Discendente del gaufre belga, arriva in Piemonte intorno al 1700. All’inizio era considerato una variante del pane e della polenta, da mangiare in accompagnamento alle pietanze e non da solo.
Quando si parla di street food si pensa alle strade sempre vive di una metropoli o alle tradizioni made in Sud dell’Italia, abituata a vivere all’aperto. Difficilmente la mente va alle valli sperdute al confine con la Francia, che l’immaginario collettivo vede alle prese solo con polenta e stufati di animali selvatici. Credo sia questa la ragione che più mi ha spinto ad andare alla scoperta del gofri, semi sconosciuto street food occitano, e a seguire la sua storia antica inerpicandomi in Val Chisone.
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Il viaggio inizia a Torino, dove ho incontrato per caso il mio primo gofri. Passeggiavo per le vie del Quadrilatero quando un profumo fragrante ha attirato la mia attenzione. Ero capitata davanti al locale di Dario Mauro, la Gofreria Piemontèisa, ovvero il primo luogo che ha scelto di puntare su questo prodotto dimenticato e crearci un business nel lontano 2005, quando a Torino non erano ancora arrivate le Olimpiadi Invernali, l’evento che ha segnato un prima e un dopo nella vita della città e, di conseguenza, anche nella sua scena gastronomica.
L’idea di Dario nasce da un mix di curiosità e di spirito imprenditoriale. Dopo aver aperto uno dei primi ristoranti messicani della città, ha capito che ci fosse bisogno di guardare alle radici locali per trovare un prodotto semplice, che sapesse raccontare una storia vicina. La risposta è arrivata in una giornata d’agosto, davanti allo sfondo imponente del Forte di Exilles e delle Alpi. C’era un concerto di musica classica all’aperto, la poesia era nell’aria, ma anche il profumo di gofri: due vecchietti erano intenti a sfornare le cialde croccanti e farcirle di prodotti locali per sfamare gli animi solleticati dalla musica. Il pensiero di Dario è stato immediato: se a Torino esistono le crêperie e le piadinerie, perché non creare una gofreria?
Risalendo la valle e partecipando alle sagre estive, l’unico momento dell’anno in cui ancora oggi gli abitanti tirano fuori le piastre da gofri e si mettono all’opera, ha iniziato il percorso che l’ha poi portato a vincere numerosi premi in materia street food.
Cos’è il gofri
“Quando arriva il momento di farlo sfrigolare sulla gofriera cosparge il ferro con un po’ di burro invece che con il tradizionale lardo”
Approfittando della sua esperienza mi sono fatta spiegare cosa fosse questo mitologico gofri. Discendente del gaufre belga, arriva in Piemonte intorno al 1700. All’inizio era considerato una variante del pane e della polenta, da mangiare in accompagnamento alle pietanze e non da solo. Non si sa bene quando qualcuno abbia avuto l’idea di prendere le tome di valle, il lardo o le marmellate e schiaffarle dentro alle cialde ancora calde, creando un’alternativa al panino leggera e filante.
Leggera per lo meno in teoria, dato che esistono tantissime variabili che ogni cuoco gestisce a modo suo. Dario ad esempio macina a mano un mix di grani biologici che aggiunge alla farina bianca e lascia riposare l’impasto per 24 ore. Poi, quando arriva il momento di farlo sfrigolare sulla gofriera (due piastre di ghisa sovrapposte che conferiscono un particolare motivo “a nido d’ape” all’impasto), cosparge il ferro con un po’ di burro invece che con il tradizionale lardo. Il risultato finale dipende da voi, se vi accontentato di farcirlo con un po’ di bresaola, o lo volete vedere grondare formaggio.
Lo Gofreria a Pinerolo
La via della montagna è fredda e, per fortuna, ricca di calorie. Così si inizia a salire: prima tappa Pinerolo, l’ultima cittadina di pianura da cui si diramano tre valli, Val Pellice, Val Germanasca e Val Chisone. Qui troviamo un’altra gofreria storica, conosciuta soprattutto perché all’inizio non era in un negozio, ma in un furgoncino che girava le valli portando croccantezza a chiunque ne avesse bisogno. Ora Marzia, la proprietaria, ha reso il suo business sedentario e accogliente: La Gofreria ha qualche posto a sedere ma soprattutto un grande spazio per le gofriere.
Qui l’impasto è semplice e delicato: farina 00, lievito, acqua e sale. La piastra è unta di lardo non salato a ogni gofri. Le proposte di farcitura sono le più ricche che incontro. Oltre a formaggi e salumi ci sono acciughe al verde, vari tipi di verdure grigliate e quella che colpisce più la mia attenzione, la frittata alle cipolle e toma.
Il fotografo va sul tradizionale e riempie il gofri di lardo e toma. Io devo dire che il lardo usato per oliare i ferri mi sembra più che sufficiente: rende croccante e saporita la cialda, ma effettivamente è un po’ più pesante rispetto alla versione col burro. Sarei tentata di assaggiare un gofri-dessert, ma mi trattengo e il viaggio prosegue.
Casetta dei Gofri
“L’impasto resta quello di farina, acqua, lievito di birra e sale con ripassatina di lardo fuso su piastra. Con un lampo di genio chiedo di unire miele di Pragelato e toma”
Continuiamo a salire. Il prossimo borgo è Pragelato, un villaggio occitano conosciuto soprattutto come “montagna estiva”, ricco di sentieri. Andiamo dritti alla Casetta dei Gofri che è veramente una casetta di legno e vetro. Mi sembra il posto perfetto per chiudere questa degustazione del piatto locale. Che però, va detto, i locali non sembrano cucinare o comunque apprezzare particolarmente: abbiamo trovato soltanto due gofrerie in tutta la valle, a cui potete aggiungere la birreria Beba, che ha i gofri in menu.
Qui alla Casetta le scelte di farcitura sono più limitate (salumi e formaggi, ma con una selezione ridotta rispetto alla Gofreria di Pinerolo), mentre l’impasto resta quello di farina, acqua, lievito di birra e sale con ripassatina di lardo fuso su piastra. Incapace di scegliere una sola opzione, con un lampo di genio chiedo di unire miele di Pragelato e toma. Un bicchiere di vin brûlé e guardare l’inverno degli altri, al di là del vetro, è una cosa dolcissima.
Alice, la proprietaria della Casetta, mi racconta come l’idea sia nata dallo spirito imprenditoriale del padre, che dapprima aveva provato a insediare la Casetta in alta valle, pensando a uno snack perfetto per il dopo sci, poi era arrivato qui.
Alice ci tiene a ribadire una cosa fondamentale: ok l’impasto dei gofri, ma anche quello che ci si mette dentro conta. Così come Dario e Marzia scelgono con cura i loro fornitori e cercano di avere sempre prodotti locali, qui il produttore di toma è così vicino che posso andarlo a trovare.
Il formaggio delle viole
Alex Challier vive nel bellissimo borgo di Usseaux —davvero, camminare per le borgate che lo compongono è d’obbligo— e la sua storia è quella del ritorno, dopo aver vissuto e lavorato all’estero, e della scelta di restare in valle per continuare il lavoro iniziato dai nonni. Qui a 1600 metri la vita non è mai stata semplice, ma le varie generazioni di Challier, tra lasciare queste vedute infinite e scendere a valle per lavori più “canonici”, hanno scelto di sfidare neve e freddo e puntare sul formaggio. All’inizio per pura sussistenza e ora con 200 vacche che passano i sei mesi estivi in alpeggio nel parco delle Alpi Cozie.
Proprio grazie all’alimentazione delle vacche a inizio estate, quando i prati sono in fiore e i profumi dell’erba raggiungono l’apice, nasce un formaggio speciale, che va a ruba da un anno all’altro. Il plaisentif, detto anche formaggio alle viole, come tutto qui racconta una storia di poteri e sopravvivenza: fin dal 1700 veniva fatto nel momento di massima fioritura per creare il miglior prodotto possibile e regalarlo ai governatori in cambio di favori.
Ora non serve essere governatori per averlo: le forme sono così poche che è difficilissimo da trovare (Alex produce soltanto 500 forme a stagione e ogni anno finiscono tutte). Ma, se passate da queste parti a fine estate, potreste avere la fortuna di trovare qualche persona del posto che, armata di gofriera e plaisentif, vi farà sentire tutto il gusto di queste valli.
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