Perché la Folgore è considerata la frangia più ‘fascista’ delle forze armate italiane

Nell’estate del 1999 il 26enne Emanuele Scieri parte da Siracusa per svolgere il servizio militare di leva. La sua destinazione è la caserma ‘Gamerra’ di Pisa, casa della Folgore, l’elite delle forze armate italiane.

La sera del suo arrivo, però, le tracce del giovane siciliano si perdono. All’appello delle 23.45 lui non risponde, e anche il giorno successivo non si fa vivo. Nessuno sembra preoccuparsi della sua assenza misteriosa.

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Tre giorni più tardi il cadavere di Emanuele Scieri, già in stato di decomposizione, viene ritrovato ai piedi della torretta di asciugamento all’interno della struttura. I lacci delle sue scarpe sono legati insieme. Sulle mani riporta i segni di uno scarpone e un dito rotto. Sui piedi ha delle evidenti escoriazioni.

Il ragazzo muore dopo un volo di 12 metri, caduto dopo essersi arrampicato sulla protezione della scaletta esterna della torre.

Il comandate della caserma adombra subito l’ipotesi del suicidio. Ma i genitori e gli amici di Emanuele non vogliono credere che quel “ragazzo tranquillo e senza problemi” si sia tolto la vita. E le prove, in effetti, sembrano avvalorare questa tesi.

Per loro si tratta di nonnismo: un rito di iniziazione o un sopruso compiuto dai commilitoni, e finito tragicamente.

Come ipotizzato successivamente dai magistrati della procura di Pisa, è probabile che Scieri sia stato “costretto a salire la scaletta, senza nessuna protezione e con un oggetto contundente colpito ai piedi e alle mani affinché cadesse.”

La verità, però, non è mai venuta a galla. L’inchiesta di Pisa è stata rapidamente archiviata, mentre un’altra indagine interna non ha portato ad alcun esito.

A far luce sul caso di Emanuele Scieri ci sta provando una commissione parlamentare d’inchiesta che ha cominciato i suoi lavori lo scorso aprile.

Diciassette anni più tardi, la morte dell’allievo siciliano fa ancora discutere, perché ritenuta simbolica di un ambiente in cui la violenza e la prevaricazione vengono spesso sottaciute, se non apertamente incoraggiate. Allora, come oggi.

Secondo Charlie Barnao, sociologo dell’Università di Catanzaro ed ex paracadutista e autore di studi etnografici sulle forze armate, si tratterebbe di un sistema frutto di un modello educativo che mira alla formazione di “personalità autoritarie e fasciste.”

Delle tendenze filo-estrema destra che animerebbero i paracadutisti della Folgore se ne parla da tempo, un dibattito ancora aperto che si muove tra luoghi comuni ed evidenze.

Discendente diretta del Battaglione Fanti dell’Aria di Italo Balbo, squadrista di spicco e noto gerarca fascista, le radici della Brigata affondano nel Ventennio. Da quell’epoca il corpo ha mutuato alcune delle sue tradizioni.

Due anni fa fece scandalo un video circolato su internet nel quale una trentina di ex parà intonano una versione riadattata di ‘Se non ci conoscete’, inno dei tempi mussoliniani.

“Lo sai che il paraca ne ha fatta una grossa, si è pulito il culo con la bandiera rossa. Bombe a mano e carezze col pugnal,” cantavano i baschi amaranto prima di chiudere la performance col braccio teso.

Il sentimento nostalgico del mondo della Folgore si muove anche su Facebook. Sono diverse le pagine e i gruppi legati alla Brigata dove compaiono post che osannano il Duce o l’essere ‘italiani veri’, spesso con espressioni apertamente razziste.

Accanto a un’infatuazione per il Ventennio, tra i ranghi della Folgore si inserirebbe però – a detta del professor Barnao – anche un fascismo più sistemico, strutturale. Non tanto legato a simboli folkloristici ma alla mentalità acquisita all’interno della caserma.

“I due tipi di fascismo che si incontrano nella forze armate sono sia quello storico-culturale, che uno di tipo psicologico,” spiega a VICE News Barnao. “Ci sono dei riferimenti culturali ben precisi — basta leggere i resoconti di Bolzaneto e Diaz. Il retaggio della cultura fascista è ampiamente presente e dimostrato all’interno delle Forze Armate.”

Dopo aver svolto l’anno di leva nella Folgore, il ricercatore ha osservato come le personalità dei parà possano essere associate ai tratti caratteristici della Scala F – un modello teorizzato dalla Scuola di Francoforte.

Il rispetto per le convenzioni, la sottomissione all’ordine vigente, la mancanza di introspezione, la superstizione, le credenze stereotipate, l’ammirazione per il potere e la durezza, l’emersione di tendenze ciniche e distruttive. Queste sarebbero alcune delle caratteristiche della personalità fascista che verrebbero in qualche modo ispirate dai processi di addestramento.

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“L’apprendimento dell’aggressività all’interno delle istituzioni militari si basa su modelli di psicologia comportamentista e punta all’esplicita formazione di personalità autoritarie e fasciste,” continua Barnao.

“Il modello si basa sul principio stimolo-risposta. Il suo nucleo fondante è quello dell’utilizzo della frustrazione e dell’aggressività per formare il soldato. Questo modo di comportarsi viene diffuso attraverso degli specifici rituali che scandiscono la vita quotidiana nella caserma.”

Tra i riti che gli allievi della Folgore seguono all’interno di un training durissimo quello più significativo è la cosiddetta pompata, una serie di flessioni sulle braccia che il soldato esegue su ordine di un superiore.

La pompata è un segno distintivo della Brigata, un simbolo che – nella logica militare – ricopre di rispetto i ‘veri’ parà.

Di pompate ne esistono diverse, tutte con le proprie regole precise. C’è quella punitiva per chi si è dimostrato indisciplinato o irrispettoso — in questo caso, l’allievo, impegnato con i piegamenti a terra, può essere picchiato a piacimento dal superiore. Poi c’è la pompata del basco a terra: ogni volta che un parà fa cadere il suo berretto, oggetto di culto tra i commilitoni, deve eseguire almeno venti flessioni tenendo il basco tra i denti.

“Il rituale della pompata racchiude in sé i principali elementi costitutivi della suddetta Scala F,” scrivono Barnao e il collega Pietro Saitta in uno studio intitolato “Costruire guerrieri: autoritarismo e personalità fasciste nelle forze armate italiane”. “Sadismo e masochismo, rispetto per le convenzioni, sottomissione per l’ordine vigente.”

“È quindi attraverso questo rituale… che molti degli elementi che costituiscono il modello della personalità autoritaria e fascista vengono riprodotti, trasmessi e insegnati.”

La pubblicazione di quel testo, avvenuta nel 2012, destò numerose polemiche. Risentiti dall’analisi dei ricercatori, un gruppo di ex parà aprì un sito web (Il canguro è forte e salta con la morte) con il solo scopo di smontarlo pezzo per pezzo. La notizia venne poi ripresa da Il Giornale che attaccò il lavoro degli accademici montando un caso.

Sulla spinta di questo risentimento popolare, l’articolo venne rimosso dall’editore, una piccola rivista scientifica dell’Università di Messina. I due autori, però, continuano la propria ricerca e nel 2014 una versione, aggiornata e in inglese, dell’opera viene pubblicata su Capital, Nature, Socialism, una testata accademica americano.

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Per Barnao questo addestramento di stampo autoritario ha implicazioni più ampie, che si diramano ben oltre la vita di caserma.

Dagli anni Novanta in Italia, come nella maggior parte dei paesi occidentali, sarebbe in atto un fenomeno di doppia conversione: da un lato, le forze dell’ordine subirebbero un processo di militarizzazione e, dall’altro, le operazioni dell’Esercito verrebbero sempre più etichettate come attività di ‘polizia internazionale’.

In Italia, in particolare, sono sempre più numerosi gli ex militari presenti tra le fila della Polizia — la legge che nel 2004 ha messo fine alla leva obbligatorio stabilisce un canale preferenziale per il loro reclutamento.

“Puntare a un tipo di personalità di questo genere fa si che queste persone in condizione di particolare stress possono tenere comportamenti sadici e di violenza incontrollata,” sostiene Barnao. “Soprattutto, in occasione di missioni internazionali o nella gestione dell’ordine pubblico.”

Ci sarebbe quindi un collegamento diretto tra l’addestramento seguito in caserma e le violenze perpetrate sul campo.

“Questo modello funziona benissimo con gli animali: cani, piccioni,” conclude Barnao. “È potente, economico, ma molto semplicistico. Fornisce indicazioni su come agire in modo automatico. Quando si deve intervenire in situazioni complesse come quelle odierne, però, non funziona più.”


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Foto via pagina Facebook “Folgore”.