In un numero di Q Magazine del 1990, Kate Bush ricorda di quando, da giovanissima, ballava sulla musica che veniva dalla televisione. “Era una cosa fatta senza alcuna vergogna e non mi rendevo conto che la gente mi guardasse”, dice. “Un giorno alcune persone sono entrate nella stanza, mi hanno visto e sono scoppiate a ridere, e da quel momento ho smesso di farlo. Da allora cerco sempre di ritornare lì”.
Al momento di quell’intervista, Bush aveva pubblicato sei album tanto epocali quanto facilmente ridicolizzabili, e ognuno di questi sembra aver raggiunto quello stato di “svergognatezza”. L’ascoltatore può reagire ridendo e uscendo dalla stanza, o rimanere, ipnotizzato dalla danza. Per molti versi, questa divisione identifica la produzione musicale di Kate Bush, sparsa su cinque diversi decenni, e la nostra reazione a essa. Agli occhi di alcuni la sua musica è intuitiva e sognante, per altri è materiale da ripostare su LadBible con la didascalia ‘WTF’ e varie faccine che piangono dal ridere.
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Pur avendo spianato la strada a una generazione successiva di grandi musicisti – compresi, ma non solo, Tori Amos, Big Boi, Tricky, Lorde – è inspiegabilmente omessa da molte storie ufficiali delle donne in musica. È una svista molto grave visto che nella sua produzione troviamo un numero considerevole di singoli best-seller, un uso pionieristico di nuove tecnologie musicali e un album intitolato Never For Ever che l’ha resa la prima donna a raggiungere il numero uno nella classifica degli album in UK. Donne che hanno avuto un impatto minore sono state privilegiate rispetto a Kate e sono entrate nella Rock And Roll Hall Of Fame mentre lei no. Ma queste sono performer che sputano e fottono e bestemmiano e sprizzano intensità anche dopo essere scese dal palco. In breve, sono rock star.
Mite, ossequiosamente inglese e conservatrice (sia in senso personale che politico), Kate si può chiamare tutto meno che rock and roll. Essere una rock star richiede di trionfare su qualche tipo di avversità, che si tratti di dipendenza, povertà o abusi. Ma Kate non ha mai sofferto come una rock star. Ha scelto cioccolata e sigarette invece di eroina e cocaina, e ha sempre avuto un patrimonio personale considerevole. Ereditò una bella somma da sua zia, che la aiutò a uscire di casa a 18 anni e a concentrarsi esclusivamente sulla musica, e crebbe a Kent da genitori benestanti di classe media.
Quando era soltanto una bambina, vide suo padre premere tre dita su tre tasti del pianoforte. Dalla cassa di risonanza uscì un accordo di Do maggiore. Da quel momento, Kate cominciò ad associare le poesie che scriveva agli accordi che imparava. Le parole e il suono del piano divennero piano piano embrioni di canzoni, dimostrando il talento di Kate fin dalla più tenera età. “Trovavo molto frustrante venir trattata come una bambina quando non pensavo come una bambina”, ha riflettuto in seguito, “mi sono sentita vecchia fin da quando avevo 10 anni”. Nei primi anni Settanta, la sua saggezza e destrezza musicale fecero bussare alla sua porta David Gilmour dei Pink Floyd. Lei suonò per lui le canzoni che aveva passato l’infanzia a scrivere, e poco dopo firmò un contratto con la EMI Records. Da quel momento le sue canzoni hanno fatto salti acrobatici di tonalità in tonalità e ritorno. Il loro effetto è quello delle filastrocche, nel senso che commuovono e spaventano e insegnano. Ma c’è molto di più.
Molte delle canzoni che state per ascoltare vengono dalla libertà d’immaginazione dell’infanzia. Vengono da quel momento prima che ti riconoscessi come un corpo nel mondo guardandoti allo specchio. Quando potevi cacarti e pisciarti addosso e ballare davanti alla televisione senza renderti conto dello sguardo del mondo concentrato su di te. O perlomeno questo vale per i primi tre album, usciti nel corso di soli due anni. Kate ha ottenuto un grande successo di critica fino al quarto disco, The Dreaming, che uscì nel 1982. Avendo passato l’inizio dell’età adulta come ragazza-immagine della EMI, Kate cominciò a prendere controllo della produzione e della sua stessa presentazione. Su disco, il personaggio di Kate si trasformò da bambina ad adolescente, e le pause tra un’uscita e l’altra diventarono più lunghe in modo da permettere a Kate di prendersi meglio cura di se stessa e della propria musica.
Poi divenne provocatoriamente femminile con il suo disco del 1989 The Sensual World, e poi tornò quattro anni dopo reduce da una rottura romantica, la morte di sua madre e la nascita di suo figlio, con il disco realizzato in collaborazione con Prince The Red Shoes. Poi passò 8 anni a concentrarsi completamente su suo figlio prima di Aerial (2005), una finestra sulla vita domestica di Kate Bush. Poi riregistrò le sue hit per Director’s Cut (2011) e attorno a Natale di quell’anno pubblicò il suo ultimo LP 5 0 Words for Snow. Nel 2014 è tornata in tour per la seconda volta nella sua intera carriera, cosa che ha fatto capire molte cose sul suo mondo musicale e sull’impatto che ha avuto sui suoi milioni di ascoltatori. Il pubblico restava in silenzio, gli occhi gonfi di lacrime di gratitudine, e durante il bis ci trasformavamo in estranei danzanti, abbracciandoci, sapendo che avevamo passato una delle più belle serate della nostra vita insieme. Eravamo tutti in quella stanza con lei, e nessuno di noi rideva.
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Kate Bush è stata immediatamente lanciata nel mainstream all’uscita del suo singolo di debutto nel 1978. Scritta quando aveva soltanto 16 anni, ”Wuthering Heights” divenne la prima numero 1 in UK composta ed eseguita da una donna. Era un prodotto talmente singolare da diventare una curiosità. C’era Kate Bush che girava vorticosamente, vestita di bianco, nel video. Occhi, bocca, gambe – tutto aperto. La canzone era un omaggio al romanzo di metà XIX secolo scritto da Emily Brontë, reso con grande comprensione e chiarezza, anche se probabilmente questo non ha nulla a che vedere con le vendite del disco.
In realtà, Kate Bush ha sempre teso a fare da ponte tra un trend musicale precedente e quello che doveva ancora arrivare. “Wuthering Heights” era piena di stilemi progressive rock – un trend emerso a fine anni Sessanta, incentrato sulla tecnica musicale e strutture complesse. Nonostante i capoccioni della EMI le avessero detto che la più diretta e rock and roll “James And The Cold Gun” sarebbe dovuta essere il suo primo singolo, Kate sosteneva con fervore che nessun’altra canzone di The Kick Inside l’avrebbe presentata al mondo in modo migliore di “Wuthering Heights”. E aveva ragione.
I critici furono costretti a riconoscere il genio di Kate dopo il suo tour del 1979, The Tour Of Life. Con 150mila sterline di budget e balletti severamente coreografati, lo spettacolo offriva una visione più chiara del mondo spettacolare di Kate. È stata una delle prime artiste a indossare un microfono che le lasciava libere le mani, in modo da poter ballare e saltare lungo l’enorme palco mentre cantava. Un paio di anni dopo, diventò una delle prime musiciste a includere il synth Fairlight CMI e i campionamenti nella propria musica. Per quanto lo si dia per scontato oggi, si tratta di uno dei primi sintetizzatori digitali del mondo e, nel bene o nel male, artisti come Aphex Twin e Diplo oggi non esisterebbero se non fosse per il Fairlight. Se “Wuthering Heights” non ti conquista all’istante, comincia da “Running Up That Hill”, uno dei migliori esempi di Fairlight Kate.
Playlist: “Wuthering Heights” / “The Man With The Child In His Eyes” / “Wow” / “Babooshka” / “Army Dreamers” / “Running Up That Hill (A Deal With God)” / “Hounds Of Love” / “Cloudbusting” / “This Woman’s Work” / “King Of The Mountain”
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“Ok, non voglio menare il can per l’aia” recita l’incipit di uno dei primi articoli mai scritti su Kate, “Kate Bush è… una ragazza”. L’autore prosegue: “Una ragazza con una sessualità perfetta, pre-confezionata, a lunga conservazione. Una ragazza con il seno di una principessa vittoriana, le labbra di un cherubino di Rembrandt, gli occhi di una notte araba, i capelli di…” E questo non è che l’inizio. Ci vogliono ore per leggere ogni sua intervista, una delle quali è esclusivamente incentrata sulle sue “piccole maliziose dita dei piedi”, mentre un’altra racconta che “il suo seno stimola l’amore” tra la scrittrice e suo marito, prima che a Kate venga chiesto alcunché sulla sua musica. In un’intervista del 1980 per Sounds magazine le è stato chiesto come mai il suo primo album The Kick Inside cominciasse con un canto di balena. “Le balene dicono tutto del ‘movimento’. Sono enormi e bellissime, intelligenti, soffici all’interno di una scorza dura”, lei risponde, come se sapesse perfettamente come ci si sente schiacciate sotto il peso del proprio corpo.
E in un certo senso lo era. Era perfettamente post-virginale e mestruale quando la EMI pubblicò il suo LP di debutto, un momento in cui l’unica altra donna pubblicizzata al livello di Kate era Debbie Harry dei Blondie. “Venivamo entrambe pubblicizzate per il fatto di essere corpi femminili oltre che cantanti. Molte persone non sapevano che io mi scrivevo da sola le canzoni o che suonavo il piano fino a circa un anno dopo”, Kate confessò al NME nel 1982. Doveva dare prova che c’era qualcosa dentro la sua cornice.
La sua musica sprigiona incredibile tristezza, terrore e piacere, come se fosse fatta di muco e lacrime. Una grande parte del catalogo di Kate consiste di storie che affondano le proprie radici nella perversione e nell’inquietudine. “Instant Kiss”, da Never For Ever, racconta di una donna che prova desiderio per un bambino, mentre “The Kick Inside” narra la storia di una donna che si suicida dopo essere rimasta incinta del proprio stesso fratello. “Potrebbe essere una delle più belle relazioni del mondo”, ha poi dichiarato a Smash Hits. Se il suo pubblico non fosse stato troppo occupato a fantasticare sulle sue “piccole maliziose dita dei piedi”, forse si sarebbe reso conto di quanto fossero deviate le fonti delle curiosità sessuali di Kate.
Quando non era horror, la sensualità era scatologica. Sulla copertina del suo terzo album Never For Ever, Kate indossa un abito con una stampa di nuvole, mentre dalla sua zona pelvica volano fuori cigni, pipistrelli, gatti. “Ma non ci potevano essere riferimenti al ‘vento’ perché quello avrebbe reso l’album un’unica grande scoreggia”, dichiarò a Sounds Magazine. A parte questa intervista, i giornalisti ai tempi non si impegnarono particolarmente ad analizzare la sessualità delle sue canzoni. Ogni tentativo di osservare più da vicino la perfetta presentazione del suo corpo avrebbe potuto afflosciare molti cazzi, visto che molto spesso dietro alla maschera non c’era molto più che una scoreggia. Torniamo a “The Saxophone Song” dal suo primo disco, in cui Kate siede imbronciata in un bar berlinese prima di sbottare in tono festoso “È in me, è in me” mentre si “sintonizza con il tuo sassofono”, prima che un assolo di sax prenda la scena soffiando, stridendo e scoreggiando. Un classico.
Playlist: “Feel It” / “The Saxophone Song” / “The Kick Inside” / “Symphony In Blue” / “The Infant Kiss” / “Houdini” / “The Sensual World” / “The Song Of Solomon”
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Superata da tempo l’adolescenza e raggiunta l’autosufficienza, Kate si trovava ancora soprannominata “la figlia del dottore” e, passati i quarant’anni, i critici continuavano a legare la sua musica all’inglesità del padre e all’irlandesità della madre. Era trattata come il prodotto di qualcosa d’altro, invece che come la responsabile del proprio genio. Una mitologia di purezza e stoicismo anglosassone la avviluppava come una tela di ragno, mentre la grande intuizione irlandese spiegava il suo talento musicale. Da quando aveva 12 anni, lei ha scritto canzoni che suonavano antiche come querce. Ma la storia cambiò a 23 anni.
The Dreaming, uscito nel 1982, è diventato il più grande capriccio mai registrato. Tamburi che battono come pugni insanguinati aprono l’album con la prima traccia “Sat In Your Lap”, mentre canta “Voglio diventare un’avvocata, voglio diventare un’accademica, ma non ho voglia di impegnarmi”, e si agita impaziente: “Ooh dammi dammi e basta! Dammi dammi dammi!” In “Suspended In Gaffa”, è bloccata nello stesso noioso purgatorio, uno stato di mezzo, mentre chiede con avidità “Posso avere tutto ora?” È una violenta sterzata dalla precedente Kate, tutta buone maniere e posatezza.
Prima di The Dreaming, Kate veniva presentata come l’idilliaca Rosa d’Inghilterra, un’immagine di purezza e mitezza perfetta da protagonista di Jane Austen. presented as the idyllic English rose, an image of purity and meekness fit for one of Jane Austen’s protagonists. Dal 1982 il pubblico ha cominciato a chiamarla eremita, malata di mente, una delle perdigiorno della Brontë. Mentre le critiche si facevano sempre più aspre e Kate si faceva più vecchia, si rivolgeva sempre di più a sua madre. Alcune parti del successivo album di Kate The Hounds Of Love sono biliose quanto The Dreaming, in particolare in “Mother Stands For Comfort”, che vede Kate uscire di nascosto dalla casa della madre, anche se sua madre “non dirò nulla”. Anzi, le permette di agitarsi e arrabbiarsi, a fare tutto quello che serve per decidere il valore della propria vita e riprenderla in mano.
Più tardi, Aerial (2005) avrebbe parlato del figlio di Kate e della sua maternità, ma non senza che l’inaspettato spettro della madre di lei ci si aggirasse. In “A Coral Room”, Kate immagina di navigare fra le rovine di una città che è stata ricoperta da tele di ragno come reti di pescatori, risultato del tempo e dell’abbandono. Allunga la mano oltre il bordo della barca e le viene chiesto che cosa sente. Il piano si ferma, ci sono cinque secondi di silenzio. “Mia madre”.
Playlist: “Breathing” / “Sat In Your Lap” / “Suspended In Gaffa” / “Get Out Of My House” / “Mother Stands For Comfort” / “Moments Of Pleasure” / “Lily” / “A Coral Room”
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Quando si diventa madre, si sviluppa una visuale aerea del mondo e, in Aerial, Kate Bush è sia madre che cielo. Vede il processo della luce e della vita, del buio e della morte ogni giorno. “Ogni luce assonnata deve dire addio al giorno prima che muoia”, ci ricorda sulla B-side di Aerial “An Endless Sky Of Honey”.
Ma le madri sono anche simbolo di conforto: “Teneteci vicino al cuore, così che se i cieli dovessero oscurarsi potremo continuare a vivere nelle comete e nelle stelle”, canta su “Endless Sky Of Honey”. Kate Bush ci ricorda che da ogni perdita nasce comunque qualcosa di bello, ed è la madre in lei che ci parla. Come ogni buona madre dovrebbe fare, Kate ti incoraggia a essere una persona buona, a trattare il mondo e tutto ciò che contiene come se valesse sempre qualcosa. Fa concentrare le nostre attenzioni sulle minuzie come sull’intero cosmo della bellezza, mentre la figlia in lei preferirebbe ribellarsi. “Vedi come il bambino, d’istinto, allunga la mano verso il fuoco per sentire com’è?“, ci fa notare in “Reaching Out”, da The Sensual World.
Tu, ascoltatore, puoi trovare una madre in Kate Bush. “Il modo in cui si rivolge personalmente ai destinatari dei suoi pezzi ti fa sentire come se stesse cantando a te. Anche quando dice cose senza senso, o si inventa narrazioni, così come quando resta nell’ambito dei sentimenti che chiunque può comprendere, trova un modo per infiltrarsi in te”, mi ha scritto una ragazza, Sybil, dopo che avevo chiesto ai fan di Kate di contattarmi su Twitter. “Sono rimasto affascinato dalla profondità della sua empatia, il suo amore per il rischio (creativo, professionale, sperimentale) e dal suo fascino senza limiti per il mondo e tutte le creature che vi vivono”, mi ha detto un altro fan, Chip. In mezzo ai racconti e alle assurdità, Kate Bush si rivolge singolarmente a ognuno di noi. Ascoltatela con tutta la vostra gentilezza e attenzione. Ponetele domande, permettetele di prendersi cura di voi, ribellatevi contro di lei. Ma fatelo con tutte le vostre forze. Siate sensibili alla sua musica come se foste una piantina. Chiedetevi perché non richiediamo questi standard di bellezza da ogni cosa.
Playlist: “Reaching Out” / “Top Of The City” / “Constellation Of The Heart” / “Bertie” / “An Endless Sky Of Honey” / “Among Angels”
La versione originale di questo articolo è stata pubblicata su Noisey UK.