È un fatto che gli stupri e le molestie commesse dalle donne siano viste in modo diverso rispetto a quelle commesse dagli uomini. L’idea che anche una donna possa commettere uno stupro è meno presente nella coscienza collettiva, ma questo non vuol dire che non succeda. E quando succede ci sono commentatori pronti a dirci che le donne non stuprano ma seducono le loro vittime o che un ragazzo dovrebbe solo considerarsi fortunato se riesce a farsi la sua professoressa.
Nel 2015 Caroline Berriman, una professoressa 30enne di Manchester, ha evitato il carcere dopo essere stata riconosciuta colpevole di aver avuto regolari rapporti sessuali non protetti con un suo studente 15enne. La relazione era durata due mesi e alla fine la figlia di Berriman chiamava il ragazzo “papà.” La vittima aveva poi confessato che il fatto l’avrebbe “segnato per tutta la vita.”
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Se ho citato questo caso di cronaca è perché la mia storia è molto simile. Anche nel mio caso è iniziato tutto quando avevo 15 anni. La mia professoressa era una ragazza della mia città, ventenne, con una sorella di un anno più piccola di me che andava nella mia stessa scuola. Era anche molto carina: bionda, bassina e con un fisico atletico. Non si faceva problemi a parlare con i ragazzi più popolari della scuola come se fossero suoi amici. Tutte le ragazze dell’istituto volevano essere come lei, tutti i ragazzi se la volevano fare. Non pensavo che io ci sarei riuscito.
Un giorno, dopo scuola, ho fatto finta di dover chiamare mia madre al cellulare per farmi venire a prendere. Ho chiesto alla mia prof di prestarmi il telefono, ma invece di chiamare mia madre mi sono mandato un messaggio. Le ho ridato il telefono e sono andato a casa. Mi sembrava di aver usato un trucco geniale. Mi ero procurato il numero della prof più figa della scuola. A chi dei miei amici raccontarlo per primo? Ho preso il telefono e non potevo credere a quello che ho visto. Sotto il messaggio che mi ero mandato da solo ce n’era un altro: “Simpatico. Quando passi da me a bere qualcosa?”
Devo aver intuito che la cosa sarebbe potuta finire in modo inappropriato, perché ho salvato il numero della mia prof con un nome falso. “Mia.” Da quel giorno sono andato a trovare Mia due o tre volte alla settimana dopo scuola. Ci sedevamo sul suo divano, guardavamo Friends e limonavamo per ore. Mi chiedeva com’era andata la mia giornata e ridevamo di studenti e insegnanti che non ci piacevano. Dopo due settimane così, ho perso la verginità.
È stato un incubo. Il sesso in sé ha fatto schifo. Qualunque 15enne si sentirebbe sotto pressione a trovarsi a letto con una donna più grande, figuriamoci un 15enne alla sua prima esperienza sessuale. Mia era aggressiva ed esigente. Ho fatto del mio meglio per imitare quello che avevo visto nei porno e mi sembrava che lei facesse i rumori giusti. A tratti è stato imbarazzantissimo e non sapevo cosa pensasse lei. Poco dopo la nostra prima volta, mi ha chiesto di dirle ti amo. Il problema è che lo pensavo davvero.
Col passare dei mesi la relazione era diventata estenuante. Mia mi aveva vietato di frequentare alcune delle ragazze più carine della mia classe. Se facevo qualcosa di sbagliato mi teneva il broncio e mi ignorava quando ci incontravamo nei corridoi della scuola, sapendo bene che in quel momento non potevo chiederle cosa c’era. A volte diceva di essere gelosa delle sue amiche, che si sposavano e andavano a convivere mentre lei era ancora lì a perdere tempo con “un bambino”—cioè con me.
E mentre le cose peggioravano sempre di più mi ha detto di aver perso il nostro, di bambino. Una sera, mentre ci facevamo le coccole dopo il sesso, aveva cominciato a perdere sangue. Sul momento avevamo pensato entrambi che le fosse venuto il ciclo in anticipo. Lei era imbarazzata, io lo trovavo divertente. Alla fine ero andato a dormire a casa mia, anche perché il giorno dopo avevo lezione.
La sera dopo Mia mi aveva chiamato e mi aveva detto che aveva passato tutta la giornata in ospedale, che aveva avuto un aborto spontaneo. Era incinta da qualche settimana. All’epoca non ero riuscito a capirlo davvero. Nella mia testa non mi sembrava possibile poter aver un bambino, proprio perché io stesso ero ancora un bambino. Non sapevo cosa dire. Mia non voleva parlarne. E così non ne abbiamo mai parlato.
Il peso di quel segreto mi ha fatto impazzire. A 16 anni ero sempre strafatto. I miei amici parlavano tra loro delle loro fidanzate—del sesso, dei litigi, delle vacanze che facevano insieme—e io non ce la facevo a mescolarmi a loro. A volte tornavo a casa strafatto, andavo in camera e mi mettevo a parlare da solo. Non potevo dire a nessuno che ero innamorato. Peggio, non potevo dire a nessuno che sapevo che la mia relazione non poteva durare. E dopo un incidente particolarmente stupido ho deciso di chiuderla.
Una sera ero uscito con i miei amici e stavo tornando a casa. Invece di andare a casa però sono passato da Mia. Abbiamo passato i due giorni successivi a scopare in tutte le stanze della casa. Il modo esterno ha smesso di esistere e io non mi sono nemmeno fermato a pensare ai miei genitori, che non avevo avvisato e che erano rimasti senza mie notizie per 48 ore. Quando sono tornato a casa mia mamma era in lacrime. Avevano chiamato la polizia e stavano per dichiararmi scomparso. Era troppo. Ho scritto un messaggio a Mia: “Non possiamo più vederci.” Mi ha risposto: “Ok.”
Secondo il professor Kevin Browne, esperto di salute mentale della Nottingham University, “Gli stupri commessi da donne su ragazzi minorenni sono difficili da individuare perché spesso le vittime non denunciano. Ci si aspetta che i ragazzi non li considerino abusi e che non ammettano quanto siano spaventati. E questo dipende dalla natura patriarcale della nostra società.”
Io ero spaventato e ho cercato di uccidermi tre volte. Le prime due con gli antidolorifici e la terza schiantandomi con la macchina contro il guard rail. In tutti e tre i casi ne sono uscito più o meno illeso. Il mio psichiatra mi ha prescritto degli antidepressivi.
Dopo aver sentito dire che Mia era andata a letto anche con altri ragazzi della mia scuola, l’ho segnalata in modo anonimo alla polizia. Ho detto agli agenti che non volevo rilasciare dichiarazioni ma che se fossero andati a controllare le sue conversazioni su Facebook avrebbero trovato tutte le prove di cui avevano bisogno. L’ultima volta che ho sentito parlare di lei era stata licenziata dalla scuola, aveva venduto casa e cancellato i profili sui social.
Gli abusi sessuali commessi dalle donne sono relativamente rari. Si stima che siano circa il cinque percento di tutti i reati sessuali. Ma esistono e bisogna fare di più per incoraggiare chi li subisce a parlarne pubblicamente. Io sto ancora cercando il coraggio di farlo.
I nomi dei personaggi sono stati cambiati per proteggere la loro identità.