La sola giustificazione per togliere quegli striscioni è fare un favore a Salvini

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Ultimamente le piazze dove si tengono i comizi di Salvini brulicano di contestatori, al punto che sempre più spesso il Ministro dell’Interno ha difficoltà nel far sentire la sua voce al di sopra delle urla dei manifestanti.

Abbiamo visto situazioni di questo genere a Forlì, Perugia e Modena, in un crescendo di risposte stizzite contro “sfigati,” “moscerini rossi,” e “figli di papà dei centri sociali.” Due giorni fa, a Settimo Torinese, il leader leghista si è addirittura arrabbiato con le forze dell’ordine perché a suo dire non stavano gestendo la piazza in modo “corretto”—nonostante una coppia di oppositori sia stata presa di peso dagli agenti in borghese e trascinata via, come si vede in un video circolato parecchio sui social.

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Ad accrescere il nervosismo del vicepremier concorrono poi i video-selfie di giovani e giovanissimi, e i classici striscioni di protesta che i cittadini mostrano durante i comizi o appendono fuori dalle proprie abitazioni. Ed è proprio su questi ultimi—e la loro rimozione da parte della polizia—che si stanno concentrando attenzioni e polemiche.

Ieri, ad esempio, a Brembate (Bergamo) i vigili del fuoco hanno rimosso da un balcone un lenzuolo bianco con la scritta “non sei benvenuto,” con tanto di scala elevatrice. Per le sue modalità e l’assenza di riferimenti espliciti a Salvini, la vicenda ha destato non poco scalpore.

Il sindaco di Bergamo Giorgio Gori si è chiesto su Twitter chi abbia dato l’ordine e a quale titolo; mentre il segretario provinciale del Partito Democratico, Davide Casati, ha dichiarato di non capire quali siano gli “illeciti che giustifichino tale azione, visto che lo striscione non arrecava offese e nemmeno il nome del destinatario.”

Critiche simili sono arrivate anche da alcune sigle sindacali dei vigili del fuoco (che rispondono al Ministero dell’Interno). Costantino Saporito del coordinamento nazionale dell’Usb ha spiegato che “l’ordine è arrivato ‘da molto in alto’,” cioè dalla questura, e che quello striscione “non costituiva alcun pericolo per l’incolumità pubblica.” La Fp-Cgil-Vvf ha twittato che “Non è lavoro per i Vigili del Fuoco, noi facciamo soccorso e non ‘pubblica sicurezza’.”

Il caso di Brembate è indubbiamente quello più eclatante, ma non è isolato. A settembre del 2018, a Bari, la Digos aveva fatto irruzione nell’abitazione di una donna che aveva esposto uno striscione con la scritta “Salvini bimbominkia.” Una scena analoga si è ripetuta la settimana scorsa a Salerno: anche qui gli agenti sono entrati in una casa, intimando ad una donna di togliere lo striscione rosso che recitava “Questa Lega è una vergogna” per non incorrere in presunte grane giudiziarie.

Tuttavia, Salvini ha detto di non saperne nulla; e per il capo della Polizia Franco Gabrielli si tratta di semplici interventi di routine. In un’intervista al Corriere della Sera ha spiegato che “ci sono decine di precedenti a tutela di esponenti politici di tutti i governi del passato, in cui sono stati tolti striscioni o simboli che potevano provocare turbative durante le manifestazioni di partito.” Quando poi si verificano “situazioni di potenziali turbativa,” ha aggiunto, “spetta al funzionario in strada fare valutazioni del caso ed evitare che possano provocare conseguenze.”

Sui social e altrove in diversi si sono chiesti se non ci sia effettivamente qualcosa di strano, e se in tutto ciò non influisca il fatto che il titolare del Viminale è il principale bersaglio delle critiche contenute negli striscioni.

Per capirci qualcosa ho dunque sentito al telefono l’avvocato Francesco Romeo di Roma, esperto di dinamiche di piazza e ordine pubblico. Come mi spiega, “esistono norme che puniscono l’impedimento o la turbativa delle riunioni di propaganda elettorale, i cosiddetti comizi.”

Il riferimento per quelli che si tengono in vista di elezioni nazionali ed europee è contenuto nell’articolo 99 del D.P.R. 361 del 1957, una “norma molto severa che prevede la reclusione da uno a tre anni”; per le elezioni amministrative, invece la normativa è quella prevista dagli articoli 660 e 654 del codice penale, che “riguardano casi di molestie e grida improprie.”

Nei casi degli striscioni di cui si sta parlando, però, l’avvocato non crede che “siano così gravi da rientrare nelle casistiche” contemplate dalle norme. A Salerno, in particolare, “lo striscione non era situato di fronte al palco del comizio; stava invece su una strada adiacente. Come faceva dunque a turbare il comizio?”

Anche la (poca) giurisprudenza, sul punto, è piuttosto chiara: il reato si consuma “non per mezzo di una qualsiasi manifestazione del pensiero,” ma con una condotta che “di fatto impedisce il regolare svolgimento del comizio”; circostanza che però non si è verificata né a Bari, né a Salerno, né a Brembate, dove gli striscioni non hanno certo ostacolato i comizi d Salvini.

Cosa sta succedendo, insomma? In questi casi c’è la netta sensazione di trovarsi di fronte a un nervosismo generalizzato che si riflette in un eccesso di zelo da parte delle forze dell’ordine per compiacere il ministro—al punto che, secondo un retroscena del Corriere della Sera, dentro al Viminale si è deciso di richiamare i questori ad esaminare con più attenzione “la situazione che si crea durante i comizi” e di “disporre la rimozione dello striscione soltanto quando causa un pericolo reale.” E se di questo se n’è accorto anche Luigi Di Maio, allora c’è davvero qualcosa che non torna.

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