Questo post fa parte della Guida di VICE alla salute mentale, realizzata da VICE in collaborazione con Progetto Itaca in occasione della Giornata mondiale per la salute mentale. Puoi vedere tutti gli articoli della serie qui.
Qualche tempo fa ho scoperto che le formiche volanti sono formiche normali. Nel senso che quando c’è la necessità di riprodursi e fondare un nuovo formicaio, alcune formiche (regine e maschi) sviluppano le ali e vanno alla ricerca di possibili partner di altre colonie. Ma come è possibile?
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La risposta a questa domanda ci viene fornita da una branca della genetica che si chiama epigenetica. L’epigenetica studia le differenze tra individui con lo stesso DNA, come nel caso delle formiche. Con le ali e le formiche funziona così: tutte le formiche di un dato formicaio hanno un DNA molto simile (sono tutte figlie della stessa regina) all’interno del quale è compreso il gene-ala, ma questo gene-ala può esprimersi (concretamente: possono nascere formiche alate) oppure no a seconda di una serie di fenomeni ambientali come ad esempio la temperatura, la pioggia e così via. Pazzesco, no?
Questa storia delle formiche mi è utilissima perché con gli esseri umani funziona più o meno allo stesso modo. Non nel senso che nasciamo con le ali, ma nel senso che le caratteristiche che ci definiscono come individui sono frutto sia delle predisposizioni genetiche iscritte nel nostro DNA che dell’ambiente che ci alleva. Nel caso dei disturbi mentali l’effetto dell’ambiente sulla salute psichica delle persone è incredibile. In psicologia per esempio esiste una lunga tradizione di studi che si concentra sui gemelli omozigoti. I gemelli omozigoti hanno lo stesso corredo genetico, quindi le differenze tra individui sono da imputare soltanto all’ambiente. Con la schizofrenia ad esempio c’è un tasso molto alto di ereditarietà tra gemelli omozigoti, ma non per questo nelle coppie di gemelli in cui uno dei due è schizofrenico lo sarà anche l’altro invariabilmente. Questo vuol dire che larga parte dello sviluppo psicologico delle persone è a carico del contesto.
In psicologia, e in particolare in psicopatologia dello sviluppo, esiste il concetto di vulnerabilità. Immaginiamo di avere una famiglia in cui esiste una storia di schizofrenia. In questa famiglia ci sarà un rischio più alto per i membri delle varie generazioni di sviluppare la schizofrenia. Questo rischio si chiama vulnerabilità, nel caso particolare, vulnerabilità per la schizofrenia. La vulnerabilità ereditaria può essere però tamponata dalle circostanze, come le ali delle formiche. Le circostanze negative, come lo stress, i traumi e via dicendo sono fattori di rischio, mentre le circostanze favorevoli sono fattori di protezione. Nel corso della vita di ciascuno di noi ci sarà un certo numero di eventi negativi o positivi che di volta in volta andrà a minare la nostra vulnerabilità. Fattori di rischio, protezione e vulnerabilità non sono concetti stabili nel tempo, ma variano a seconda di un milione di circostanze, si intrecciano tra di loro e sono sempre in movimento.
Seguendo questo ragionamento, quando l’ambiente in cui cresciamo è povero di stimoli, stressante o violento, il bambino si troverà a dover fronteggiare innumerevoli fattori di rischio e pochi fattori di protezione.
Ora, il nesso tra povertà e salute mentale è sempre stato piuttosto noto, ma fino a qualche tempo fa non si sapeva come interpretarlo. Quando si notano due elementi (in gergo: fattori) che si muovono insieme, come nel caso della povertà e della salute mentale, si possono fare diversi errori di interpretazione, come per esempio nel caso del numero di film in cui compare Nicolas Cage in un dato anno e il numero di morti in piscina in quello stesso anno.
Piscine e Nicolas Cage a parte, per diversi anni la comunità scientifica si spiegava il binomio povertà-salute mentale così: avere una malattia mentale porta gli individui a diventare poveri. Questa ipotesi, che si chiama ipotesi di selezione sociale, è solo in parte affidabile. Se è vero che in molti casi chi sviluppa un disturbo mentale rischia di non avere un’occupazione e quindi di emarginarsi sempre di più dalla società, allo stato attuale delle cose sembra che sia ancora più vero il contrario: crescere in un ambiente svantaggiato aumenta la probabilità di sviluppare diversi disturbi mentali complessi perché pone una serie di ostacoli e carenze concrete che minano la salute psicologica dei bambini prima e degli adulti poi. Questa ipotesi, attualmente la più battuta per la maggior parte dei disturbi mentali, si chiama ipotesi di causazione sociale.
In uno studio del 2005 si evidenzia come le persone con un reddito più basso (in gergo: SES) corrano un rischio di sviluppare la schizofrenia otto volte maggiore rispetto a chi gode di un SES alto. La situazione però non è così chiara: la maggior parte dei risultati degli studi che indagano la relazione tra povertà e disturbi mentali sono piuttosto difficili da interpretare: in uno studio del 2016 che si chiedeva se il SES potesse essere un buon predittore per la depressione in vari paesi europei, i risultati hanno dimostrato che sì, lo è, ma probabilmente perché le persone meno abbienti sono anche meno scolarizzate, e la scolarizzazione è stata riconosciuta come un fattore che può proteggere le persone dallo sviluppare le malattie mentali.
La povertà comprende al suo interno un insieme infinito di variabili, ed è difficile capire quali siano quelle che pesano di più nel determinare la comparsa di disturbi mentali. Il livello di educazione, ad esempio, sembra essere un fattore di protezione importante nel determinare la salute mentale delle persone. Altri fattori di protezione sono l’accesso alle cure mediche, relazioni sociali positive, un alto quoziente intellettivo, famiglie stabili e affettuose, ambienti di cura e di istruzione adeguati e così via. Questo elenco di fattori protettivi è seriamente messo in discussione negli ambienti più svantaggiati. Soprattutto in quei paesi dove il welfare traballa o non esiste, la probabilità che i bambini crescano senza ricevere cure mediche adeguate o senza essere immersi in un ambiente scolastico positivo è molto elevata.
Non solo, le persone provenienti da ambienti svantaggiati hanno anche una prospettiva del futuro molto meno rosea di chi può contare sulla sicurezza economica familiare—e anche sulle aspettative positive che questa comporta. La disoccupazione e il lavoro precario forzato portano le persone a non emanciparsi mai dal gruppo familiare originario, non assumere mai un’identità personale. Il nesso tra disoccupazione e disturbi depressivi è perciò, come intuibile, estremamente concreto.
Addirittura, di recente è stato notato come un reddito familiare troppo modesto possa incidere negativamente sullo sviluppo cerebrale dei bambini già a pochi mesi dalla nascita. Kimberly Noble è una ricercatrice americana che insegna alla Columbia; già nel 2005 il suo gruppo di ricerca aveva osservato con un certo stupore che nei bambini provenienti da famiglie svantaggiate la corteccia prefrontale era più sottile rispetto a quella dei bambini figli di famiglie più agiate. La corteccia prefrontale è una delle principali aree associate all’insieme di funzioni che ci permette di comprendere, ricordare e utilizzare le informazioni per adattarci all’ambiente che ci circonda. Anche l’ippocampo, un’area cruciale per l’immagazzinamento di informazioni, sembra essere così reattiva allo stress da non riuscire a svilupparsi e a funzionare correttamente in situazioni di disagio continuato. Le scoperte di Noble sono piuttosto incredibili: già a pochi mesi dalla nascita i figli di genitori poveri—in particolare Noble fissa la soglia della povertà a 25.000 dollari annui per una famiglia di quattro persone—hanno meno materia grigia dei figli di famiglie più abbienti.
Tutte queste modificazioni osservabili sono, ancora, fattori di rischio per lo sviluppo di svariati disturbi mentali.
Quindi: è molto complesso districarsi tra tutti gli effetti che la povertà comporta sulla salute mentale degli individui. Come già detto, la povertà è un fattore di rischio che a sua volta ne implica molti altri di tipo psicologico, medico e sociale. Tra l’altro la povertà stessa è socialmente stigmatizzata, elemento che porta le persone di origini modeste a emarginarsi ulteriormente e a ritrovarsi sempre più sole, laddove la solitudine è un fattore di rischio per il disagio psicologico.
Una cosa interessante però è che negli stati in cui c’è un buon welfare gli effetti della povertà vengono tamponati, il che—se mai ce ne fosse bisogno—conferma ulteriormente che un paese che si concentra sull’inclusione e sullo smussamento delle differenze sociali legate al reddito rende le condizioni di partenza dei suoi cittadini, se non identiche, per lo meno più simili. Uno stato che lima i fattori di rischio e protegge la vulnerabilità dei suoi abitanti coinvolgendoli nella vita pubblica e offrendo dei servizi adeguati allo sviluppo personale è uno stato più giusto, e la tutela della salute mentale ne è l’ennesima dimostrazione.
Progetto Itaca è un’associazione di volontari per la salute mentale. Se hai bisogno di aiuto o vuoi entrare in contatto con loro, chiama il numero verde 800 274 274 (02 29007166 da cellulare) o scrivi una mail a info@progettoitaca.org.