Alessandro Perricone è l’incarnazione del ragazzo italiano che ce l’ha fatta all’estero. Quello che ogni politico vorrebbe mettere sui suoi manifesti elettorali, quello che ‘Ha studiato, si è impegnato duramente e ce l’ha fatta!’, ma anche quello che ‘L’ennesimo cervello in fuga, che spreco per il nostro paese’. Alessandro Perricone, inoltre, di questa retorica se ne frega ampiamente – il che lo rende ancora più simpatico.
A soli 29 anni è head sommelier e front of the house del Relae – una stella Michelin a Copenaghen, 39esimo nella lista dei migliori ristoranti del mondo – e di altri quattro locali, di cui è da poco diventato socio, a capo di circa 150 dipendenti.
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MUNCHIES: Tu e Copenaghen: amore a prima vista?
ALESSANDRO PERRICONE: Ho subito trovato un paese corretto e magnifico. Io credo di essere bravino, lo dico senza ipocrisia, ma credo anche che qui ti vengano date più possibilità. In Italia è difficile essere preso sul serio dal punto di vista professionale, mentre qui a 24 anni, dopo appena sei mesi, sono diventato sommelier in quello che era il 75esimo ristorante al mondo.
Perché il vino?
Ho iniziato rubando le bottiglie dalla cantina di mio padre. Dopo un anno di Economia sono passato all’Università di Scienza Gastronomiche e da lì ho sempre spinto moltissimo: studiavo e avevo due lavori full time, da un produttore e in un ristorante. Cinque anni fa ho deciso di venire qui a Copenaghen.
Nessun gesto viene fatto per masturbazione pura, per il puro gusto di farlo. E così anche i prezzi diventano sostenibili.
In Scandinavia l’approccio all’alta cucina è molto diverso dall’Italia.
Sì, certo. Qui la gente viene da spettatrice. In Italia al ristorante capita più spesso di trovare il ricco svogliato che comanda. Noi, ad esempio, non facciamo un menu o portate speciali solo per i bambini: che problema ha tua figlio? Perché deve mangiare solo la pasta in bianco?
Il fine dining rimane una prerogativa di una nicchia di privilegiati?
Meno di quanto tu pensi. Siamo il più economico stellato a Copenaghen: 5 portate a 65 euro con bicchiere di vino. Ho un sacco di clienti giovani. Non c’è dress code e abbiamo la stessa maniera di comportarci in tutti i nostri ristoranti, anche in quelli più casual: mettiamo i tavoli vicini per abbattere i costi, teniamo l’acqua sul tavolo e le posate in un cassettino in modo che i clienti si servano da soli. “Nessun gesto viene fatto per masturbazione pura, per il puro gusto di farlo”. E così anche i prezzi diventano sostenibili.
Ho visto su Instagram che ultimamente hai avuto a che fare con dei ricconi.
Siamo stati contattati da un a società che organizza eventi per Bank of America. A Davos* era presente anche John Kerry. Volevano organizzare una cena legata al tema della sostenibilità insieme a uno chef dal nome ‘importante’ e hanno pensato di chiamare Christian (Puglisi, chef del Relae, NdR). Lui alla fine non è potuto venire e sono andato io con una parte del team.
*Piccolo bignamino per chi non avesse mai sentito parlare di Davos. Ogni anno dal 1971 la cittadina svizzera ospita il Forum Economico Mondiale, in cui politici, imprenditori, banchieri, economisti e intellettuali da tutto il pianeta si incontrano per discutere di tematiche come crescita economica, sostenibilità ambientale e gestione dei conflitti. La fondazione del World Economic Forum è finanziata da multinazionali che versano quote di adesione milionarie. Per partecipare al forum vero e proprio, che dura cinque giorni ed è a porte chiuse, serve un invito. Ce n’è abbastanza per averlo trasformato nel simbolo del capitalismo mondiale, spauracchio dei movimenti no-global, emblema delle disuguaglianze economiche e sociali che separano l’1% da tutti noialtri.
Cosa succede a Davos?
Durante il Forum si svuotano sia le case che i negozi: entri dal panettiere e ci trovi una troupe della BBC, per dire. Tutto è prenotato per gli eventi privati. La polizia è ovunque. È un’esperienza folle. Poi il paesino in sé è bruttino, le montagne intorno splendide.
Probabilmente sono abituati a vedersi servire foie gras invece che radicchio.
Parlami dell’organizzazione del forum.
Ho subito avuto uno scontro un po’ pesante con gli organizzatori, erano super stressati e ci hanno subito detto: a questi eventi non abbiamo mai visto nessuno mangiare. Non volevano nemmeno che mi occupassi del servizio! Probabilmente si aspettavano qualcuno di diverso, più maturo, più ‘formale’. Avevano in testa idee antiquate: non volevano i nostri camerieri e pensavano di farcela con 3 camerieri per 30 ospiti, pretendevano di portare solo due piatti alla volta… cagate simili. Noi abbiamo specificato che avremmo fatto a modo nostro. E alla fine è andata benissimo.
Come avete impostato la serata?
Il loro allestimento doveva richiamare una sorta di connection room, con alla base l’idea della condivisione. All’inizio abbiamo portato in sala snack con prodotti della nostra fattoria come ‘Nduja, germogli e ricotta grattugiata; Erbe e Pistacchio; Formaggio di capra e radicchio. L’ingresso è stato abbastanza spaventoso: normalmente i vassoi vengono assaliti, lì nessuno li toccava. Sembravano completamente distaccati e indifferenti al cibo. Probabilmente sono abituati a fare solo richieste personalizzate in fatto di cibo – e a vedersi servire foie gras invece che radicchio. Poi le cose sono migliorate.
Quando li avete conquistati?
Come antipasto abbiamo servito un Sedano rapa arrosto con crema caramellata e caffè. Molto comfy e rassicurante. La portata principale era un’anatra arrosto e da condividere, in mezzo al tavolo, c’erano Cavolo nero con noci e coscia d’anatra, Indivia con rosa canina e grasso d’anatra, Barbabietole e sambuco. Il dessert era Parfait di finferli con pasta croccante di croissant. Evidentemente è piaciuta soprattutto l’idea di passarsi i piatti, di condividerli. È stata quella la chiave vincente.
Tutti contenti alla fine, insomma.
Gli organizzatori erano commossi. In quel momento mi hanno davvero amato. All’inizio per loro l’unico scopo era far vedere a capi e investitori di Bank of America che potevano portare quel tipo di chef. Mi avevano chiesto di servire 3 piatti in 45 minuti: assurdo! Alla fine si è prolungato molto di più, si vedeva che alla gente piaceva rimanere lì e mangiare.
Due anni fa lo chef Christian Puglisi ha cominciato, insieme a tutto il suo team, un ambizioso progetto chiamato Farm Of Ideas. La fattoria, a una cinquantina di chilometri dal ristorante, comprende 30 ettari di seminato (bio), una ventina tra mucche e vitelli, una decina di maiali e un centinaio di anatre. Tutti i prodotti – formaggi, salumi, carni e ortaggi – arrivano ogni giorno nelle cucine dei ristoranti del gruppo.
Uno dei temi trattati a Davos erano proprio le politiche agricole. Da quel punto di vistala Danimarca è più avanzata dell’Italia?
C’è tanta burocrazia anche qui. E sicuramente c’è anche una lobby che controlla le politiche agricole. Nei nostri ristoranti siamo molto sotto pressione. Considera che ogni giorno mungiamo le vacche, facciamo cagliare il latte e serviamo il formaggio nei nostri ristoranti..
Quali sono secondo te i problemi, nel mondo della vinicultura, di cui si dovrebbero occupare i governi?
Viviamo in un mondo di certificazioni. Io ho un import export di vini chiamato Vinikultur e ammetto che il bio mi aiuta a vendere. Ma perché ci basiamo solo su quello? Perché non puntiamo a conoscere le persone, le storie, i territori dietro a una bottiglia? C’è tanta disinformazione su cosa ‘bio’ significhi davvero. E allo stesso tempo non c’è l’approccio giusto da parte dei produttori. “Il bio è una merda”, si sente dire dappertutto… e allora fai tu qualcosa per cambiare le cose! Ma se devo dire la cosa più assurda venuta fuori negli ultimi anni, beh… il vino vegano le batte tutte
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