Da qualche giorno, uno dei casi che tiene banco nel dibattito nazionale è quello del concorso indetto dalla Regione Lazio per due posti all’ospedale San Camillo e rivolto esclusivamente a medici non obiettori.
Per affrontare il caso bisogna partire da alcuni dati.
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In Italia, dal 1978, esiste la legge 194—quella sull’interruzione di gravidanza—che dà alle donne il diritto di abortire. La stessa contiene un articolo che sancisce che i medici, appellandosi all’obiezione di coscienza, possono scegliere di non svolgere interruzioni volontarie di gravidanza (libertà che viene a mancare nel caso in cui il paziente sia in pericolo di vita.)
In Italia, facendo appello a questo articolo, secondo gli ultimi dati del ministero 7 medici su 10 sarebbero obiettori di coscienza. In alcune regioni, il numero di obiettori supera il 90percento, e solo il 60 percento degli ospedali con un reparto di ostetrica e ginecologia effettua interruzioni volontarie di gravidanza.
Ancora: negli ultimi anni dieci anni il numero di obiettori di coscienza è aumentato del 12 percento, mentre il numero di aborti è calato sensibilmente. In sostanza, abortire in Italia è ancora complicato—come testimoniano la presenza di aborti clandestini, le polemiche che ciclicamente il tema scatena, e il fatto che l’Italia nel 2014 sia stata condannata dal Consiglio d’Europa in quanto i medici non obiettori incontrano discriminazioni e le donne che vogliono abortire incontrano difficoltà nel farlo.
È in questo contesto che in Regione Lazio, a novembre del 2015, è stato indetto il bando di cui si parla in queste ore. Con questo, si cercava un dirigente medico (poi diventati due) per l’ospedale San Camillo, una delle strutture ospedaliere più grandi della capitale.
La particolarità del concorso consisteva nel fatto che per la prima volta in Italia, veniva specificato che il posto sarebbe stato “a tempo indeterminato di un dirigente medico disciplina Ostetricia e Ginecologia da destinare al settore Day Hospital e Day Surgey per l’applicazione della Legge 194/1978.” In altre parole: i candidati si sarebbero dovuti impegnare a svolgere—anche se non esclusivamente—le interruzioni volontarie di gravidanza.
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In più, considerato il rischio che i medici si rivelassero obiettori dopo l’assunzione, in un’intervista a Repubblica Fabrizio D’Alba—il direttore generale del San Camillo—spigava che se chi avesse vinto il concorso e avesse fatto obiezione nei primi sei mesi dall’assunzione, avrebbe potuto “rischiare il licenziamento, perché sarebbe inadempiente rispetto al compito specifico per cui è stato chiamato.” E che se invece l’obiezione fosse avvenuta dopo i sei mesi, questa avrebbe potuto portare “alla mobilità o addirittura alla messa in esubero.”
Insomma, in una regione in cui più dell’80 percento dei medici è obiettore di coscienza, si cercava personale da dedicare alle interruzioni di gravidanza con lo scopo di garantirne lo svolgimento e l’attuazione della 194. Del resto, non è la prima volta che la Regione Lazio si muove in questa direzione: nel 2014, sempre Nicola Zingaretti aveva firmato un decreto con il quale si sanciva che nei consultori della regione non si poteva fare obiezione di coscienza.
Ma trattandosi di un tema quale l’aborto, sul quale in Italia prevale l’approccio morale rispetto a quello medico scatenando puntualmente dibattiti dai toni catastrofici in cui la Chiesa si sente in diritto di intervenire, l’episodio non poteva che dar adito a infinite polemiche.
Nicola Zingaretti, presidente della Regione Lazio che da subito ha appoggiato l’iniziativa, ha commentato con entusiasmo. “Nel Lazio stiamo ricostruendo un modello sociosanitario all’avanguardia. Siamo impegnati a rafforzare i servizi di ascolto e prevenzione sul territorio e, nello stesso tempo, a garantire la libertà di scelta e la salute della donna, della coppia e del bambino, applicando in modo corretto la legge 194 e limitando l’abuso dell’obiezione di coscienza.”
Sulla stessa linea, la notizia è stata accolta in modo positivo da buona parte del PD, dalla CGIL, e da Sinistra Italiana.
Tutt’altra reazione, invece, si è avuta a destra e tra gli ambienti cattolici.
Fratelli d’Italia, tramite Fabrizio Santori (consigliere regionale del Lazio) si è schierata contro il bando dicendo che “per estremizzare è un po’ come creare discriminazione religiosa assumendo per esempio solo medici musulmani o buddisti.” Ma soprattutto, insieme agli interventi dei pesi massimi della destra italiana Giorgia Meloni e Matteo Salvini, c’è da registrare la presa di posizione del ministro della Salute Beatrice Lorenzin, che ha criticato le assunzioni specificando che “la legge non prevede questo tipo di selezione.”
Le critiche sono inevitabilmente arrivate anche al di fuori della politica. Mentre il presidente emerito della Corte Costituzionale, Cesare Mirabelli, ha espresso dubbi sulla legittimità dell’iniziativa, Filippo Maria Boscia, presidente nazionale dell’associazione medici cattolici italiani, in una nota, ha commentato: “In un panorama sanitario nazionale che va sempre più in frantumi, nella regione Lazio si indicono concorsi e si stipulano contratti a tempo indeterminato per il ruolo sanitario, ponendo tra i requisiti concorsuali la clausola ‘non obiettori’, distintivo discriminatorio aggiuntivo assolutamente inaccettabile.”
Per ultimo, non poteva mancare la presa di posizione della Cei. Don Carmine Arice, direttore dell’Ufficio nazionale per la pastorale della salute della Cei, ha subito fatto sentire la sua voce, dichiarando che “la decisione di assumere al San Camillo di Roma medici dedicati all’interruzione di gravidanza, impedendo loro dunque l’obiezione di coscienza, snatura l’impianto della legge 194 che non aveva l’obiettivo di indurre all’aborto ma prevenirlo. Predisporre medici appositamente a questo ruolo è una indicazione chiara.”
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