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L’America è pronta per una guerra a colpi di meme?

I meme, come vi dirà ogni stregone alt-right seguace dell’ormai celeberrima rana Pepe, non sono solo un frivolo intrattenimento. Hanno poteri magici, sono quel tipo di cose che compongono e controllano la realtà. Ciò che sorprende è che questa opinione non sia poi così distante da quella che è maturata all’interno del Dipartimento di Difesa degli Stati Uniti, dove un gruppo di ricerca in via di sviluppo studia come i meme possano essere utilizzati per vincere le guerre.
Questa recente votazione ha dimostrato che i meme, alcuni dei quali sono stati finanziati da miliardari con interessi politici ben precisi e da governi stranieri, possono essere armi davvero potenti, ma allo stesso tempo lanciano una particolare sfida ad una superpotenza come gli Stati Uniti.

I meme sembrano essere gli ordigni esplosivi improvvisati della guerra di informazione. Sono gli strumenti naturali di un insurrezione; sono ottimi per attirare l’attenzione su una determinata questione, ma è probabile che compromettano gli effetti desiderati quando vengono gestiti dal principale attore in un conflitto asimmetrico. Per avere un esempio di come le cose possano velocemente mettersi male quando grandi istituzioni cercano di controllare la comunicazione su internet, basta pensare al grande spreco di tempo e denaro nel caso del guaio con Twitter della polizia di New York. Questo non significa che si debbano fermare le ricerche o che i meme vadano completamente eliminati, ma come dimostrato dal caso della polizia di New York e da altri esempi, l’establishment non è poi così pronto ad affrontare una guerra a colpi di meme.

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Per una serie di motivi, è probabile che nella nuova Casa Bianca la memetica assuma un’importanza maggiore.

Per comprendere la questione, dobbiamo prima spiegare cos’è un meme perché, già di per sé, la sua definizione è oggetto di controversie e confusione. Siamo soliti pensare ai meme per il loro popolare utilizzo in rete come singole illustrazioni ripetitive contenenti delle frasi divertenti. Pepe e i Lolcat sono due ben noti esempi di quel tipo. Ma nel suo utilizzo scientifico e militare un meme si riferisce a qualcosa di molto più ampio. Nel suo saggio del 2006 intitolato “Evolutionary Psychology, Memes and the Origin of War“, lo scrittore e transumanista Americano Keith Henson ha definito I meme come  “unità auto-propagantesi di evoluzione culturale: modi di affrontare situazioni, eruditi elementi di cultura, credenze o idee”.

La memetica, lo studio della teoria dei meme e della loro applicazione, è una sorta di miscuglio di concetti e discipline. E’ in parte biologia e neuroscienza, in parte psicologia evoluzionista, in parte una propaganda vecchio stile e in parte una campagna marketing guidata dalla stessa filosofia che si prepone di capire cosa rende un banner cliccabile. Sebbene attualmente la memetica si collochi in un qualche punto tra la scienza, la fantascienza e le scienze sociali, alcuni entusiasti  la presentano come una sorta di codice segreto che può essere utilizzato per riprogrammare, non solo i comportamenti di una singola persona, ma di intere società.

Immagine: @altright_es

Per una serie di motivi, è probabile che nella nuova Casa Bianca la memetica assuma importanza maggiore. Jeff Giesea è un ex impiegato di Peter Thiel, gigante della tecnologia e sostenitore di Trump, e un influente programmatore all’interno della corrente alt-right che è stato menzionato in recenti articoli riguardanti il movimento e i suoi legami con l’amministrazione Trump. Giesea è anche l’autore di un articolo pubblicato su una rivista strategica della NATO alla fine del 2015 – proprio mentre la campagna di Trump stava cominciando a raccogliere consensi – intitolato “E’ giunto il momento di sfruttare la guerra a colpi di meme“.

“È giunto il momento di considerare in modo più ampio le Comunicazioni Strategiche nel campo di battaglia rappresentato dai  social media”, diceva Giesea nel suo saggio sul potere dei meme. “E’ giunto il momento di adottare un approccio e una mentalità più aggressivi, agili  e dinamici. E’ giunto il momento di sfruttare la guerra a colpi di meme”.

Giesea non è di certo stato il primo a suggerirlo. Qualche lungimirante membro delle forze armate statunitensi si era interessato al modo in cui potevano essere utilizzati i meme in una situazione di conflitto molti anni prima che la morte e la resurrezione digitale di Harambe dominasse la cultura popolare. Archivi pubblici documentano come l’interesse delle forze armate per i meme sia aumentato dopo il 2001, incoraggiato dalle guerre contro i gruppi terroristici jihadisti e dalla parallela “guerra di idee” con l’ideologia islamista.

Nonostante le ricerche del governo e l’interesse all’interno delle forze armate per adoperare i meme in una situazione di conflitto, sono stati i gruppi ribelli ad utilizzarli in maniera più efficace.

“Memetica: un settore in crescita all’interno delle operazioni delle forze armate statunitensi” è stato pubblicato nel 2005 da Michael B. Prosser, allora Maggiore e adesso Tenente Colonnello del corpo della marina. L’articolo di Prosser, che era stato critto come compito per la School of Advanced Warfighting del corpo della marina, include un disclaimer che chiarifica come questo rappresenti solo il suo punto di vista e non quello del governo o delle forze armate statunitensi. Al suo interno, espone la sua idea per diffondere e trasformare i meme in armi, che vengono definiti come “unità di trasmissione culturale” e ” frammenti di informazioni culturali trasmessi e riprodotti attraverso popolazioni e/o società” per “comprendere e sconfiggere un’ideologia ostile e convincere le masse di civili indecisi”.

L’articolo di Prosser include una proposta dettagliata per lo sviluppo di un “Meme Warfare Center”. La funzione del centro è quella di “avvisare il Comandante sulla creazione e la trasmissione dei meme, e di fornirgli un’analisi dettagliata sulle popolazioni alleate, rivali e civili”. Guidato da un alto rappresentante civile o da un leader militare che prenderà il nome di “Meme Management Officer” o “Meme and Information Integration Advisor”, scrive Prosser, ” il MWC è progettato per avvisare e fornire al comandante le più pertinenti opzioni per uno scontro a colpi di meme all’interno di un campo di battaglia non lineare ed ideologico”.

Un anno dopo la pubblicazione del progetto per il Meme Warfare Center, la DARPA, l’agenzia del Pentagono che sviluppa nuove tecnologie militari, ha commissionato uno studio quadriennale sulla memetica. La ricerca è stata condotta dal Dott. Robert Finkelstein, fondatore del “Robotic Technology Institute” e accademico con un background in fisica e cibernetica.
Lo studio di Finkelstein sulla “Memetica Militare” si è concentrato su un problema che risulta essere fondamentale in questo campo, ovvero quello di determinare “se la memetica può essere definita una scienza con l’abilità di spiegare e predire i fenomeni”. In altre parole, doveva ancora essere dimostrato che i meme potessero essere dei veri e propri elementi reali e non solamente dei concetti ingegnosi che hanno alle spalle una grande strategia di marketing.

Il lavoro di Finkelstein cerca di avvicinare la memetica alla scienza dura definendo i meme per la memetica militare “informazioni che si propagano, che hanno un impatto e persistono (Info-PIP)”. Classificando  i meme secondo questa definizione e separandoli da tutte quelle idee che non contano come meme, riesce a fornire dei sistemi metrici come la “persistenza” che permettono di misurarne la loro validità.

Immagine: “A Brief Overview of Memetics”

Nonostante la ricerche del governo e l’interesse nato  all’interno delle forze armate per adoperare i meme in un conflitto, sono stati i gruppi ribelli ad utilizzarli in maniera più efficace. Durante le prime fasi della guerra dell’ISIS in Iraq e in Siria, per esempio, il gruppo ha usato i meme per attrarre un pubblico internazionale e diffondere il suo messaggio sia ai nemici che alle possibile reclute.

Una delle prime attuazioni della ricerca nel campo della memetica e della propaganda nei social media è stata l’iniziativa  del Dipartimento di Stato del 2013 chiamata “Think Again Turn Away“.  I tentativi della campagna di contrastare la propaganda social dell’ISIS non sono andati a buon fine. Il programma, secondo Rita Katz, responsabile del SITE Intelligence Group, “non è stato solo inefficace, ma ha fornito ai jihadisti un palcoscenico per dar voce ai loro argomenti”. In un modo analogo a come i sostenitori dell’ISIS si erano appropriati della piattaforma del governo, un anno più tardi gli attivisti hanno usato l’hashtag del Dipartimento di Polizia di New York per evidenziare gli abusi che questo aveva commesso.

“Guardate quanto sono accattivanti i loro meme rispetto ai nostri” ha detto Sen Cory Booker agli altri membri del Dipartimento della Sicurezza Interna durante un dibattito del 2015 sulla “Jihad 2.0“. La valutazione di Booker è diventata opinione comune, ma alcuni critici si chiedono se concentrarsi su un “gap tra i meme” sia davvero un modo efficace per contrastare i gruppi come l’ISIS.

“In quel campo non ho mai visto un programma militare che risultasse efficace” ha detto a Motherboard John Robb, un ex pilota dell’aeronautica coinvolto in operazioni speciali e autore di “Brave New War: The Next Stage Of Terrorism and The End of Globalization“. Per come la vede lui, le forze armate statunitensi avranno sempre uno svantaggio strutturale quando si parla di applicare la memetica alla guerra perché “tutti i più efficaci tipi di manipolazione creano uno squilibrio”. Secondo Robb, ” la manipolazione generalizzata del sentimento comune  non è il punto forte [delle forze armate]” e questo principalmente perché “tutto il potere sta nelle mani delle persone al di fuori di questo meccanismo, generando il suddetto squilibrio”.

Le guerre a colpi di meme sembrano favorire le insurrezioni perché, per loro natura, attenuano il monopolio sulla narrativa e rafforzano le minacce all’autorità centralizzata. Un governo potrebbe utilizzare i meme per accrescere il disordine all’interno di un sistema, ma se l’obiettivo è quello di aumentarne la stabilità, allora sono lo strumento sbagliato.

“Queste cose sono ricorrenti”, ha detto Robb riguardo al nuovo interesse per la guerra a colpi di meme. “Ogni due anni esce un nuovo programma, le persone spendono soldi per un paio di anni e poi tutto passa. Poi ci si dimentica del fallimento e si ricommette lo stesso errore”.

Immagine: Hillaryclinton.com

In America siamo appena stati testimoni di una benriuscita rivolta attuata con i meme. La campagna di Donald Trump è stata costruita come movimento di opposizione – contro l’establishment repubblicano, i democratici, i media, e il “politicamente corretto”. Ha utilizzato i meme con precisione e con successo perché, in quanto opposizione, ha beneficiato di un crescente disordine.  Ogni meme che recitava “Sick Hillary”, “Cuck” o lo slogan “Draining The Swamp” ha contribuito ad erodere il muro costruito attorno all’autorità istituzionale.

La vittoria di Trump ha scioccato il mondo, ma se tutti avessimo letto l’articolo scritto nel 2015 dal power broker alt-right Jeff Giesea riguardo la guerra dei meme, forse avremmo potuto prevederla.

“Per molti di noi che si occupano del campo dei social media, sembra ovvio che delle tattiche di comunicazione più aggressive e una guerra a colpi di meme e di trolling siano necessarie, economiche e che rappresentino anche un semplice modo per riuscire a distruggere il morale e l’appeal dei nostri avversari”, ha detto.