Bomberismo, troll e capre: esiste un’alt-right italiana?

Illustrazione dell’autore.

A poche ore dall’elezione di Donald Trump, Francesco Facchinetti su Facebook riteneva che “la campagna ASSURDA PRO HILLARY, fatta dalle STAR AMERICANE,” avesse scatenato l’effetto opposto. “Ora vorrei sapere cosa ne pensate voi, che cosa vi passa per la testa dopo questa notizia.”

Come sia stato possibile che un candidato appoggiato esplicitamente dal KKK, accusato di evasione fiscale e di molestie sessuali abbia vinto le elezioni, è materiale che da giorni fornisce spunti un po’ a tutti, che scriviate per Süddeutsche Zeitung o—appunto—sulla bacheca di DJ Francesco.

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Allo stesso modo, è diventato tema di dibattito anche il ruolo che i social media avrebbero giocato nelle vittoria di Trump, in una discussione che ha chiamato in causa Facebook e addirittura lo stesso Mark Zuckerberg. Se è oggettivamente difficile capire quanto i social network abbiano contribuito al risultato, è però possibile inquadrare uno dei fenomeni ‘virtuali’ che ha caratterizzato questa campagna e che ha avuto riflessi anche nel concreto, attraverso il “sostegno” a Trump: quello dell’affermazione della cosiddetta “alt-right”.

Da qualche mese i media internazionali—e di recente anche quelli italiani—cercano di darne una definizione esaustiva. Una delle più chiare rimanda a questo articolo del New Yorker, che fa riferimento a “una sorta di affiliazione online composta da nazionalisti bianchi, neo-monarchici, maschilisti, cospirazionisti, reazionari, nichilisti e social media troll senza un’ideologia consistente,” tenuti insieme da un’etichetta anti-establishment.

In sostanza, è una specie di aggregato politico/culturale che attinge da blog e testate online, account influenti sui social media, board di 4chan e Reddit, basandosi su messaggi volutamente eccessivi, spesso ai limiti del trolling—se non trolling vero e proprio.

La sua estrazione ideologica è dichiaratamente reazionaria, maschilista, xenofoba e anti-moralista, e la sua efficace e paradossale macchina di propaganda si muove attraverso provocazioni, news false e meme—tanto da portare il personaggio di un innocuo fumetto del 2005, Pepe The Frog, a essere elevato a rango di “simbolo d’odio” equiparabile alla svastica nazista.

In una “normie’s guide to alt-right,” uno dei loro siti di riferimento (Daily Stormer) elenca quali sono i contenuti in uscita dalle community che animano la loro ‘comunicazione’: “Trolling, Memes, lulz, Non-ironic Nazism masquerading as ironic, Nazism, Anime Nazism.”

(Il giorno dopo l’uscita di questo video, girato a una giornata di conferenze alt-right lo scorso sabato, hanno spiegato che i saluti nazisti non-ironici erano in realtà “effettivamente ironici”—sul serio).

Una definizione precisa di alt-right, tuttavia, è impossibile da stendere—sommersa com’è da strati di ironia, non-ironia e post-ironia. In parole povere, a un certo punto non si riesce più a capire se un’immagine del genere—pubblicata da un account verificato che crea hashtag e meme virali su Trump, e che qui dà del pedofilo al vicepresidente Biden—sia trolling o meno:

Tanto che, ancora mentre scrivo, la sua stessa accezione continua a cambiare, un po’ alterata dalle interpretazioni giornalistiche (che arrivano a fare un parallelo col Comintern sovietico), un po’ deviata da episodi che la connotano sostanzialmente come nuova etichetta per definire neo-nazismo.

Tuttavia, quello che può sembrare un dibattito da corso di semiologia dell’Università di Urbino è entrato nell’agenda mediatica mondiale, e si appresta a scivolare furiosamente nella quotidianità dei cittadini dell’America ai tempi di Trump.

È successo ufficialmente qualche giorno fa, con la nomina governativa di uno dei più influenti esponenti di questa cosa: il direttore del sito ultra-reazionario Breitbart, Stephen Bannon, che passerà dal dirigere un giornale con questi titoli

A diventare Chief Strategist e Senior Counselor del presidente-eletto.

Sconvolto da una parabola del genere, e dal fatto che Breitbart si espanderà presto anche in Europa, da qualche giorno continuo a chiedermi se un modello come quello dell’alt right sia replicabile in Italia, se sia già dietro l’angolo, o se stiamo assistendo senza accorgercene all’ascesa di una alt-right italiana.

Per cercare di capirci qualcosa, ho provato a fissare uno schema-base il più vicino possibile a quello americano—già di per sé molto volatile—per risalire poi ai potenziali corrispettivi italiani del fenomeno alt-right.

Gli angoli che ho individuato sono: i provocatori reazionari mainstream, la cultura troll, il bomberismo, e le bufale e il populismo online.

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In “provocatori mainstream” includo tutte quelle figure che vivono sostanzialmente fuori dai social network, ma che in alcuni casi da questi vengono fagocitati—e il loro messaggio veicolato.

È quello che succede negli USA, per esempio, con personaggi come lo speaker radiofonico Rush Limbaugh: sono quelli che prendono posizioni volutamente estreme quasi fino al paradosso, tali da scatenare la reazione uguale e contraria fra sostenitori e critici. Sempre il New Yorker li definisce “opinionisti estremi, magari a lungo ignorati, i cui commenti eccessivi cominciano a essere presi seriamente dai media mainstream.” Mi è venuto da pensare immediatamente al personaggio di Vittorio Sgarbi (e specifico personaggio per dare l’idea che ciò di cui sto parlando non è lo Sgarbi in carne e ossa, ma l’immagine di lui che una certa fetta di popolazione ha imparato a costruirsi).

Il personaggio Sgarbi porta con sé una lunga carriera fatta di provocazioni volutamente estreme (‘Che l’Etna si porti via le case abusive!‘), soliloqui a favore di camera (‘Grillo eroe scemo della sinistra’, negli anni Novanta, in onda su Sgarbi Quotidiani), spesso di carattere pre-politico o propriamente politico, con un certo ‘carisma’ e una serie frasi urlate facilmente riconoscibili, come fossero dei meme (“Capra! Capra!”).

Negli ultimi tempi, tra i mille processi di recupero ironico in rete, è arrivato anche il suo: personaggio del quale seguire le violente ma divertenti invettive-video sui social, così influencer da esser notato dalle aziende, che lo hanno reso protagonista di iniziative di instant-marketing come quella in cui veniva seguito mentre si dirigeva verso la Francia per recuperare la Gioconda—un’iniziativa epica talmente verosimile, per il personaggio, che ci avevano creduto TUTTI.

Vero “bomber” da condividere quando manda tutti a cagare, figura da plasmare e contaminare (provate a cercare “Sgarbi remix” su YouTube e a contare quanti risultati produce), il personaggio Sgarbi è percepito come l’eroe che in qualche modo urla e rivendica quello che gli altri non possono più dire, ma che tutti pensano. Proprio come i meme. O come Trump.

In questo senso, bisogna approfondire la figura di Pepe the Frog e la sua “straniante evoluzione”—come spiegava Ryan Broderick su BuzzFeed News—per capire un po’ meglio l’alt-right e valutarne una possibile declinazione italiana.

Questa rana, scriveva, “ha vagato per gli angoli oscuri dell’Internet per quasi un decennio,” cambiando e venendo remixata nelle community di Reddit e 4chan. “Quando poi l’alt-right è uscita da quelle message board, Pepe the Frog li ha seguiti”: in questo modo, un’innocente rana che piscia è diventata—quasi per caso, ma anche no—un’immagine sovvertita dai troll di estrema destra in simbolo grottesco “del suprematismo bianco e dell’antisemitismo.”

Ovvio, Sgarbi non è Pepe. Non lo è propriamente nemmeno il suo personaggio—e tra l’altro, nella categoria dei pundit reazionari italiani potrebbero rientrare anche Gasparri e i suoi tweet contro le minorenni fan di Fedez, gli editoriali di Giuliano Ferrara o i corsivi di Camillo Langone, uno che negli ultimi anni ha scritto cose come “l’istruzione universitaria di massa,” specie quella femminile, “si configura come un pericolo per la sopravvivenza della società.”

Ma anche Vittorio Feltri, o Fabrizio Rondolino, politico, esperto di comunicazione e autore dell’Unità che si è distinto per una certa violenza verbale, tanto da spingere il direttore del suo giornale, Staino, a dissociarsi; o ancora Giuseppe Cruciani, altro personaggio circondato da satelliti di fan pronti a replicare i suoi tormentoni e le dichiarazioni reazionarie in radio.

Tuttavia, il personaggio Sgarbi sembra aderire molto meglio allo schema americano, specie se si considera che il suo animale totemico, la capra, da qualche mese è ospite fisso sotto forma di statua in uno show di Canale5, Matrix—rendendo il meme, in qualche modo, reale.

La linea tra la provocazione mediatico-artistoide e la tirata populista, nelle invettive del personaggio Sgarbi, è parecchio sottile. Come se il messaggio si dividesse poi in due, trovando sostenitori “ironici” e persone che ci credono davvero. Non a caso, le sue ‘esibizioni’ viaggiano a due velocità. Da una parte, spesso i suoi video gravitano come schegge impazzite nel Facebook gentista: quasi 900mila views, per esempio, registra questo video della pagina “Figli di Putin“—una platea da 230mila fan per meme filo-putiniani e anti-Clinton—in cui Sgarbi definisce la candidata Democratica assassina e “criminale di guerra.”

Dall’altra parte, però, il personaggio Sgarbi riceve attestati di stima goliardici, come fosse il protagonista di un vecchio video YouTube con un nonno che bestemmia: se esistesse uno script che conta quante volte nella sua pagina fan viene definito “capo assoluto” il vostro browser impazzirebbe dopo pochi secondi. Il che ci porta al secondo punto: il bomberismo.

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In questo caso la definizione è più complessa, perché non esiste e me la sto praticamente inventando. Proprio come nel caso del personaggio Sgarbi—che surfa però tra mainstream e social—da qualche tempo su Facebook esistono pagine (e più in generale una tendenza) che spingono all’esaltazione di gag, comportamenti o personaggi un po’ abbietti solo perché veracemente abbietti.

Pensate all’uso che si fa—negli ultimi mesi—della parola “ignoranza”: è come se l’accezione fosse diventata in qualche modo positiva, come a caratterizzare qualcosa di sinceramente autentico, impareggiabile, innato. E l’ignoranza, in questo processo di esaltazione, diventa una specie di dote, di super-potere, di cui i bomber sono portatori sani.

Celebrare l’ignoranza dei calciatori (“Calciatori ignoranti”, “Chiamarsi bomber”) è bomberismo. Creare una competizione che si chiama “Falafel Cup” della pagina “Calciatori brutti”, per premiare “tutti quei calciatori che, guardandoli bene, si troverebbero decisamente a loro agio a tagliare un cosciotto di carne sulle note di angoscianti canzoni mediorientali” e poi venire segnalati per razzismo e ricevere l’endorsement di Salvini: bomberismo.

Condividere un meme in cui si spiega che le donne hanno sempre freddo in ufficio perché il loro posto è dietro i fornelli o quelli ironici-ma-non-ironici su Mussolini che “ha il sorriso di quello che le ha bonificate tutte” è poi, evidentemente, bomberismo.

Questa tendenza estetica-ideale che si propaga sotterranea in rete senza un’etichetta vera e propria—come l’alt-right, prima di definirsi tale—si muove attraverso contenuti e community di una lunga lista di pagine, ma c’è un esempio sostanzialmente universale che può aiutarci a capire meglio. Da qualche mese Silvio Berlusconi sta vivendo una specie di rivalutazione “ironica”, venendo spesso apostrofato come “capo” dallo stile di vita “thug”. Pensate per esempio a quanti “bomber!!!” sono stati profusi sulla vostra bacheca insieme a questo video.

E adesso, pensate ai vostri status Facebook anti-belusconiani del 2008 senza provare a chiedervi cosa sia successo dentro e al di fuori di voi, per aver appena visto scene d’esultanza di fronte alle fasi iniziali di una molestia verbale a sfondo sessista.

È più o meno lo stesso meccanismo che porta a dare del “bomber!” al tipo che nello screenshot su WhatsApp trova un modo sagacemente violento per mandare a cagare la tipa che lo ha appena “friendzonato”—dando in genere inizio a una serie di commenti poco edificanti verso chi si nega al maschio.

Ecco: tutti questi fenomeni non sono molto lontani da una delle radici che alcuni analisti hanno intravisto tra gli impulsi primordiali dell’alt-right: il nuovo maschilismo, il meninism della manosphere globale. Per manosphere si intende un insieme di blog, siti, forum e community sui social in cui si affrontano e commentano questioni maschili condividendo lamentele sessiste, commenti anti-femministi, esperienze di vita esasperate o meme (il Guardian, in proposito, a luglio parlava di “modern misogyny”), in un crescendo che questa estate è culminato negli attacchi alle attrici del nuovo film di GhostBuster, accusate di essere donne in quanto donne.

Nel suo articolo per BuzzFeed, Broderick cita una delle community online “male-driven” più vicine a questa declinazione di alt-right, e persino più prossime a noi dal punto di vista geografico: è la community banter che segue il calcio in Gran Bretagna, specie su Twitter, con un suo linguaggio specifico, i suoi simboli, e il suo odio ironico/non ironico per il politicamente corretto.

“In UK,” scrive, “la cultura banter nel calcio—che detiene legami mai esplicitamente censurati con razzismo e sessismo—o pagine-meme come ‘Meninist Posts‘” stanno diventando la strada maestra che rischia di condurre gli abitanti di queste reti sociali dritti in bocca a retoriche e figure della “alt-right come il columnist di Breitbart Milo Yiannopoulos.”

Non c’è comunque bisogno di arrivare al sessismo per trovare lo stesso tipo di insofferenza nei confronti del ‘pensiero alternativo animato da buoni propositi’. Per subire un trattamento simile vi basta, per esempio, dire pubblicamente di essere vegani. E quindi sopportare decine di foto di ragazzi che mangiano bistecche sanguinolente e scrivono CIAONE—indovinate chi è il “capo assoluto” dell’ideale movimento anti-vegan dell’internet italiano?

Certamente, in Italia non esistono fenomeni precisamente uguali e assimilabili a quelli di altri paesi. Ma è individuando quel sostrato comune che si possono intravedere le parentele con l’alt-right americana, analizzando pensiero e metodo che si muovono sotto un certo tipo di cultura Internet italiana non così di nicchia, facendoci pensare che forse una sua versione italiana in realtà sia molto più vicina. Al di là di Salvini e dei Forconi, del Movimento 5 Stelle e delle pagine che condividono le bufale—che sono parte essenziale, tuttavia, dell’altro angolo del diamante dell’alt-right: il populismo e le fake news.

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Qualche settimana fa, Andrew Marantz del New Yorker—in un lungo ritratto dal titolo “Trolls for Trump”—scriveva del suo pomeriggio trascorso insieme al già citato Mike Cernovich, il “meme mastermind” dell’alt-right americana. Cernovich raccontava candidamente al giornalista che il loro era un lavoro di “contro-narrazione,” che puntava sostanzialmente a mettere in discussione qualsiasi evento rappresentandone una versione—o quantomeno una “visione”—alternativa e del tutto creata ad arte, ma funzionale al racconto politico.

Da qualche mese, infatti, si parla di “era della post-verità” e di “post-truth”, eletta dall’Oxford Dictionary come parola dell’anno.

“Possiamo controllare la narrazione su Twitter, i media mainstream hanno perso,” spiegava comunque Cernovich. “Obiettivamente, io SONO i nuovi media.” Per quanto possa somigliare a una specie delirio estatico, “io sono i nuovi media” è un’affermazione tanto potente quanto vera—e basta fare un giro nella rete Facebook italiana, per esempio, per capire quanto il racconto delle news e della politica sia sfuggito ai media classici, per passare dalle mani dei nuovi padroni del vapore dell’informazione online, siano essi pagine Facebook da centinaia di migliaia di like o video-dirette di idoli romani del gentismo con un libro in uscita.

La contro-narrazione dell’attuale da qualche tempo sta cominciando a viaggiare autonomamente sulle reti sociali italiane. In questo articolo pubblicato su VICE, per esempio, Mattia Salvia ha cercato di capire com’è vivere dentro la filter-bubble del Movimento 5 Stelle, replicando le loro routine informative e consultando solo le fonti che generalmente prevalgono sulle altre in questa parte di universo di Internet.

A conferma del fatto che il tema dell’irruzione dei meme, delle pagine Facebook che spacciano fattoidi a velocità incontrollabile e dei siti bufale è entrato prepotentemente nella mondo della politica-politica—come in Spagna, dove sta per diventare oggetto di legge—c’è il fatto che Facebook e Google hanno deciso di rivedere la loro policy in merito alle inserzioni pubblicitarie che appiaono sui siti che diffondono bufale in modo evidente, decidendo di calciare sostanzialmente via portali che circolano anche in Italia con nomi genuinamente fantasiosi come Il Fatto QuotiDAINO.

Riscatto Nazionale, Sinistra Cazzate Libertà, Avanguardia Nera e pagine simili sono in sostanza la versione italiana e ancora poco professionalizzata dell’americano Breitbart: è su quelle bacheche che negli anni—per esempio—si è cementato il mito del “Putin parallelo” di Internet, quello che parla continuamente di Italia da difendere, di moschee da spazzare via dall’occidente, e che sta progressivamente venendo scalzato proprio in questi giorni. Da chi?

Come notava Leonardo Bianchi pochi giorni fa su VICE, è “sui gruppi e sulle pagine dell’Internet gentista italiano che si può osservare una tendenza più basilare e al tempo stesso profonda: quella che vede Trump come l’eroe anti-estabilishment (nonostante si sia già circondato di lobbisti) e il vendicatore dei cittadini comuni di tutto il mondo.”

Per aiutarmi a focalizzare al meglio il fenomeno ho fatto due chiacchiere anche con Pietro Minto, che su Prismo è stato uno dei primi in Italia a parlare di alt-right. “Secondo me,” mi ha detto, “l’alt-right americana è nata, come sostieni tu, dall’accorpamento di razzisti/xenofobi vecchio stile con la ‘Nuova Reazione’, rappresentata dalla lotta anti-sistema becera e senza senso (scie chimiche, bufale sugli immigrati, ‘Che bravo Trump che usa il suo aereo e non l’Air Force One’).”

Ma la domanda è: tutto questo arriverà in italia? “Secondo me sì,” risponde Pietro. “O meglio, c’è già nella sua forma larvale. I requisiti ci sono tutti: abbiamo i nostri piccoli Breitbart e qualche Milo Yiannopoulos, che bombardano Facebook con i soliti punti e le solite lamentele. Risentimento, complottismo e una pessima situazione economica generano amarezza e rabbia—e l’alt-right è un movimento basato sull’ira, più che sulla protesta.”

Uno dei centri focali del risentimento dell’alt-right infatti, oltre a un plateale sentimento xenofobo e sessista, è più in particolare l’insofferenza nei confronti del politicamente corretto, e di chi se ne fa portavoce. In questo senso, la figura del candidato-nemico ha coinciso perfettamente con quella di Hillary Clinton, avversario politico ma anche ‘voce della ragione’ da preferire al brutale linguaggio trumpiano, il buon senso politically correct sostenuto dai media e dalle cancellerie internazionali, contro le uscite scandalosamente scorrette di Trump.

In Italia, più che per Renzi—di per sé, bene o male, una figura di rottura meno perbenista di altre—questo stesso schema può essere replicato verso chi fa o ha fatto del buon senso comune, del politicamente corretto, del “moraleggiante” la propria cifra politica e giornalistica, di chiunque censuri esplicitamente i ‘cattivi costumi’.

Il presidente della Camera Laura Boldrini, per esempio, è da anni l’epicentro di invettive e bufale online—così come Cécile Kyenge, sebbene leggermente scomparsa dai radar gentisti. Ma nella categoria potrebbero essere citati anche Massimo Gramellini, Fabio Fazio, Roberto Benigni, Luciana Littizzetto, che rientrano perfettamente in questo schema e sono alcuni degli obiettivi più raggiunti da questo genere di attacchi.

Ma quali potrebbero essere, invece, gli eroi della nostra alt right? “Marco Travaglio è *potenzialmente* alt-right: è notoriamente di destra, ma da anni ‘costretto alla sinistra’,” suggerisce ancora Pietro. Spiegandomi, però, che non si riferisce al ‘Marco Travaglio’ al quale pensiamo di solito—dato che non si è mai presentato da Lilli Gruber urlando “HEIL VICTORY”—ma che si tratta di un meccanismo ‘elettivo’ più complesso.

“Su Travaglio c’è un fenomeno interessante: lo scollamento tra il ‘Travaglio-vero’ e il ‘Travaglio-percepito’, espresso da gruppi come Marco Travaglio Forever,” che sono sostanzialmente un pozzo nero di contenuti alt-right creati e condivisi da gente “che non sa ancora cosa sia l’alt-right. Fortunatamente Travaglio non è razzista, altrimenti sarebbe perfetto.”

Insomma, continua, “non so se la chiameremo mai alt-right, ma quella COSA esiste già. Forse Grillo provvederà a trasformare il suo Tzé-Tzé in un Breitbart italiano: casereccio, passatista e pieno di teorie sul futuro à la Casaleggio, non so. O arriverà da Salvini, o da altri. Ma non manca molto, solo l’etichetta: i semi sono già stati piantati, e molti di quelli che abitano già questo mondo apprezzerebbero sicuramente l’alt-right se il loro internet non finisse con ImolaOggi.it“.

Del resto il ‘mercato’ delle bufale online da qualche tempo in Italia si è perfino professionalizzato, allevando un piccolo esercito di esperti delle bufale che lavorano per speculare a livello economico sulla disinformazione altrui, o per trollare intere community—come dimostra il caso di Ermes Maiolica.

La questione dei troll, nell’affermazione dell’alt-right nel dibattito pubblico americano, è stata sostanziale. Ed è questo l’anello debole, probabilmente, della potenziale alt-right italiana.

Perché se è vero che nello stesso brodo primordiale del bomberismo (xenofobia e sessismi ironici e gratuiti) si possono intravedere le basi degli stessi schemi americani, qui in Italia sono rari—se non praticamente nulli—quegli stessi riferimenti che oltreoceano trovano casa su 4chan e Reddit—a meno che non si guardi ad alcune board, la maggior parte delle quali da tempo defunte.

In pratica, per arrivare al 100 percento di adesione al modello originale, manca ancora qualcosa. “È difficile intravedere quello stesso tipo di cultura, qui, dove l’emozione provata dai troll nel vedere un non-presidente diventare presidente,” continua Pietro, in Italia l’abbiamo già ampiamente avuta. “Servirebbe qualcosa di più forte e nuovo: il Gabibbo? Cruciani? La ranocchia pazza vestita da aviatore delle suonerie telefoniche?”

Non lo sappiamo ancora.

Detto ciò, non sorprendetevi se nell’arco di qualche anno il dibattito politico diventerà una specie di incubo incentrato su una capra che urla “I neg*i c’hanno il wifi e noi MUTI” pubblicata da “Le Frasi di Osho”. O, appunto, su una rana matta con i capelli grigi.

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