Música

Le danze meccaniche di Mannequin Records


Flyer della label night, il prossimo 18 febbraio all’OHM di Berlino.

La quasi totalità dell’elettronica che adesso trova ottimo sfogo in circuiti di mercato più o meno underground—relativi all’industria musicale e al clubbing—è accomunata da un elemento formale reiterante, una specie di formula segreta in grado di far funzionare in automatico certe produzioni musicali e renderle appetibili a bacini di utenze sempre più indefiniti. In realtà questa definizione potrebbe calzare per tanti neo/non-generi di recente formazione, ma in questo caso ci soffermiamo su quelli più gelidi, ispidi, quelli che finiscono quasi tutti con -wave. Darkwave, coldwave, minimal synth, EBM e compagnia bella, quindi, sono la matrice comune a gran parte della dance distorta su cui interi mercati investono, specie se la sede è Berlino/Londra/Milano.

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Non è solo il gusto estetico fine a se stesso a reiterarsi, ma una sua variante trasfigurata, plastica, possibilmente ancora più affilata dell’originale. Alessandro Adriani è il fondatore dell’etichetta che, aldilà della fortunata epoca storica in cui ci ritroviamo a parlarne, da quasi dieci anni concretizza al meglio questo gusto e lo diffonde, tenendosi però a una doverosa distanza dal nostalgismo. Detto molto a mani basse: non ha rivali.

La sua creazione è un manichino che incarna passato e presente volgendosi al futuro senza averne timore, ma anzi affrontandolo continuamente con volti diversi. Per delinearne un po’ la genesi, l’evoluzione stilistica, il rapporto con artisti e fruitori succedutisi in questi otto anni di attività di Mannequin Records era necessario parlare con il diretto interessato. E coronare il tutto con un mix ad hoc, che ha poco senso tentare di descrivere a parole.

Speciale Noisey Mix: Mannequin Records by Noisey Italia on Mixcloud

Noisey: Da quanto stai a Berlino?
Alessandro:
Da circa tre anni. Non parlo ancora tedesco e qui questo è un problema. Comunque sì, prima sono sempre stato a Roma e l’etichetta è nata lì nel 2008. C’è stata una parentesi spagnola nel 2010, quando ho lavorato là. All’inizio era tutto molto più lento, adesso sta andando a cannoni.

Sì eh?
Sì. Un po’ per le capacità economiche limitate, un po’ perché sono passati comunque otto anni. Sono tanti, le cose si sono sviluppate, l’etichetta è cresciuta… adesso da quando sto a Berlino le cose vanno meglio in generale, a livello di visibilità e di appeal. Sto facendo un sacco di ristampe pure, qua c’è un mercato concorrenziale vero e proprio. E lo intendo in senso molto poco romantico. È pieno di altre etichette che vogliono ristampare gruppi vecchie e ovviamente chi arriva prima meglio alloggia. Qui c’è più respiro internazionale, e per i contatti è una città eccezionale. Si creano sinergie ovunque. Cose che in Italia, specialmente a Roma, dove stavo, non avvengono. I punti vitali della musica alternativa, underground, chiamala come ti pare, stanno a Londra, Berlino, Parigi.

Per dirti, a Roma mi era difficilissimo comunicare alla gente quello che avevo in testa, mentre qui no. Anni fa ci eravamo messi a portare dei gruppi live in Italia, che ne so Xeno & Oaklander, Tropic Of Cancer, Soft Moon, tutti i primi italiani di ‘sti gruppi. E non c’era feedback né a livello di pubblico, né di promoter. Il problema nostro è che ci iniziamo ad accorgere delle cose solo quando diventano estremamente visibili. I Soft Moon li ho offerti a tutti in giro e non se li è presi nessuno.


Din A Testbild, presto in ristampa su MNQ.

Boh, strano. Non è che siano proprio i più sfigati i Soft Moon.
Eh ma quando l’ho fatto era il 2010, avevano due singoli fuori, e uguale i Tropic Of Cancer. Facemmo una fatica estrema anche solo per trovare una data. Già l’anno dopo le cose erano cominciare a cambiare perché la scena techno si era cominciata a unire a quella wave, ma prima non era così. Era ancora tutto distinto; quelli erano goth, quelli techno, etc. Negli ultimi tre anni le cose sono diventate meno definite, meno complicate, abbiamo più libertà d’espressione, prima tutto era più netto. La darkettona alla serata techno non ci andava, ma manco se le mettevi la pistola puntata sulla schiena.

Come hai iniziato a muoverti in Italia?
Non avevo grossi contatti qui in Italia, poco e niente. Inizialmente eravamo in due, io e Carlo, un altro ragazzo con cui prima avevamo un’altra etichetta ancora, In The Nighttime, sempre nell’ambiente goth/post-punk. È durata due o tre anni, quando abbiamo dovuto concludere l’esperienza entrambi avevamo ancora voglia di occuparci di musica, perciò abbiamo iniziato con Mannequin. Lui si occupava degli aspetti logistici, pratici, a cui io non sarei mai stato in grado di approcciarmi, e infatti mi sono sempre dedicato alla direzione artistica.

Gli artisti li ho sempre contattati io, a parte rare eccezioni, e in generale c’è sempre stato un confronto diretto con Carlo. Da quando sono a Berlino tutto questo è un po’ diminuito perché lui è fisso a Roma e ci becchiamo molto meno spesso di prima. Siamo stati su tutti i social di questo mondo dal 2008 ad adesso. Myspace, Soundcloud, Bandcamp… Per scoprire nuovi gruppi devi essere curioso, ascoltare tantissima musica.

Una cosa che mi è sempre piaciuta di Mannequin è che non è mai emerso un atteggiamento nostalgico e fine a se stesso.
L’ho sempre voluto evitare appositamente. L’etichetta come vedi vive in una dualità, sia di ristampe che di gruppi nuovi. Continuare con un discorso nostalgico non avrebbe senso e neanche mi interessa perché io punto alla riscoperta, alla riproposta di un qualcosa di passato che magari suona attuale. Del tipo “Questo sound è stato fatto nel 1985, ma in realtà sembra fatto oggi,” non “Oh, guarda quanto eravamo fichi nell’85.” Non mi interessa proprio. Ho iniziato con gli edit e i remix perché volevo mettere quella musica in mano a chi poi la suona, e non solo ai collezionisti. La visione nostalgica la evito come la morte proprio. Sennò si entra nella dinamica goth… nostalgia del passato, autocompiacersi di quanto fossimo fichi negli anni Ottanta etc.

Però è anche vero che la percezione della ristampa è molto soggettiva. Senza allargarsi a sensazionalismi, a uno può semplicemente far piacere che certe cose vengano scoperte e riproposte anche a distanza di anni da quando sono state fatte.
Sì certo. Comuque la scena è cambiata rispetto a quattro, cinque anni fa. Ai tempi andava molto più il minimal synth, ora l’industrial molto più spinto e la techno.

Pure l’EBM e tutte le sue sfaccettature stanno tornando un sacco in auge. Vedi Diagonal o Unknown Precept.
Loro sono grandi amici della label, siamo sempre in comunicazione. Quando Maoupa mi ha mandato i 12″ per la release ho subito avvisato Jules [Unknown Precept], perché prima era uscito per lui ed era giusto sentirlo. È brutto fidati. Quando “scopri” un artista un po’ vorresti che rimanesse per sempre nella tua etichetta. Specie quando lo stampi per primo. È irreale come cosa, basta pensarci, ma ci cascano tutti, me compreso. Per ovviare a tutte queste cose per me è indispensabile che le etichette comunichino, specie se si occupano degli stessi artisti e hanno target identico.

Alla fine perché non collaborare quando puoi solo portare più pubblico e dare più visibilità agli artisti? Adesso il 18 febbraio, alla serata che ho organizzato, Mazzocchetti suonerà live e Jules metterà i dischi.

Anche a te è successo quindi.
Sì. Alcuni restano fratelli, altro hanno questa smania di fare successo… Se la cosa è sensata e l’artista passa a un’etichetta più famosa, sono il primo a spingere perché ci si metta in contatto. Se però deve essere un’etichetta a caso, magari alla seconda release, senza idee e che segue il trend del momento, allora no, c’è un errore. A quel punto ti conviene autoprodurti il disco, come fa Beau Wanzer.

Vero. È pure negli Stati Uniti.
Alcune release le ha fatte uscire per L.I.E.S, Nation, ma gli album se li è stampati da solo. Ed è alta produzione.

Alla fine il discorso dell’etichetta nel 2016 diventa abbastanza complicato. Quasi tutte le grandi distribuzioni, i club, il mercato che ruota attorno a queste cose, è tutto in Europa. È una questione anche di distanze: qui tutto è vicino. Se devi fare un tour in America non finiresti più. Los Angeles, San Francisco, Portland e dall’altra parte New York, Chicago, Philadephia. In mezzo non c’è nulla. Quasi tutti gli artisti vogliono venire qui a suonare. Alcuni addirittura fanno tour qui e non negli Stati Uniti. Un tempo organizzavo anche i tour agli artisti, ora non me l’accollo più. In ogni caso è evidente che avviene quasi tutto qui, in Europa.

Sì, anche se immagino che certi contenuti rimangono universalmente appetibili, a prescindere da dove vengano distribuiti. Mi riferisco alle prime stampe che hai fatto, ad esempio le compilation di minimal synth italiana, Danza Meccanica. Meraviglia.
Il contenuto è sempre quello che conta, ovviamente. Ho sempre puntato su quello, poi sulle interconnessioni di lavoro. Danza Meccanica l’ho presentata a New York, nel 2009. Sono andato a Minimal Radio con Veronica a presentare la compilation. Il giorno dopo mi è arrivata la mail del distributore europeo, che ho ancora, che mi chiedeva la compilation in distribuzione in Europa. Io ai tempi non avevo distribuzioni, era la seconda release di numero che facevo. Cioè, c’è scritto numero cinque, ma è il secondo vinile. Diciamo che se l’avessimo presentato in radio a Roma, nessuno mi avrebbe chiamato, ecco. Non so come spiegare bene il concetto: i contatti sono funzionali alla visibilità che vuoi ottenere. Non è che l’ho fatto in modo interessato. Sono andato là a promuovere la compilation che avevo curato, di new wave italiana più sconosciuta all’interno di un contesto di radio ben più ampio di quello italian. Era una questione culturale quasi, e ovvio che non si può campare solo di quello.

Ormai ho tutto pianificato da un anno all’altro. Il 2016 è tutto completo, per le release. Non posso fare altrimenti. È un po’ una tragedia perché quando arriva la data di uscita di qualcosa, poi io sono solo felice di non dovermele più ascoltare, tanto mi sono diventate pesanti. Sarà brutto ma questo mi permette di fare almeno quindici, venti release all’anno veramente potenti. So già da qui a fine anno cosa uscirà e quando, da quattro anni circa.

Febbraio l’ho preso come mese sabbatico, riescono solo ristampe di robe che erano andate sold out, vedi il disco con i Coil. Riescono altre trecento copie perché non ne abbiamo più e c’è richiesta.

Davvero bellissimo quell’EP.
Anche quello è un caso assurdo, te lo dico. Avevo stampato un altro gruppo messicano, i Casino Shanghai, con remix di In Aeternam Vale, MNQ 056. È successo che questi Ford Proco mi hanno scritto dicendo, “Abbiamo visto che hai ristampato il gruppo di amici nostri. Anche noi facciamo musica e abbiamo un paio di tracce con i Coil.” Io non ci potevo credere. Ho sentito i pezzi e sono impazzito. Li ho messi in stampa subito, con priorità assoluta, e infatti un mese e mezzo dopo il vinile era già fuori. Ha scavallato un po’ tutti [Ride].

E per i remix come fai?
Allora… anche lì è strano. Quello dei Casino Shanghai lo avevo dato a In Aeternam Vale perché la tipa messicana cantava in francese, quindi ho pensato a qualcuno in Francia che potesse fare un remix fico, fresco. E subito mi è venuto in mente Laurent. Bourbonese Qualk e Ancient Methods è stato ancora più assurdo. Ero andato a una serata a sentire Michael [Ancient Methods] che suonava. A un certo punto mette un pezzo dei Bourbonese Qualk che si chiamava “Lies”. Conoscevo bene il pezzo, dato che dovevo ristampare una loro raccolta, e ho notato che la sua versione era di sei minuti. Quando ha finito sono andato da lui e gli ho chiesto, “Michael ma cosa hai appena suonato? Che versione è?” e lui, “No, ma questo è un edit mio.” Al che gli ho fatto notare che stavo giusto stampando un vinile su di loro, e lui entusiasta ha risposto “Se vuoi ti faccio pure un remix vero e proprio.” E io incredulo. [Ride] Pure per An-I e Traxx la stessa cosa, così come per i Musumeci.

Facendo ricerche su questi generi ho imparato che i blog settoriali e la gente che ancora li tiene aggiornati sono una risorsa preziosissima, anche solo per questioni divulgative. Tu ne avevi?
Sì, e seguivo anche quelli di alcuni collezionisti. Ci sono state due ondate di file sharing a cui ho assistito. La prima era quella di gente che aveva cominciato a rippare le loro collezioni su Soulseek, tra il 2002 e il 2003. Da lì uscirono compilation tipo The New Wave Complex, Flexipop. Erano due o tre collezionisti, un francese e due tedeschi, che hanno cominciato a fare compilation con gruppi assurdi etc. Qualcuno le ha buttate su Soulseek e tutti hanno iniziato a scaricarle. La seconda ondata di file sharing invece si è mossa sui blog, intorno al 2006-2007. Io ne avevo uno, si chiamava 7″ From The Underground, dove mettevo i miei 7″ e la mia collezione. Era il periodo pre-Mannequin. Vedevo che c’era un sacco di traffico e download, allora ho deciso di raccogliere alcuni pezzi in una compilation, così è nata Danza Meccanica.

Quando ho iniziato non c’era nessun intento di creare qualcosa di duraturo e a lungo termine. Nessuna aspettativa. Era una cosa molto piccola. La differenza l’ha proprio fatta Danza Meccanica. È da lì che è nato tutto.

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