Ho passato una notte sull’autobus più malfamato di Milano

Passeggeri addormentati sulla 91. Foto di Stefano Santangelo

Se abitate a Milano, saprete di certo che la fama della circolare 90/91 la precede—non che ci voglia poi molto, dato che è spesso in ritardo. Gli aneddoti su rapine, scippi, furti e altre amenità del genere avvenute su questa linea di autobus si sprecano, e persino Guè Pequeno—uno dei più noti ambasciatori internazionali della milanesità—le ha dedicato uno dei suoi versi: “‘sto rap fa brutto come l’ultima corsa sopra la 91.”

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Insieme alla 90, la sua linea gemella che segue lo stesso percorso nel senso opposto, la 91 fa il periplo della città lungo la circonvallazione, il vero confine tra il centro di Milano e la sua periferia. Il suo percorso, che si snoda tra i due capolinea di piazzale Lotto e piazza Lodi, la porta a toccare zone della città molto diverse tra loro: quella di via Marghera con i suoi locali e quella di via Tortona, a due passi dai Navigli; ma anche posti più anonimi, come la zona di Città Studi, o luoghi che si potrebbero persino considerare malfamati—come la Stazione Centrale, viale Zara, la Ghisolfa.

Vivendo a Milano da sempre, mi è capitato spesso di prendere questa linea di notte. Una volta un ubriaco ha provato a rapinarmi, ma dato che si reggeva in piedi a stento non ha avuto molto successo. Un’altra volta, un gruppo di ragazzi è salito e ha iniziato a sfasciare tutto costringendo l’autista a fermarsi e chiamare la polizia. In ogni caso, sono sempre rientrato a casa sano e salvo.

Ma può darsi che io abbia solo avuto fortuna—perché la fama di quest’autobus sembra persistere. Così, per scoprire se la circolare è davvero pericolosa come si dice, ho deciso di passarci tutta la notte di mercoledì, dal tramonto all’alba.

L’interno della 91.

ORE 19.30

Sono uscito dall’ufficio, ho scritto un messaggio a mia madre per dirle di non preoccuparsi e sono partito all’avventura. Ho preso la 91 a Romolo, tra una folla di studenti di moda e design che rientravano a casa dopo una giornata in una qualche università con un acronimo per nome. Io invece ero diretto in viale Monteceneri—praticamente dall’altra parte della città—dove avevo appuntamento con il fotografo. Avevo deciso di prendermela comoda e di fare il giro lungo, così da iniziare subito a farmi un’idea di quello che mi aspettava.

Dato che era l’ora di punta, non sono riuscito a sedermi e sono rimasto in piedi per buona parte del viaggio. C’era una certa ressa a bordo, e un caldo fastidioso; ma a parte questo l’atmosfera era molto tranquilla. Il costante brusio di voci in sottofondo copriva quasi il rumore della corsa.

Arrivato in viale Monteceneri sono sceso per cenare. Ne ho approfittato per guardare gli orari e organizzare la nottata: fino a una certa ora, le corse si susseguivano una dopo l’altra con una certa periodicità; più o meno a partire dall’una di notte, invece, si diradavano fino ad essere distanziate tra loro di una buona mezz’ora. Ho stabilito che, salvo imprevisti, avrei cercato di rimanere più tempo possibile a bordo della stessa vettura.

ORE 21.45

Alle dieci meno un quarto, l’autobus è finalmente arrivato. Appena salito, ho potuto constatare come l’atmosfera fosse già cambiata rispetto a un paio d’ore prima. Adesso c’era più silenzio, anche se non si trattava ancora di un silenzio pesante.

Una volta superata la zona di De Angeli/via Marghera i gruppetti di giovani si sono diradati, e sono scomparsi dopo la fermata di Romolo. Da qui in poi, il ricambio più consistente si è avuto, come logico, nella zona della stazione centrale, dove sono saliti i primi abitanti della 91 notturna: senzatetto, vagabondi, disperati vari. Per il momento però, erano ancora una minoranza tanto esigua da confondersi con gli altri passeggeri, e alcuni hanno lasciato l’autobus dopo una decina di fermate.

Verso le 23 abbiamo completato il giro: dato che era ancora presto e che quel viaggio era stato piuttosto noioso, ho deciso di scendere e andare a prendere un paio di birre per quelli successivi.

Ore 23.31. L’autore aspetta la 91 alla fermata di piazza Stuparich.

ORE 23.31

Dopo una decina di minuti di attesa in piazza Stuparich ho visto la sagoma vagamente cetacea dell’autobus stagliarsi tra i palazzoni in costruzione.

A bordo la situazione sembrava addirittura più tranquilla rispetto al viaggio precedente. L’autobus era abbastanza pieno, quasi tutti i posti a sedere erano occupati, ma praticamente tutti i passeggeri sembravano avere una destinazione—per la maggior parte, si trattava di gente stanca che tornava a casa dal lavoro o da ragazzi che andavano a fare serata. Subito dopo esser salito, comunque, sono stato avvicinato da un tizio che non apparteneva né all’una né all’altra categoria.

L’autore e “Jumbo John”.

Era visibilmente ubriaco. Si è presentato come “Jumbo John” e mi ha detto di avere 28 anni. Queste due sono tra le poche frasi di senso compiuto che ha pronunciato per tutto il tempo in cui ho avuto il piacere di rimanere in sua compagnia. Per tutta la durata del viaggio—che è durato quasi due ore—non ha fatto altro che cercare di interagire con gli altri passeggeri, millantare un rapporto sessuale di cinque ore avuto con una brasiliana quel giorno stesso e tentare di istruirmi nell’arte dell’anilingus.

ORE 1.15

Senza ubriachi molesti a bordo, il viaggio successivo è stato molto più leggero. Ne ho approfittato per provare a parlare con qualche passeggero. Tutti quelli con cui ho parlato mi hanno detto più o meno le stesse cose: che la 90/91 è un mondo a parte, che prendendola spesso si assiste a scene pazzesche, che bisogna stare molto attenti. Un tizio sui quarant’anni che stava tornando a casa dal lavoro mi ha raccontato alcune storie piuttosto cruente ambientate sulla 91, e mi ha detto che “certe notti qui sembra di stare dentro Non aprite quella porta.”

Ma per quanto impressionanti, erano tutte cose perfettamente coerenti con quel mito di pericolosità che mi ero proposto di verificare.

Dato che nel frattempo avevo finito la birra e che qualche negozio era ancora aperto, ho aspettato di completare un altro giro di circonvallazione—ormai avevo perso il conto di quanti ne avessi fatti—e, verso le due e mezza, sono sceso di nuovo. Non è stata una grande idea, perché siamo stati costretti ad aspettare mezz’ora l’autobus successivo.

La fermata dove ho aspettato la 91 in viale Monteceneri, alle 2.46

ORE 3.00

Questa volta, appena salito mi sono accorto che l’atmosfera era molto più tesa e pesante. Buona parte dei posti a sedere erano occupati da dei senzatetto addormentati, saliti sulla 91 per ripararsi dal freddo e cercare di dormire un po’.

Nonostante il luogo comune sulla sporcizia della 91, il pavimento della vettura era piuttosto pulito—segno che i passeggeri presenti non dovevano essere viaggiatori occasionali. L’odore, invece, era anche peggio di come me lo immaginassi: un misto acre di sudore e sporcizia, che mi ha dato subito il voltastomaco. Era diffuso in modo abbastanza uniforme in tutto l’autobus, per cui non c’era modo di evitarlo—potevo solo sperare che le mie narici ci si abituassero.

Un passeggero addormentato

Al di là di questo dettaglio, tra tutti i passeggeri io ero quello che probabilmente si sarebbe dimostrato più facile da rapinare. Ma il terrore è arrivato qualche fermata più in là: a Lotto ho rivisto Jumbo John. Era lì, che aspettava l’autobus al capolinea, e il pensiero di fare un altro viaggio insieme a lui ha iniziato a preoccuparmi. Per fortuna, proprio quando stava per salire è stato intercettato da una donna e ha deciso di allontanarsi con lei. Mentre l’autobus ripartiva, l’ho guardato allontanarsi, accomodarsi su una panchina dall’altro lato della piazza e farsi fare un pompino.

Accanto a me, seduto in fondo alla vettura, c’era un tizio con uno sfregio in faccia e gli occhi spiritati, che a un certo punto ha iniziato a far partire più volte di seguito la stessa suoneria del telefonino. È andato avanti così almeno per un’ora, mentre io mi inquietavo sempre di più.

La 91 ferma al capolinea di piazza Lodi

ORE 4.00

Mentre l’autobus sfrecciava attraverso la città, ho riflettuto sulla situazione in cui mi trovavo: era notte fonda, non c’era nessuno in giro e le strade erano deserte—tranne per alcuni autobus che, stracolmi di gente, giravano in cerchio intorno a Milano. Così fino alla mattina. Era a dir poco surreale.

A un certo punto ci siamo fermati al capolinea di piazza Lodi, e io ho deciso di provare a parlare con il conducente. Ci tenevo a sentire il punto di vista di chi, per lavoro, ripete ogni notte quella che per me era l’esperienza di una notte sola. Purtroppo però, l’autista non ha voluto rispondere alle mie domande. Sembrava preso male. A essere sincero, lo ero un po’ anch’io.

L’autore al capolinea di Lodi, alle 5 del mattino.

ORE 5.00

Quando si sono fatte le cinque di mattina, avevo smesso già da un po’ di contare i giri di circonvallazione. Per l’ennesima volta l’autobus si è fermato al capolinea di Lodi. Qui sono saliti due ragazzi francesi diretti in Stazione Centrale, dove avrebbero dovuto prendere un treno per Parigi. Mi hanno detto di essere un po’ spaventati e di essere impazienti di arrivare in stazione—e se alle cinque di mattina vorresti essere in Stazione Centrale invece che nel posto dove sei, allora quest’ultimo non dev’essere il massimo.

A questo punto, però, mi è sembrato che la tensione stesse iniziando lentamente a dissolversi, o forse ero io ad essere troppo stanco per percepirla e reggerla. Dopo i ragazzi francesi hanno iniziato a salire altri turisti, a cui nel giro di mezz’ora si sono aggiunti anche i primi pendolari diretti al lavoro. Forse sarebbe stato interessante parlare con loro, sapere com’è prendere la 91 ogni mattina alle 5.30 per andare a lavorare, ma ero decisamente troppo stanco per attaccare bottone.

Mentre fuori albeggia, l’autore comunica ai suoi cari di essere ancora vivo.

ORE 6.00

Poco prima dell’alba, sono sceso in Stazione Centrale per fare colazione. La prima cosa a colpirmi è stato il freddo: dopo ore e ore passate in un piccolo luogo chiuso e accogliente, riscaldato dal respiro di decine di altre persone, avevo quasi dimenticato che temperatura ci fosse fuori.

Dopo colazione ho ripreso la 91 per tornare a casa. Mentre l’autobus passava per la zona di piazza Machiachini, ha iniziato ad albeggiare e io ho scritto un messaggio alla mia ragazza per informarla che ero ancora vivo.

L’autore alle 6.30 di mattina, in viale Monteceneri

Verso le 6.30 sono arrivato in Monteceneri, dove sono sceso. L’avventura era finita e io ero piuttosto provato. Tra uno sbadiglio e l’altro, sono andato a prendere un altro autobus, quello che mi avrebbe riportato a casa.

Alla fine non mi era successo niente: ero ancora vivo, ero ancora tutto intero e avevo ancora i miei effetti personali. Salvo, qualche incontro particolare, non mi era successo niente di veramente interessante. A dire il vero, se non fossi stato così impaurito forse mi sarei annoiato—forse sarei addirittura riuscito ad addormentarmi come molti dei miei compagni di viaggio.

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