni sua via d’accesso e finestra. Lo stesso scenario ci si è presentato quando abbiamo raggiunto altri due immobili, prima occupati, poi sgomberati (in un caso con cariche delle forze dell’ordine) e prontamente impacchettati di mattoni e calce per evitare una nuova occupazione da parte del collettivo.

Quella degli anarchici è un’altra delle fobie di Trento, tant’è che l’equazione “occupazioni = degrado” è un mantra della quotidianità locale, sia per i media che per molti politici. Uno su tutti Claudio Cia, consigliere comunale di Civica Trentina, noto per aver ricoperto di sacchi di pannoloni una sala del Comune nell’ambito della sua battaglia contro il decreto comunale sui rifiuti, così come per aver catturato e regalato alcuni conigli al Sindaco per protestare contro l’invasione dei leporidi nel cimitero cittadino.

“Noi non conoscevamo, se non sui libri che parlavano del terzo mondo, queste realtà. Non eravamo abituati,” ci racconta il politico, che sul suo sito web etichetta Trento come “città del quarto mondo.” “Queste persone hanno una vocazione a non rispettare le regole e sono un problema per tutto il Trentino,” aggiunge quando gli chiediamo del collettivo. “Io non sono di CasaPound, ma almeno i suoi militanti non vanno in giro a occupare, bruciare e imbrattare.”

Stando a un rapporto stilato dall’Osservatorio contro i fascismi basatosi su fatti di cronaca e testimonianze dirette, da quando è nata la sezione locale del gruppo, nel 2013, ci sarebbero tuttavia state almeno 15 aggressioni ai danni di militanti antifascisti o presunti tali. Sebbene nella maggior parte dei casi CasaPound abbia negato l’accaduto, le testimonianze dirette così come i procedimenti giudiziari raccontano una realtà diversa.

Altrettanto importante è però notare la scarsa presa che il movimento ha avuto sulla cittadinanza, limitando la propria attività politica in città, oltre che ai soliti eventi di approfondimento ventennio-nostalgici, ad azioni più che altro simboliche come striscioni e volantinaggio anti-immigrazione e anti-degrado, e rivendicazioni a gran voce di qualsiasi-cosa-ma-prima gli italiani.

Per muoverci meglio in questa giungla fatta di racconti mediatici, allarmismi e rivendicazioni sociali, ci siamo anche appellati ai numeri, così da avere un quadro empirico della situazione trentina. Per farlo abbiamo incontrato Andrea Di Nicola, Professore di criminologia all’Università degli Studi di Trento, che dal 2011 coordina eCrime, gruppo di ricerca finanziato dall’UE che indaga i legami tra studio della criminalità e tecnologia.

Carabinieri di guardia al gazebo Stop al Degrado.

Una delle sue concretizzazioni è eSecurity-Trento, un sistema informativo georiferito che analizza in modo statistico la sicurezza urbana, a partire da fonti che vanno dai reati denunciati alla polizia alle indagini di vittimizzazione (interviste telefoniche in cui si chiede a un campione di popolazione se è stato vittima di determinati reati), fino alla percezione della sicurezza e del disordine urbano. Una volta raccolti, questi dati vengono messi a disposizione delle amministrazioni e delle forze dell’ordine.

“Trento è sicura, avendo tassi di criminalità molto più bassi rispetto alle città limitrofe e al resto d’Italia,” ci dice il professore. Ma allora perché viene percepita da ampi strati della popolazione come una realtà paragonabile “alla Los Angeles post Rodney King”? Secondo Di Nicola, il motivo per cui si parla di degrado non sempre è legato alla realtà oggettiva. Ci sono fattori soggettivi, non sempre connessi alla criminalità, che modificano la percezione del contesto in cui si vive. Tra questi, la crisi economica, o il modo in cui vengono raccontati certi processi contemporanei, uno su tutti quel flusso migratorio descritto da più parti come una temibile e inarrestabile invasione.

Se a Trento questo è un discorso di profonda attualità, non perde comunque di valore trasferendolo su altre realtà urbane italiane di media-piccola dimensione. Secondo Andrea Mubi Brighenti, professore di Sociologia Urbana presso l’Università degli studi di Trento, “quello che avviene qui è rappresentativo della città di provincia italiana, con la tipica attitudine a guardare in piccolo e una difficoltà a collocarsi in uno scenario ampliato. C’è una tendenza intrinseca a vivere in uno stato d’assedio e di paura che le grandi forze del mondo arrivino a casa tua.”

È il caso di Santa Maria e della Portela, in cui si scontrano due visioni opposte della città: da una parte chi crede che il valore urbano sia incarnato dal tema della sicurezza; dall’altra chi aspira a un modello cittadino fondato sul fermento socio-culturale.

Scritta su un muro in piazza Dante.

Il fatto che oggi le amministrazioni locali tendano a favorire l’approccio securitario, in una perenne e ossessiva ricerca dell’ordine, priva la città del suo dinamismo. E questo è esattamente ciò che sta avvenendo a Trento. “Le occupazioni degli anarchici sollevano un problema, la mancanza di spazi,” ci spiega Brighenti, che sottolinea come ci sia storicamente una tendenza ad applicare un modello domestico agli spazi pubblici. “Quest’impostazione porta a una recinzione, se non addirittura a una chiusura degli stessi, spesso in un’ottica meramente economica.”

L’ultima sera che sto a Trento ci prendiamo una birra in uno dei pochi bar aperti. Parlando con un amico, ci ricorda di quando quest’estate si trovava in piazza Duomo a suonare la chitarra con un gruppetto di amici, fino a che una volante della polizia li ha costretti ad andarsene. Questo fatto racconta, meglio di qualunque altro, come la retorica del degrado stia finendo per nascondere i problemi reali di questa città.

Uno studente che fa aperitivo, o una tag, vengono visti come un problema più di quanto possano esserlo 1200 immobili sfitti e 500 senzatetto. La conseguenza è quindi che la città si ritrova a vivere in uno stato di apatia, e le vie semi-deserte del centro sono lo specchio del senso di estraniazione che sempre più colpisce i suoi abitanti.

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