Tecnología

Quando la DEA ha lasciato che il cartello di Sinaloa agisse indisturbato

Catapulte.”Jalapeños”. Dune buggy. Sottomarini da un milione di dollari. Tunnel della droga sofisticatissimi. Pipeline scavate con trapani industriali grandi come camion. Questi sono solo alcuni dei modi ingegnosi con cui il cartello messicano di Sinaloa—probabilmente il sindacato del crimine organizzato più grande, più potente e dotato delle tecnologie più avanzate del mondo—ha cercato di portare alla perfezione l’arte del contrabbando di droga negli Stati Uniti. E pensare che la più importante organizzazione anti-droga degli USA ha concesso a Sinaloa un lasciapassare per condurre le sue attività praticamente indisturbato, durante la fase più violenta della guerra alla droga in Messico.

Questo è quanto sostiene un’indagine senza precedenti di El Universal, che ha scoperto che le autorità di DEA e più in generale il Dipartimento di Giustizia degli Stati Uniti avrebbero fatto un accordo con Sinaloa in cambio di informazioni sui cartelli rivali. Avvalendosi di atti giudiziari ed estese interviste con esperti del caso sia in Messico che negli USA, El Universal ha riscontrato che l’accordo tra Stati Uniti e Sinaloa sarebbe durato dal 2000 al 2012.

Videos by VICE

Non è chiaro quale sia la relazione oggi—El Universal non è arrivato a conclusioni definitive sull’ipotesi che l’accordo sia ancora in piedi.

Ciò che sappiamo, ad ogni modo, sulla base delle indagini, è che gli agenti della DEA non solo si sono incontrati diverse volte con i capi di Sinaloa, ma lo hanno fatto senza interpellare le autorità messicane, e senza fare una soffiata della cosa al governo messicano, violando palesemente gli accordi bilaterali. C’è scritto:

…gli agenti della DEA si incontravano con i membri dei cartelli in territorio messicano per ottenere informazioni sui loro rivali e allo stesso tempo stabilire una rete di informatori di narco-trafficanti che firmavano accordi di cooperazione, soggetti a risultati, così che potessero ottenere vantaggi futuri, tra cui il ritiro di determinati capi d’accusa negli Stati Uniti.

Questi fatti si basano sulla testimonianza congiunta e comprovante della DEA e del DoJ, la prima nella storia ad essere pubblicata. Le osservazioni scritte sono state fornite a un tribunale distrettuale degli Stati Uniti a Chicago, dopo l’arresto di Jesus Vincente Zambada-Niebla, figlio di Ismael “El Mayo” Zambada, un capo di Sinaloa che lavorava come “coordinatore logistico.” (Nel 2010, quando gli è stata data l’estradizione a Chicago—una città che deve circa l’80 percento del suo mercato illegale delle droghe a Sinaloa—Zambada Niebla ha ammesso di aver goduto di una certa “immunità ad arresti o accuse” grazie al fatto che forniva agli agenti federali informazioni fondamentali sui rivali di Sinaloa.) I dettagli chiave arrivano dall’agente della DEA Manuel Castanon:

Il 17 marzo 2009, ho passato circa 30 minuti in una stanza di hotel a Città del Messico con Vincente Zambada-Niebla e due altri individui—l’agente della DEA David Herrod e un collaboratore [l’avvocato di Sinaloa Loya Castro] con cui lavoravo dal 2005. … Ho parlato facendo le veci della DEA.

La DEA ha incontrato i capi di Sinaloa più di 50 volte dal 2000, riporta Business Insider. Ma gli incontri segreti e le tregue tra il governo e la gang di narco-trafficanti più potenti del mondo trovano le loro radici nella fine degli anni Novanta quando, stando a quanto detto dall’avvocato di Zambada-Niebla in tribunale, Castro e gli agenti degli Stati Uniti fecero un accordo che prevedeva che Sinaloa fornisse informazioni sulle organizzazioni rivali agli Stati Uniti in cambio dell’insabbiamento delle accuse contro l’avvocato di Sinaloa in America. L’accordo stipulava inoltre che le autorità americane non avrebbero messo i bastoni tra le ruote alle operazioni di contrabbando e spaccio di Sinaloa né avrebbero dato la caccia agli uomini del cartello.

Ma aspettate, c’è dell’altro: Zambada-Niebla ha dichiarato, dopo la sua estradizione a Chicago, che l’operazione Fast and Furious fosse parte a sua volta di un accordo tra Sinaloa e USA, atto a fornire fondi e armi al cartello in cambio di informazioni.

Questa storia va presa cum grano salis: Per quanto, se fosse vera, bisognerebbe chiedersi di nuovo se il procuratore generale Eric Holder sapesse dell’accordo sulle armi, che sono poi state trovate su diverse scene del crimine da entrambi i lati del confine, compresa una in cui è morto un agente di confine americano.

Ugualmente, questa indagine non fa che confermare il sospetto che Sinaloa—e più specificatamente Joaquin “El Chapo” Guzman, l’elusiva colonna portante del cartello—e le autorità americane avrebbero giocato a “Facciamo un accordo sulla droga” per anni. In un mondo oscuro fatto di tecnologie sofisticate, arte del contrabbando, cadaveri decapitati e carbonizzati, questa notizia aggrava una situazione già terribile.