Salute

Prima della pandemia, non avevo capito fino in fondo la mia ansia

ansia sociale

In questi mesi, per via della pandemia, abbiamo passato molto più tempo ‘dentro’: dentro le nostre case, ma anche dentro noi stessi—probabilmente cambiando un po’ il rapporto che abbiamo con entrambi gli aspetti. In questa serie a un anno dai primi cenni di lockdown, vogliamo analizzare il come e il perché. Possibilmente in una luce positiva, perché sul resto abbiamo scritto abbastanza.

A marzo 2020, quando la realtà della pandemia ha iniziato a colpirci e la maggior parte delle persone a star male all’idea di un lockdown prolungato, la mia reazione è stata un po’ diversa. Ero rasserenato.

Videos by VICE

Certo, chiudersi in casa significava rinunciare a tante cose, ma anche evitare tutta una serie di eventi, più o meno piccoli e quotidiani, per me estremamente sfiancanti.

Fin da bambino, infatti, percepisco le situazioni di normale stress come quasi insopportabili, e col passare del tempo lo spettro delle occasioni che mi suscitano ansia si è allargato sempre più—fino ad inglobare tantissimi aspetti della mia quotidianità. A dirlo non sono io, ma una diagnosi e un percorso di terapia.

“La fobia sociale o disturbo di ansia sociale è uno dei vari disturbi che rientrano nel cappello dei disturbi d’ansia,” spiega Marta Fanfoni, psicologa specializzata in psicoterapia cognitivo-comportamentale. “È un disturbo psicologico caratterizzato principalmente da un’intensa e persistente paura di affrontare situazioni sociali in cui si è esposti alla presenza di un giudizio, per timore di apparire incapaci, ridicoli, agire in modo inopportuno, di commettere errori.”

Per rifuggire da quest’ansia, chi ne soffre tende a controllare ed evitare. Nel primo caso, immaginandoti la situazione, preparandoti ai possibili scenari—e, di conseguenza, “esponendoti maggiormente a una performance negativa,” spiega Fanfoni. Tramite l’evitamento, invece, ti sottrai per esempio nel rispondere a qualcuno durante una conversazione, o direttamente a partecipare a una cena, per poi essere divorato dai sensi di colpa per le occasioni perse.

Ecco: improvvisamente, il lockdown sembrava aver smorzato le mille potenziali situazioni che innescavano queste reazioni e il malessere successivo. Per dirla con Fanfoni, la situazione permetteva di “schivare tutti gli stimoli che esponevano a un sovraccarico emotivo, ma senza i conseguenti sensi di colpa, perché giustificati dalla situazione.”

All’inizio, insomma, quell’esperienza così livellante—praticamente tutti i miei amici e conoscenti erano costretti a casa—sembrava aver livellato anche la mia ansia. Non immaginavo ancora che i mesi successivi avrebbero visto cambiare ulteriormente il rapporto che ho con lei.

Qualche mese dopo è arrivato l’allentamento delle misure, ma i mesi estivi hanno in un certo senso prolungato la mia tregua: ancora smart working e molto tempo in casa, con in più qualche cena e birretta con amici con cui mi trovo a mio agio. In quel modo gli stimoli che potevano far provare ansia erano ancora assenti, ma si lasciava “la possibilità di avere delle cose piacevoli, senza sentirsi obbligati a strafare o a esporsi più di tanto,” conferma Fanfoni.

Quella socialità così limitata e poco stressante, almeno nella mia esperienza, si è trasformata in una sorta di tutorial per tornare gradualmente a vivere diversamente.

Poi però c’è stato il secondo lockdown. L’ammasso di mesi da ottobre 2020 ha interrotto bruscamente l’idea di una vita da riprendere gradualmente, in maniera sana. Nella mia testa iniziavano a trovare spazio domande che fino a poche settimane prima non mi sfioravano nemmeno. E se questo periodo durasse molto di più di quanto sono pronto a sopportare? Così mi sto allontanando troppo e in modo irreparabile alle situazioni sociali che già non riuscivo a gestire? Sto perdendo per sempre degli anni della mia vita che dovrebbero essere avventurosi ed emozionanti? Quante occasioni avevo già perso, ben prima della pandemia, a causa della mia ansia?

In pratica: l’ansia che provavo era la stessa di sempre, solo adattatasi alle nuove condizioni?

“La pandemia, come tutti i momenti di grande cambiamento, ci ha portato a guardarci indietro, a riflettere, a soppesare, a rimpiangere ciò che abbiamo perso. L’ansia sociale nasconde dietro al timore del giudizio un profondo bisogno di essere accettato. Da qui nasce la voglia di rimanere integrato e la paura di essersi distaccati troppo,” continua Fanfoni. “Succede perché realizziamo finalmente il costo dell’evitamento, anche in questa forma ‘obbligata’ e con un ridotto senso di colpa.”

Queste realizzazioni, in un certo senso, possono darci la spinta necessaria ad affrontare più coraggiosamente noi stessi, quando torneremo a una vita normale. “Questo ci porta ad avere un’enorme motivazione per cambiare,” continua Fanfoni. “La psicoterapia si fonda proprio sulla motivazione e sull’impegno per arrivare al cambiamento. L’ansia sociale è un disturbo assolutamente trattabile.”

Per affrontarla, però, serve innanzitutto “cambiare il proprio punto di vista, affidandosi possibilmente a un professionista”—e, in secondo luogo, “iniziare a cercare delle modalità per ridurre questo evitamento. Possiamo partire da qualcosa di piccolo, come una passeggiata al parco con un amico con cui non abbiamo troppa confidenza, per poi provare ad affrontare situazioni mano a mano sempre più difficili, con la consapevolezza che è un percorso complesso e delicato, ma per nulla impossibile.”

Al momento sto provando ad applicare io stesso accorgimenti di questo tipo—ma anche a guardare alla mia ansia con una consapevolezza che prima non avevo mai avuto. L’ansia ha molte più sfaccettature di quanto crediamo, e trova modi infiniti per ‘ingannarci’. Per questo, conoscere i suoi meccanismi è parte del percorso.