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‘American History X’ è uscito 20 anni fa, ma è più attuale che mai

'American History X' è uscito 20 anni fa, ma è più attuale che mai

Vent’anni fa American History X metteva in luce la terribile realtà dei suprematisti bianchi. Prima di allora il pubblico dei cinema non aveva mai visto la cultura neonazista in tutti i suoi orribili particolari—sangue e ossa rotte, ipocrisia, devozione all’odio, e poi la difficoltà nell’allontanarsi per sempre da essa. Nel 1998, è stato presentato come film “con un messaggio”, ovvero che questa orribile ideologia potesse essere abbandonata dai suoi sostenitori, che potessero addirittura cercare di redimersi.

Oggi, l’odio che American History X cercava di esplorare è diventato parte del discorso politico quotidiano. Il film sottovaluta quanto l’odio può infettare la società, diffondersi e raggiungere chiunque. Questo errore di valutazione riflette la nostra ignoranza, ancora oggi, sulle origini dell’odio nella nostra società, su come può essere combattuto, e su come una maggiore consapevolezza possa aiutare tutti.

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“Penso che nessuno guardando American History X negli anni Novanta avrebbe pensato che i suprematisti bianchi protagonisti del film potessero diventare mainstream,” dice Heidi Beirich, direttore dell’Intelligence Project del Southern Poverty Law Center. “Negli anni Novanta erano considerati molto al di fuori del mainstream. Oggi, alcuni dei loro slogan hanno eco nella Casa Bianca.”

Il film racconta la storia di un giovane skinhead (interpretato da Edward Furlong) il cui fratello, dopo un periodo in carcere per omicidio volontario, esce dal penitenziario ed è pronto a lasciarsi alle spalle il suprematismo bianco. Il risultato è un’enciclopedia di retorica razzista che oggi si ritrova in alcune dichiarazioni fatte dal presidente Trump stesso.

Il passaggio che segue, per esempio, è tratto dal discorso che Derek Vinyard (Edward Norton, che per questa interpretazione è stato nominato all’Oscar) pronuncia di fronte al suo gruppo neonazista prima di aggredire i commessi non bianchi di un negozio: “A chi frega: al nostro governo non gliene frega, perciò chi si sorprende se a sud del confine ridono di noi e delle nostre leggi?” L’idea di stranieri che sbeffeggiano le leggi americane sull’immigrazione è una metafora che Trump usa da anni. Il 30 luglio ha twittato: “L’immigrazione clandestina è un problema prioritario di sicurezza nazionale. Dopo decenni in cui abbiamo giocato, mentre il mondo intero rideva della stupidità delle nostre leggi sull’immigrazione…” Il tweet continua suggerendo che i democratici stiano cospirando per minare il sistema d’immigrazione americano.

Il presidente, i suoi consiglieri e i suoi alleati hanno smesso di ridere e sono passati al linguaggio dell’azione. In riferimento alla carovana di migranti che dal Centro America si dirigeva a nord, Trump ha twittato che “questa è un’invasione del nostro paese, il nostro esercito vi aspetta!” E dopo questa dichiarazione, ha dato ordine al Pentagono di inviare 14mila soldati al confine tra Messico e Stati Uniti, con la minaccia di eliminare lo ius soli protetto del 14esimo Emendamento.

In un’altra scena, Danny Vinyard (Furlong) ricorda di come idolatrava il fratello maggiore Derek che a Venice Beach trascinava le persone di colore fuori dagli spazi pubblici—”per un po’, grazie a lui, era come se la zona fosse di nuovo nostra.” Riportare il nostro sistema sociale “rotto” a una fantomatica gloria passata è il cuore del trumpismo, e il ritornello del movimento conservatore americano, oggi. Quello che dice Danny non è che una variante locale del Make America Great Again.

Negli anni Novanta si interpretava American History X come un prodotto del terrorismo domestico. Il film cattura la paura del pubblico e la fascinazione nei confronti di militanti suprematisti dopo l’attentato di Oklahoma City nel 1995, messo in atto da Timothy McVeigh. Nell’attentato erano rimaste uccise 168 persone, l’atto terroristico con più vittime in America fino all’11 settembre. In tutto il paese la paura era di diventare il bersaglio dei militanti che volevano istituire un regno del terrore e portare al potere uno stato etnico bianco.

Credit: New Line Cinema
Edward Furlong nei panni di Danny Vinyard. Per gentile concessione di New Line Cinema.

Gli attentati dell’11 settembre hanno ribaltato quelle paure. Il terrorista non è più il maschio americano bianco ma una nebulosa figura di straniero arabo. “Se il terrorista è tuo connazionale, c’è sempre la possibilità che tu chiuda un occhio. Quello che nessuno dice ma molti pensano è che non possono essere tanto cattivi quanto persone non bianche di altri paesi,” dice Paul Smith, professore di studi culturali della George Mason University.


“Anche quando negli anni Novanta i terroristi ‘made in the US’ erano molto attivi, non ci siamo fatti molte domande su noi stessi,” dice Smith. “Di sicuro, nessuno ha mai sollevato il punto che gli ideali dei suprematisti bianchi esistevano in America da un secolo e mezzo, e si sono manifestati in luoghi diversi in momenti diversi.”

Il disinteresse per una visione globale della storia è ovunque nella cultura americana. Fa sì che il passato diventi un insieme di atti individuali separati dal loro contesto. È un meccanismo di difesa che fa sì che vengano sospese le colpe per grossi traumi culturali come la schiavitù e il razzismo di stato.

American History X
Sweeney (Avery Brooks) ed Edward Norton (Derek Vinyard) in ‘American History X.’ Per gentile concessione di New Line Cinema.

American History X è, in parte, vittima di questa tendenza individualizzante. Quello che fa è condurre un viaggio complesso nelle vite di Derek e Danny. E non si vedono mai le conseguenze di quando i personaggi affrontano, di pieno petto, l’odio che hanno contribuito a generare.

Alla fine del film, Derek convince Danny ad abbandonare il suprematismo bianco con lui. Derek stesso viene chiamato a parlare alla sua vecchia gang dopo un altro grave incidente. Derek tentenna. Cerca di trovare un modo alternativo di essere un partecipante attivo di questa lotta, ma alla fine accetta di aiutare. Il confronto promesso—un ultimo incontro tra Derek e la sua ex gang—è interrotto per sempre dopo che Danny viene ucciso a colpi di pistola da un compagno di classe nero che rivendica un torto subito da Danny all’inizio del film.

Secondo il film, non c’è fine possibile alle ripercussioni che la violenza dei suprematisti bianchi ha sulla società civile e la cultura. Ci sono pause di durata variabile, ma il film non fa promesse su come la tragedia si possa trasformare in vero cambiamento. L’assassinio di Danny è più impellente del confronto tra Derek e i suoi ex compagni. Ed è un trauma simile che aveva condotto Derek al neonazismo. Un singolo atto di violenza fa sì che entrambi i protagonisti non mettano a frutto il loro pensiero anti-odio appena trovato. Ora che Danny, la motivazione primaria di Derek per allontanarsi dall’odio, non c’è più, questi è libero di tornare a quel mondo.

Sembra quasi impossibile che esistano pause in questo circolo di violenza. Non c’è differenza tra l’odio delle gang rappresentato in American History X e i vari gruppi di estrema destra odierni. Che sia l’Alt-Right che marcia su Charlottesville, o i Proud Boys che aggrediscono i manifestanti per le strade, o un antisemita armato che fa una strage in una sinagoga, o Derek Vinyard, è lo stesso. Il suprematismo bianco esiste da centinaia di anni. Si annida ai margini del potere americano fin dalla nascita del Paese. E la sua influenza sulla Casa Bianca continuerà a meno che i cittadini non votino per candidati apertamente non razzisti e non suprematisti per molte elezioni a venire.

Comunque, resta almeno una differenza importante che rende i razzisti di oggi molto più pericolosi degli skinhead di American History X. Il film dipinge gli skin come esteticamente, visivamente diversi dagli altri. Girano in stivali con lacci rossi, sono rasati a zero, hanno svastiche e slogan razzisti tatuati. Oggi i suprematisti della razza bianca hanno adottato una politica di mimetizzazione nella società.

American History X
Norton nei panni di Vinyard si guarda allo specchio dopo l’uscita dal carcere e dai suprematisti bianchi. Immagine per gentile concessione di New Line Cinema

“Oggi, c’è Richard Spencer che indossa una polo e dei chinos. È un buono sforzo di branding che permette ai razzisti di essere ovunque e attrarre un pubblico che non avrebbero potuto attrarre allora, quando avevano gli anfibi e le magliette razziste,” dice Beirich.

Gavin McInnes* e i suoi Proud Boys, che non si identificano come suprematisti bianchi ma condividono molti dei loro valori, per esempio, indossano polo Fred Perry come uniforme. Il blogger neonazista, e fondatore di The Daily Storm, Andrew Anglin, ha cercato di trasformare le New Balance nelle scarpe ufficiali dei bianchi. Messe tutte insieme, queste preferenze sartoriali apparentemente innocue formano un pattern diabolico.

“Tutti i gruppi che ci sono in giro ora sono quello che eravamo noi negli anni Novanta, ma un po’ ripuliti. Quando sento quello che dicono, tutto quello che riesco a pensare è che sono le stesse cose identiche a 30 anni fa,” spiega Frank Meeink, co-fondatore di Life After Hate, un gruppo che aiuta i suprematisti bianchi ad abbandonare il movimento. Meeink durante l’adolescenza era uno skinhead. Ha deciso di lasciare quel gruppo dopo un confronto con membri della comunità ebraica e nera, che gli ha fatto mettere in dubbio le sue convinzioni. Alcuni dicono che American History X sia basato sulla sua storia, ma a Meeink non interessa che sia vero o meno. L’importante è il messaggio di Life After Hate.

Trump stesso ha reso idee suprematiste parte integrante della sua politica. “Sono un nazionalista,” ha strillato in Texas. Twitta, “Oggi il partito Democratico proteggerebbe gli stranieri criminali piuttosto che i CITTADINI AMERICANI – che è il motivo per cui devono essere ELIMINATI dal governo!” Il suo uso del termine “democratici”, in particolare, si ritrova in diversi passaggi di American History X. I protagonisti del film usano quel termine come derogatorio nei confronti di chiunque non concordi con le loro idee, soprattutto se sono donne.

Questo ha assicurato ai suprematisti bianchi un’influenza sempre più forte. Secondo un report del Southern Poverty Law Center, “Storicamente questi gruppi ascendono durante le presidenze democratiche per paura che vengano prese misure restrittive sulle armi. Tipicamente sono meno forti durante le presidenze repubblicane. Ma non sotto Trump, che con le sue idee radicali e bigotte potrebbe averli rinvigoriti come ha rinvigorito altri gruppi fondati sull’odio.” Inoltre uno studio recente ha scoperto che il 6 percento dei bianchi americani ha visioni comparabili a quella dell’Alt Right: sono circa 11 milioni di persone.

“Sono numeri enormi se paragonati a quando è uscito il film,” dice Tony McAleer, presidente di Life After Hate.

Per McAleer, ex suprematista bianco, l’eredità del film consiste nella capacità dei suoi personaggi di ‘svoltare’ verso l’amore e l’empatia. “Davvero rappresenta un’allegoria di un programma ‘di uscita’. È un film coraggioso e forte, che ha anticipato i tempi,” dice.

Il film si impernia sul momento in cui Derek, in un momento bassissimo della sua parabola esistenziale, riceve affetto e comprensione dal suo insegnante del liceo Sweeney (Avery Brooks), nero. Sweeney visita spesso Derek in carcere ed è lui che chiede a Danny il tema sulla vita di Derek che dà struttura al film. Un altro momento fondamentale è quando Derek viene stuprato dai compagni di carcere della Nazione Ariana per aver messo in discussione il loro operato. Sweeney arriva con dei libri e consola Derek, ma chiede, “C’è qualcosa che hai fatto che ti abbia migliorato la vita?” Derek singhiozza. No, è la risposta taciuta.

“In quel momento ho cominciato a piangere” dice McAleer. “Rispondevo per me stesso proprio come fa lui.”

Gruppi come Life After Hate sostengono che l’approccio di Sweeney, quello del cercare confronto, dialogo e compassione sia il modo migliore per combattere l’odio. Può essere problematico, visto che la rieducazione dei razzisti può essere intesa come un compito di persone non bianche. In questo senso, Sweeney rappresenta il tropo del “nero magico” che risolve i problemi del protagonista bianco e lo assolve dai suoi torti razziali.

Comunque, Meeink crede che l’apertura e la volontà di trovare un campo in comune sia alla base del cambiamento dei neonazisti. Nelle sue parole, “Quando parlo a queste persone di sganciarsi dalle loro credenze, all’inizio nemmeno parlo di credenze o di politica. Parlo della vita. Devi guardare la tua vita e chiederti se è lì che vuoi essere.”

A vent’anni dalla sua uscita, American History X può essere un buon esempio per la nostra cultura su come potremmo affrontare questo problema pervasivo e complesso. Attraverso il film, possiamo sia capire meglio la necessità di considerare i neonazisti responsabili delle loro azioni, come fa Sweeney con Derek, sia invitarli a una vita diversa, come fa Derek con Danny. American History X è uno dei pochi film veramente fondamentali sulla questione. Chi lo vede capisce quanto il problema sia radicato nella nostra società, e perché non possiamo permettere che continui a crescere indisturbato.

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*Gavin McInnes è stato un co-fondatore di VICE Media. Ha lasciato la società nel 2008 e non ha più avuto alcun coinvolgimento in essa da allora. Ha fondato il gruppo Proud Boys nel 2016.