Música

Amsterdam, la terra dei gabber

Foto: Alberto Guerrini/Gabber Eleganza

Dovendo scegliere un capo di abbigliamento che ha segnato la scena musicala del gabber olandese, questo sarebbe la Nike Air Max, in particolar modo la BW. Così, in occasione dell’Air Max Day, abbiamo pensato di raccogliere le testimonianze di chi ha vissuto sulla propria pelle il periodo che ha reso il gabber uno dei momenti più emozionanti della storia della musica dance.

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Ascoltare la musica gabber è l’equivalente sonoro di essere presi ripetutamente a pugni in testa. La gabber è un folle uomo calvo in una tuta fluorescente che vi si scaglia addosso ghignando per otto ore, una ragazza in un reggiseno sportivo che sembra molto più dura di tutti gli altri sulla pista da ballo, una grancassa implacabile, suonata all’estremo, dal suono sintetizzato come di quelle alle giostre e accompagnamenti così distorti che sembrano urla umane, o addirittura lo sono.

È l’ equivalente del grindcore per la musica dance, fatta di esplosioni elettroniche che colpiscono continuamente, in ogni singola traccia, per tutta la notte fino a far fischiare le orecchie e far sembrare tutti i suoni attutiti come sott’acqua. Originario di Rotterdam nei primi anni Novanta, questo genere è stato una risposta alla troppa attenzione della scena acid house di Amsterdam. Prendendo spunto dal suono dell’hardcore emerso da Francoforte più o meno un anno prima, i produttori Olandesi hanno fatto spazio in mezzo agli altri stili per dare vita alla gabber, regalando alla vita notturna della città un rumore che davvero nessuno aveva mai sentito prima. Le percussioni erano più veloci, i testi più estremi e lo stile molto più minimal.

Secondo Ari Versluis, un fotografo che ha cominciato a documentare i primi gabber per la sua serie Exactitude (Esattezze), è stata “la prima vera cultura giovanile olandese, è successo che fossero dei ragazzini i primi ad ascoltare l’hardcore e techno aggressiva e loro stessi scelsero di indossare tute neon dai colori pastello. Tutto ciò aggiungeva un che di incredibile alla faccenda.”

Ari ricorda questo cambio di rotta nella città. Rotterdam passò improvvisamene “dall’avere 0 a 2000 etichette discografiche, tutte che vendevano musica gabber”. E mentre i brani si facevano strada oltre i confini verso il Belgio, la Germania, l’Austria e l’Italia, un sacco di gente cominciava ad andare alle serate gabber. Non tutti vestiti allo stesso modo – molti di loro continuavano a vestire come la moda europea nel 1996 dettava – ma c’era un modo semplice per individuare chi si stava dirigendo ad un rave per urlare sopra la musica a potenziali partner casuali, e questo era possibile perché avevano la loro vita dedicata al movimento gabber.

Per i ragazzi, il must era avere la testa rasata e abbigliamento sportivo. Ciò, nei Paesi Bassi durante il boom degli anni ’96 e ’97, significava indossare sgargianti giacche colorate di società di tennis australiane ed imarchi italiani sportivi perferiti dalle squadre calcistiche inglesi nei primi anni 1980. Per gli italiani che hanno visto affermarsi la musica gabber qualche anno piu tardi – come Alberto Guerrini, che ora gestisce il blog the Gabber Eleganza – vestirsi gabber significava indossare T-shirt e felpe con slogan: United Hardcore Against Fascism and Racism (Hardcore uniti contro il fascismo e il razzismo), l’immortale Hardcore ‘Til I Die (Hardcore fino alla morte) e Hardcore, You Know the Score (Hardcore, sapete chi vincerà) o comunque frasi che coinvolgessero la parola “Hakken”, lo stile di danza nativa dei gabber.

L’ Hakken è molto difficile da descrivere. Immaginate che qualcuno, per qualche ragione, stia cercando di ballare il tip tap su un tapis roulant, o che stia palleggiando coi piedi con una palla invisibile, sembra un po’ quel tipo di movimento.
Quando fu necessario scegliere le scarpe giuste per il gabber, si optò sia per l’Air Max 90 che per per l’Air Max B. “Erano—e sono tuttora—le scarpe dei gabber”, dice Alberto. “Molta gente, me compreso, personalizzava le scarpe disegnando con pennarelli indelebili motivi a scacchiera, loghi o etichette, o lacci fluorescenti.” Queste scarpe da ginnastica dovano permettere dei movimenti all’altezza con il ritmo della gabber e con il loro look estremo dei capelli a zero. “Avevo anche io un bomber che avevo personalizzato—avevo incollato una foto di Pinhead da Hellraiser nella parte posteriore e l’avevo ricoperto di scritte gotiche e toppe”, dice Alberto. “Probabilmente una cosa del genere adesso sarebbe vista come patetica dal movimento gabber”.

I gioielli non erano presi molto in considerazione, i bracciali pesanti non sono poi così comodi mentre stai sgomitando in preda ad un attacco di convulsioni a 170 beat al minuto. Per questo si preferivano gli orecchini, meglio se cerchi d’oro. Le ragazze all’inizio vestivano allo stesso modo dei ragazzi, mentre nei primi anni Novanta diventarono sempre più di moda i piercing sul viso. Questo potrebbe spiegare perché ancora oggi si vedono tutti quei piercing fluorescenti a morso di serpente nei rave commerciali americani.

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Contrariamente, il modo più semplice per individuare una ragazza gabber erano i capelli: tagli corti rasati ai lati o sulla nuca con le lunghezze tirate in code di cavallo, sia raccolte in trecce che lasciate libere. Era una sorta di taglio Chelsea al contrario, lo stile tipico delle ragazze che frequentavano gli originali skinhead inglesi, stile che Alberto ed i suoi amici stavano cercando di emulare.
“Era il taglio iconico delle ragazze gabber” mi dice. “Per le più giovani era come una prova di coraggio, perché non è quel genere di look che i genitori accettano dalla figlia sedicenne. Le più toste si rasavano addirittura completamente.

Andando al Nightmares, uno dei grandi eventi gabber all’Energy Hall di Rotterdam, rischiavi di vedere la maggior parte delle ragazze in tute da ginnastica, simili a quelle indossate dai ragazzi, forse un poà meno sgradevoli. Le magliette troppo grandi venivano però sostituite da stretti crop top a tinta unita, di quelli che ora si vedono sui nuovi blog helth goth di tumblr, portati con le ciabatte della Nike e quantità spropositate di tessuto a rete.

Con la fine degli anni Novanta la popolarità di gabber cominciò lentamente a scemare—entrarono in scena un certo numero di sottogeneri hardcore e quello che era una volta il tipico sound gabber divenne un miscuglio di tutti i tipi di beat e ritmi. In questo modo, lo stile originale di Rotterdam venne diluito dagli altri. “Tornando al boom della gabber in Italia—2000 o 2001—circa l’ ottanta per cento di persone ad un rave o in un locale era vestito in stile gabber”, dice Alberto. “Ad oggi ne rimane solo un trenta percento.”

Ci sono stati tentativi di rinascite minori e diversi stilisti di moda hanno preso spunto da questa sottocultura—in particolare Tom Nijhuis, la cui intera collezione “1995” ha trovato ispirazione nella sua giovinezza nei Paesi Bassi, passata ad ammirare i vecchi ragazzi gabber.
Per quanto riguarda i rave, con una ricerca appofondita su Google si può trovare quello più vicino a noi, con tanto di volantini che promettono “no alla musica commerciale” e, cosa più importante, “solo vera musica ballabile”.