Matteo è un enorme talento, è una penna benedetta da Dio e sul palco è un animale. – Ciro Buccolieri, Thaurus
Nonostante abbia le tre qualità più ricercate ma allo stesso tempo più rare, Ernia non ha capito da subito che nell’album di figurine del rap italiano ci fosse uno spazio destinato anche a lui. O meglio, per un po’ ha smesso di crederci. Quando si sciolse la Troupe d’Elite, il gruppo con cui aveva cominciato a fare sul serio, decise di chiudere i battenti con la musica. Forse in quel periodo erano state tenacia e determinazione a mancare, le stesse di cui canta nel suo nuovo singolo, “Domani”, scritto assieme a Shablo, Marz e Parix.
“Domani” potrebbe essere la lettera di un venticinquenne destinata alla sorella adolescente che non sa ancora quale sia il suo posto nel mondo, perché fidarsi è difficile e invece per rassegnarsi a stare “sul fondo del barile” non serve alcuno sforzo. Io ho sedici anni e un fratello maggiore che non me ne ha mai scritta una, e quindi ci ha pensato Ernia a mandarmene una. Anzi, a mandarcene una: a me e a tutti quelli che riescono a specchiarcisi dentro.
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Avere sedici anni nel 2018 vuol dire avere voglia di sapere come le cose andranno a finire, e io darei qualunque cosa per saperlo. Sarà la crisi economica, da sempre una coinquilina che sussurra nelle mie orecchie e di quelle dei miei coetanei. La sentiamo tutti ma solo alcuni la ascoltano. D’altro canto non è bello sentirsi dire che non siamo tutti destinati a un futuro dignitoso. Ci siamo un po’ nati, noi, con questa vocina. Abbiamo comunque voglia di programmarci la vita, com’è normale che sia, senza però averne i mezzi. E chi di noi si sente insoddisfatto e con il mondo contro può trovare conforto nelle parole di Ernia: “Io che pensavo la fortuna arrivasse col vento […] Sdraiato su un pontile me ne stavo calmo, di male in peggio, questo dicono”.
Su una chitarra acustica pizzicata, Ernia parla a chiunque sia stanco di provarci e resta in attesa di un consiglio. Eccolo arrivare: “invece no”, in un ritornello cantato che si distacca dalla modalità monoparola a cui ci aveva abituato Come uccidere un usignolo/67. E sentirsi grandi ma avere comunque i genitori abituati a darti il bacio della buonanotte, a dirti di stare attento ad attraversare la strada: “Alzavo il braccio per sembrare un po’ più alto”. C’è anche questo, nelle parole di “Domani”.
I cantanti hanno una responsabilità nei confronti dei propri ascoltatori che, soprattutto se adolescenti e quindi facilmente influenzabili, li considerano modelli da seguire. Dovrebbero quindi censurarsi? Scrivere canzoni non è necessariamente educare ma c’è chi sente la necessità di non mandare messaggi sbagliati. A sentirne il peso maggiore dovrebbero essere proprio i rapper, dato che il loro pubblico di riferimento è quello più giovane e più desideroso di rivedersi in un modello. Ecco, Ernia sembra portarlo tutto sulle spalle, e così rappa con l’amaro dell’inadeguatezza in bocca: “Ora se invece batto i piedi parte un ballo / Anche se io ballare non saprei”. E ancora, “Adesso se mi alzo tutti al mio comando / Anche se comandare non saprei”.
Se “Domani” fosse un aneddoto, un racconto condiviso tra amici, sarebbe “quella volta che le cose sono iniziate male per poi finire bene”. Ci si respira dentro un po’ di grigiore, una durezza che ti riporta coi piedi a terra in quei secondi in cui sei inebriato dall’illusione di farcela in tutto. Anche se forse lui sta parlando del successo, quello vero, in cui niente ti è mai regalato: “Conosco bene la caduta senza appigli”, recita nella prima strofa.
“Ha delle skill che non ci sono in giro. Invece di seguire quella che è la wave che tutti stanno seguendo, e che sta pagando come ha pagato in passato, lui sta vivendo il suo percorso ed è focalizzato sulla sua cosa”, ha detto sempre sul suo riguardo Ciro Buccolieri. E ha senso che Ernia porti dei paraocchi che gli permettono di focalizzarsi sul suo percorso nonostante sappia che esista una corrente che lo potrebbe anche pagare di più: il suo primo EP, che avevo masterizzato su un CD della COOP e la tracklist scritta su un A4, si chiamava infatti L’ultimo moicano. Seguace di un’idea considerata sorpassata, lui che la trap la faceva già nel 2011. Certo, la gestione della Troupe d’Elite non fu delle migliori; ma forse era anche l’Italia a non essere pronta.