Perché l’Italia ha un disperato bisogno di cadaveri

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“Campioni umani.” La scritta campeggia sulle etichette di alcuni pacchi sequestrati all’aeroporto di Chicago. Diciotto teste provenienti da Roma, con tanto di cartellino con nome e causa del decesso.

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Dopo le dovute indagini, si è scoperto che si trattava di preparati anatomici americani, “prestati” a un laboratorio scientifico italiano e prontamente riconsegnati ai suoi possessori.

È il commercio mondiale di cadaveri, in cui l’Italia – che è uno dei principali importatori di teste, colonne vertebrali e arti – investe ogni anno milioni di euro.

La causa di questa necessità di mercato è la quasi totale assenza di donazioni di corpi da parte della popolazione italiana, che mette in ginocchio la ricerca scientifica e costringe i vari laboratori chirurgici a comprare i cadaveri all’estero.

In una città come Torino o Roma, viene donato alla ricerca scientifica in media un corpo all’anno. Superando il confine, la situazione cambia drasticamente.

In Austria, solo negli ultimi anni sono stati donati 42mila corpi, e numeri analoghi si ritrovano in altri paesi culturalmente simili all’Italia, come Spagna e Francia. Altre nazioni europee hanno addirittura dovuto scoraggiare le donazioni, poiché l’offerta aveva finito per superare la domanda.

Il vero leader del mercato dei cadaveri sono però gli Stati Uniti, principale fornitore dei laboratori italiani. E alcune aziende del posto ne hanno fatto un business, per un giro di affari enorme.

“Nella maggior parte dei paesi europei, chirurgi e medici si addestrano su preparati anatomici variamente conservati, mentre noi non abbiamo questa possibilità,” spiega a VICE News Roberto Delfini, presidente della Società Italiana di Neurochirurgia.

“In Italia una volta c’erano i libri, poi ci sono stati i video, e infine i corsi pratici — ma comunque ci si è sempre dovuti esercitare su preparati anatomici importati dall’estero.”

Ma quanto costa una testa, o una colonna vertebrale? Per la prima ci si aggira intorno ai diecimila euro, mentre i costi salgono per la seconda, viste anche le dimensioni più grandi, che richiedono spese di imballaggio e di trasporto più alte.

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A farsi carico di queste spese sono le varie società chirurgiche e neurochirurgiche italiane, sostenute da alcune tra le aziende più sensibili sul tema della ricerca scientifica. Gli ordini vengono inviati agli Stati Uniti in prossimità dell’avvio dei corsi di specializzazione, così che si possa avere a disposizione un materiale indispensabile per la didattica medico-chirurgica.

I corsi di questo tipo sono qualche decina all’anno, racconta Delfini, e coinvolgono all’incirca una ventina di specializzandi ciascuno. Sono offerti sia da strutture private che pubbliche, e nella maggior parte dei casi sono gratuiti.

“Per un corso di venti persone, ad esempio, servono dieci teste. Una spesa di 100mila euro, che va moltiplicata per ciascuno di questi corsi.”

Indicativamente, l’Italia spende un milione di euro all’anno in importazione di preparati anatomici. Costi che sarebbero abbattuti nel caso in cui cambiasse la cultura delle donazioni. Ma più che di popolazione, il problema è di carattere istituzionale ed organizzativo: se in Paesi come l’Olanda le campagne per questo tipo di donazioni compaiono addirittura sui mezzi pubblici, in Italia non si è mai riusciti ad avviare un dibattito sul tema.

Come ha sottolineato di recente Giovanni Botti, presidente dell’Associazione Italiana Chirurgia Plastica Estetica, quella delle donazioni del corpo è una pratica permessa tanto dalla legge italiana quanto, addirittura, dalla Chiesa.

“Gli italiani non sono informati della possibilità di poter donare il proprio corpo e non sanno che questo può contribuire a formare medici competenti.”

Le varie società italiane stanno cercando da tempo di avviare delle campagne di sensibilizzazione sul tema. Per ora mancano i finanziamenti, ma quanto meno la questione inizia ad essere recepita negli ambienti istituzionali.

Lo scorso anno è stato indetto un bando presso la facoltà di Scienze della Comunicazione della Sapienza di Roma, per l’ideazione e lo sviluppo di una campagna sul tema. I vincitori hanno raccolto tutto il materiale e ideato una serie di iniziative, ma per ora non è partito ancora nulla di concreto.

“Noi siamo pronti, ma stiamo aspettando i finanziamenti” continua Delfini, che parla della predisposizione di materiale informativo nei luoghi pubblici, negli ospedali e in altri spazi definiti sensibili.

“C’è un’abitudine diffusa alla donazione degli organi ai fini del trapianto, ma manca la cultura della donazione del corpo. Ecco perché serve una campagna sul tema, che informi tutti i cittadini.”

La penuria di cadaveri non è comunque solo un problema economico. Il disinteresse istituzionale per la questione ha fatto sì che manchino dei centri in grado di farsi carico delle procedure di conservazione e trattamento dei corpi donati alla ricerca scientifica.

Ce ne sono solo tre nel nostro paese, sparsi tra Padova, Roma e Milano. Molti di più sono invece i centri di specializzazione italiani in neurochirurgia, circa venticinque, che nel loro complesso avrebbero bisogno di almeno dieci preparati anatomici ciascuno, per un totale di 250. Materiale che, appunto, si è costretti a importare, in quello che è un disperato bisogno di cadaveri per la nostra ricerca scientifica — basti pensare che un solo corpo può essere utilizzato per oltre cento esercitazioni, il che ne fa un bene prezioso per i laboratori.

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Della questione si è occupato un paio di anni fa anche il Comitato Nazionale di Bioetica. Nella relazione finale si sottolineava il paradosso per cui nel Cinquecento l’Italia era la culla degli studi anatomici mondiali, con frotte di studiosi che accorrevano per migliorare le loro competenze. Oggi accade il contrario.

Oltre a questo, il documento rileva come “la promozione di una cultura favorevole alla donazione del corpo a fini di studio (…) permetterebbero di migliorare significativamente la formazione medico-chirurgica italiana. Inoltre, verrebbe meno quella grave disparità tra la nostra comunità medico-chirurgica e le comunità di altri paesi, non solo europei.”

Tutto questo ha in effetti un profondo impatto sulla qualità della didattica medica italiana. La mancanza di disponibilità di preparati anatomici spinge molti specializzandi ad andare all’estero, visti i pochi posti presenti nei corsi italiani, in una migrazione che spesso diventa di sola andata.

“Quella dell’assenza di materiale anatomico è una causa, seppur marginale, di questa fuga. I nostri giovani non solo non hanno la possibilità di prepararsi adeguatamente, ma in più non gli si garantisce neanche un posto di lavoro alla fine dei loro studi,” racconta a VICE News Delfini.

Ecco perché il servizio di prestito offerto dalle aziende americane, per quanto oneroso, è indispensabile. Permette ai laboratori italiani di colmare delle mancanze logistiche critiche, che senza gli apporti stranieri andrebbero a sopprimere alcune branche della ricerca medico-scientifica.

“Ci sono compagnie attrezzate che portano teste in Italia e se le vengono a riprendere,” continua Delfini. “C’è un business notevole e numerose aziende che ci guadagnano profumatamente, però il servizio che offrono è eccellente e indispensabile per noi.”

Pochi giorni fa. la facoltà di Medicina di Poitiers (Francia), guidata dal professor Cyril Breque, ha brevettato Simlife – un sistema di rianimazione dei corpi donati alla scienza attraverso sangue artificiale e respiratori meccanici, così da riprodurre al meglio la situazione interna ad una sala operatoria.

Tra pochi mesi, il programma verrà messo a disposizione di una ventina di studenti dell’università per poi essere riprodotto altrove. Il costo per la realizzazione del progetto, che comprende quattro corpi “interi,” è stato di 20mila euro. Il corrispettivo di due teste d’importazione.

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Foto di Mirandala via Flickr, rilasciata su licenza Creative Commons