Addio Finkbrau, non eri una semplice birra

Ci sono mattine in cui ti svegli convinto che sarà un giorno qualunque. Venerdì, università, cazzeggio, gli amici, qualche commissione da sbrigare con la prospettiva del fine settimana ormai vicino. Giorni come tutti gli altri giorni. Eppure è proprio in momenti come questi che può succedere qualcosa capace di sconvolgerti la vita. La realizzazione che una novità, per quanto piccola, cambierà per sempre la tua esistenza.

Come stamattina, quando la LIDL ha annunciato che ritirerà dal mercato la Finkbräu. Per sempre. La birra scrausa per eccellenza, la resistenza contro la dittatura delle IPA, il conforto amarognolo di migliaia di universitari, tutto spazzato via da un messaggio su Facebook che diceva semplicemente: “Dopo anni di onorato servizio la nostra birra Finkbräu ci lascia!”

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Finkbräu, la birra usata come metro di paragone per decine di altre birre scrause. Una birra il cui grafico ha impiegato non più di 15 minuti per il logo composto da uno scudo su cui ci sono le iniziali “FB”. Con un sapore maltoso ma non troppo, che dopo qualche secondo lascia in bocca un misto di ferro, alluminio e stagno che violenta le papille gustative come il sangue che rimane in bocca quando ti lecchi una ferita. Quella birra stava per andarsene, rimpiazzata da un’altra, un’anonima “Argus”.

Ora: che la nostra generazione fatichi a crescere non è nulla di nuovo, ma quando ho notato quell’annuncio mi sono visto passare davanti infinite serate trascorse per strada a intonare cori da stadio con le lattine da 0,5 in mano e l’ho percepito come una sorta di segnale. Una novità, per quanto piccola, cambierà per sempre la tua esistenza traghettandoti in un’altra fase della vita.

Non avrei mai pensato di dirlo, ma il ritiro di una birra della Lidl mi ha fatto capire che la mia adolescenza è finita per sempre.

Mi ricordo ancora la prima volta che ho bevuto una Finkbräu. Ero su un pullman diretto a Roma per un concerto. Nulla di particolare, ma per i miei 16 anni vissuti nella provincia bucolica del centro Italia, una testa piena di idealismi, le prime canne e un’esplosione di acne che mi aveva investito come un tir, be’, lo era.

L’aria condizionata non riusciva a sopperire al caldo e di “Gran turismo” quel bus aveva solo la scritta sul retro. Fu a quel punto che il Filini della situazione—il tipico piacione da liceo di provincia a cui il futuro avrebbe poco dopo riservato l’evoluzione in piacione da centro sociale o la metamorfosi in pensionato pieno di ricordi a vent’anni—tirò fuori dalla borsa frigo, residuata degli anni Ottanta, il corrispettivo di sei galloni di birra in formato lattina.

Un po’ per sete, un po’ per coraggio, un po’ per cameratismo—già di per sé non ero il re della popolarità, e non volevo passare da snob etilico a 16 anni, incappando nel linciaggio di una trasferta di adolescenti galvanizzati—aprii quel vaso di Pandora in lattina sgargarozzando a dovere la Finkbräu.

Da lì in poi, la birra low cost ha accompagnato gran parte delle feste a cui venivo invitato. Ancora più che per un fattore economico—esatto, nessuno la comprava per il gusto di berla—era una sorta di status symbol: bere birra del discount era alternativo. È ciò che non trovi nei locali frequentati dalla gente che si fa le ragazze che hai sempre sognato, è la bevanda di quelli emarginati, è la bevanda dei perdenti—o almeno, questo è quello che inconsciamente pensavo quando uscivo dal supermercato con i miei amici e i carrelli pieni di cartoni.

Grab dal video.

E non lo pensavo solo io. Poco dopo l’annuncio, una quantità enorme di persone si è riversata sulla pagina Facebook pronta a commentare la dipartita, mentre altri generavano meme a ripetizione e organizzavano l’evento “Sommossa Popolare Per Riportare La Finkbräu Sugli Scaffali”.

Tra gli utenti, molti avanzavano dubbi sul gusto della nuova versione e speravano che facesse schifo quanto la precedente.

Altri erano più speranzosi.

Altri ancora riportavano aneddoti personali.

Ma tutti erano uniti nel dolore—un fatto tanto più strano se si pensa che al centro di tutta questa nostalgia c’è il prodotto di un discount famoso al più per le patatine allo speck senza lo speck tra gli ingredienti. Il tutto ovviamente con un’ironia di fondo, che però ha qualcosa di sincero.

È proprio questo il punto: la Finkbräu non è un “semplice prodotto”, ma un qualcosa associato a momenti precisi dell’esistenza di moltissime persone. Voglio dire, a nessuno fregherebbe niente se la Lidl smettesse di vendere i cetriolini sott’aceto, no? Ma nessuno vuole accettare che una parte della propria gioventù sparisca. Per quanto l’adolescenza facesse abbastanza schifo, nessuno vuole dimenticare la serata in cui ha rotto la finestra della cucina o il sapore orrendo che aveva in bocca quando, brillo di Finkbräu, è riuscito a mettere la lingua in bocca a qualcun altro.

Se la LIDL fosse a conoscenza di questo, non lo so, e non so quanto di studiato ci sia dietro, ma quello che so è che oggi è venerdì e per un’ultima volta stasera proverò ad assaporare il gusto orribile della mia gioventù. Sempre se sugli scaffali sarà rimasta una lattina di Finkbräu.

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