In Libano al momento vivono circa 100.000 armeni, quasi tutti diretti discendenti di quelli scappati al genocidio che, nel 1915, ha portato alla morte di più di 1.5 milioni di armeni per mano ottomana. Il Libano li aveva accolti all’epoca e ora, fra i confini della propria nazione, può vantare una delle comunità diasporiche armene più numerose (fuori dai confini russi).
Nonostante i 100 anni di distanza dal genocidio, la comunità armena libanese vive e fiorisce anche attraverso le proprie tradizioni: molti giovani armeni frequentano le scuole armene, parlano armeno e si identificano fortemente con l’eredità culturale dei propri padri. Il cibo, naturalmente, gioca un ruolo fondamentale nella prosperità di queste tradizioni.
A dimostrarlo c’è soprattutto il Burj Hammoud, il distretto nella periferia di Beirut che, dopo essere stato inizialmente predisposto dalle autorità libanesi per accogliere le famiglie armene in fuga, è diventato de facto il quartiere armeno della città.
Fra le strade strette e affollate di Burj Hammoud troverete facilmente graffiti che condannano la Turchia per il genocidio e, soprattutto, per la sua mancata ammissione di colpa. “Fanculo alla Turchia,” dice uno. Un altro invece è la raffigurazione grafica dell’allora Impero Ottomano che, al posto di una sbarrata “Turchia Occidentale,” vede una correzione in “Armenia Orientale.”
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Da qualche settimana, ormai, il quartiere è in subbuglio più del solito. Le bandiere e gli striscioni in ricordo del centenario del genocidio sono talmente tanti che è difficile contarli, e testimoniano le migliaia di persone scese in piazza a marciare in commemorazione del giorno in cui l’Impero Ottomano ha ucciso 250 intellettuali e leader armeni dando ufficialmente il via al massacro (il 24 aprile 1915).
Oggi, però, tra tutte quelle bandiere e striscioni, ci sono anche un sacco di persone intente a gustarsi il pranzo. Al Mano, per esempio, svariati clienti stanno aspettando il proprio sandwich basterma. Qui la carne, che potremmo paragonare al pastrami americano, viene spesso definita “la bresaola armena”: carne stagionata, asciugata all’aria e messa in infusione con una mistura di paprika, fieno greco, aglio e cumino. Anche i pomodori e i cetrioli, che con i loro aromi contrastano la sapidità della basterma, sono spesso fra le aggiunte del sandwich.
I sopravvissuti al genocidio, a Burj Hammoud, non sono molti. Marie Korian, che all’epoca del genocidio aveva 5 anni, vede nelle tradizioni la preservazione dell’identità culturale armena. “ Il sangue che abbiamo perso non andrà perduto,” mi dice.
Nata nel 1920 ad Adana, che ora si trova in Turchia, Marie Korian porta con sé le storie della propria famiglia, trovatasi costretta a scappare dal proprio Paese nel 1915. Una sua zia aveva dovuto affidare un figlio a un gruppo di suore e poco dopo, esausta, si era trovata costretta ad abbandonare anche l’altro di nove mesi lungo la fuga in Siria.
Durante quel periodo moltissimi armeni erano più impegnati a sopravvivere che a ricordare la propria storia, e non erano soliti, di conseguenza, parlare di quanto avessero vissuto. “Ma noi non lo possiamo dimenticare,” continua Marie, spiegandomi anche come molti intellettuali armeni stiano lavorando sodo per tenere unita la comunità. “Siamo qui, mano nella mano, un’unica voce, tutti intenti a combattere per la nostra causa.” Mi chiedo se in questo pensiero includa anche Kim Kardashian, che recentemente ha visitato l’Armenia per commemorare le proprie radici. Mi basta solo menzionarla per ricevere in risposta uno sguardo assente.
Korian prosegue il racconto spiegandomi come le prime comunità armene giunte in Libano avessero portato con sé le proprie specialità regionali. Il cibo dell’Armenia Occidentale era molto diverso da quello tipico del territorio che ora forma l’Armenia moderna, essendo più affine a quello delle culture mediterranee e levantine.
Tra integrazione regionale e variazione locale, poi, è molto difficile incasellare uniformemente la tradizione gastronomica armena. Questa vastità è ben rappresentata dal menu dell’ Onno, uno dei ristoranti più antichi di Burj Hammoud. Situato sotto al ponte Yerevan (così chiamato in onore della capitale armena), l’Onno è un locale a conduzione familiare, consta solo di pochi tavolini e ti permetterà di mangiare tantissimo a meno di 10 euro.
La cucina libanese e quella armena vanno a braccetto, e dalla loro unione nascono piatti a dir poco squisiti. Ciò che distingue la seconda della prima è il condimento. La gastronomia armena spicca per la varietà di condimenti, che tra spezie, pasta ai peperoni rossi (la muhammara), piatti a base di yoghurt e salse alla melagrana, riesce davvero a far venire l’acquolina in bocca a tutti.
Se siete alla ricerca della quintessenza della cucina armena, tuttavia, il Mayrig potrebbe fare al caso vostro. Situato vicino al quartiere di Gemmayzeh, questo ristorante di super lusso propone, stando alla cofondatrice Aline Kamakian, solo “due o tre” piatti libanesi.
Il Mayrig ha aperto nel 2003 ed è a lui che la scena gastronomica armena libanese deve la sua fortuna. Nonostante la mancanza di scuole di cucina nei dintorni, all’epoca Kamakian si era affidata alle donne armene del luogo per ricreare i piatti della tradizione, dando vita al primo ristorante armeno del Libano. Oggi all’interno delle sue mura lavorano circa 40 donne.
Secondo Kamakian il Mayrig (che in armeno significa “madre”) è un mezzo per rafforzare e rivendicare la cultura armena. Per dare un tocco ancora più autentico alla propria offerta, qualche anno fa è persino partita alla volta della Turchia orientale, rintracciando le ricette che ora propone ai propri clienti.
“[Gli Ottomani] non hanno solo ucciso gli armeni, ma hanno anche cercato di annientarne l’eredità culturale, di cui fa parte anche il cibo,” continua Kamakian che, per spiegarmi meglio cosa intenda, mi riporta due esempi culinari. Su boureg (un pasticcino a strati) e i manti (dei ravioli ricoperti da yogurt), sono solo due dei piatti originari dell’Armenia che però, con le repressioni culturali e il massacro, sono stati riappropriati ingiustamente dagli ottomani.
“Il genocidio è iniziato ben prima del 1915, quando ci è stato impedito di parlare armeno. Nel mio viaggio alla scoperta delle radici culinarie armene ho scoperto che persino gli chef del sultano erano armeni.”
Nel 2012 il Mayrig è uscito dai confini libanesi, arrivando a Dubai. Qui Kamakian spera di costruire nuovi spazi per coltivare e proteggere l’eredità armena. “Abbiamo milioni di amici ma alla fine mangiamo tutti da soli. Una volta perso il senso d’appartenenza non lo si può più recuperare.”
N.d.R. Il Mayrig, a oggi, rimane aperto a Beirut e a Dubai. I piani di Kamakian rimangono sempre quelli di esportare franchising in tutto il mondo, portando l’autentica cucina armena entro più confini possibili. Se non avete in programma di visitare a brevené Beirut né Dubai consigliamo di rifarvi gli occhi sul loro account Instagram.
Quest’articolo è originariamente apparso su Munchies US.