Cosa ho imparato sui vostri appuntamenti facendo il barista

Questo post è tratto da Munchies. 

Foto via ​Flickr

​L’io narrante di questa storia è un amico dell’autrice Hilary Pollack e ha chiesto di rimanere anonimo.

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Quando due persone si danno un appuntamento dopo essersi conosciute su internet o su Tinder, lo capisci subito. Uno dei due entra e dice, “Aspetto una persona.” Di solito, quando aspetti un amico o qualcuno che conosci bene, nell’attesa bevi qualcosa e ti rilassi. Ma quando il nuovo avventore sta “aspettando una persona” in quel senso, lo capisci subito: ti lancia degli sguardi criptici, e tu ti ritrovi a pensare, “Non so cosa stai facendo né mi interessa, puoi aspettare chi ti pare.”

Poco dopo, di solito, un tizio—o una tizia—entra nel locale, e non si accorge della presenza della persona con cui dovrebbe incontrarsi. Se invece se ne accorge, prima di salutarla, spesso puoi vedere la sua faccia contrarsi in un’espressione che dice, “Oh, ma è davvero questo?”

Oppure te ne accorgi vedendo un sacco di ventenni che fanno fatica a parlarsi faccia a faccia perché non hanno mai imparato a farlo veramente. È uno spettacolo molto strano. Riesci a intuire il motivo per cui sono lì. Mentre bevono cogli brandelli di conversazioni. Durante i primi appuntamenti, il cocktail più bevuto è quello che io chiamo “La ragazza,” fatto di vodka, soda e una spruzzata di imbarazzo.

Ormai il martedì è il giorno di Tinder. Io sto dietro al bancone, e il locale è pieno di coppie imbarazzate che cercano di comunicare o fissano i rispettivi cellulari, oppure di tizi che parlano a voce troppo alta cercando disperatamente di darsi un tono.

C’è anche un tizio che ha un appuntamento con una ragazza diversa ogni sera. Ormai so già cosa ordinerà. Sale di gradazione se l’appuntamento sta andando bene, scende se sta andando male. Inizia sempre con una birra, e dice alla ragazza che è con lui, “È proprio un bel locale, eh!” La stessa identica conversazione ogni sera. È abbastanza inquietante. Poi ordina uno shot, e lei gli dice, “Anche uno shot, ma sei fuori!” al che lui replica con, “Dai, tienimi compagnia!” Se lei accetta, la gradazione alcolica sale, e lui dice, “Ti offro un cocktail!” Se invece a lei non va, lui torna a bere birra. Poi prende un seltzer con il lime. Poi lei se ne va, lui beve quattro shot uno in fila all’altro e si bea di se stesso.

Tra noi c’è questo tacito accordo, basato sul fatto che io so tutto quello che fanno e loro sanno che io so, anche se non lo ammetterebbero mai davanti a me. Di solito ci basta uno sguardo. C’è un tizio che ogni settimana viene qui quattro volte con quattro ragazze diverse, o una ragazza che fa lo stesso con quattro uomini diversi. Io sotto sotto me la rido: non mi interessa cosa fanno, ma non sarò certo io a far saltare la loro copertura. È una specie di segreto professionale, anche se volendo, con le cose che ho sentito, potrei scrivere un libro lungo come Guerra e Pace.

Di recente, c’erano due che, da quanto ho sentito, erano già usciti insieme una volta e non aveva funzionato, e avevano deciso di riprovarci. 

Di solito cerco di non ascoltare troppo, perché finisce che mi appassiono alle loro storie. Ma quella volta ero più curioso del solito. Mi sono ritrovato a pensare, “Che lavoro farà? Che tipo sarà sua madre?” Avevano preso posto in un angolo del locale, dove c’è una nicchia con un divano. A un certo punto lui è andato in bagno, e penso che lei abbia spiato il suo cellulare. Mettiamo le cose in chiaro: era evidente che non stavano insieme. Ma io l’ho vista guardare di nascosto il cellulare di lui, e ricordo di aver pensato, “No, non lo fare, è sbagliato.” Poi lui è tornato dal bagno e lei si è alterata: “Lei hai scritto? Voglio la verità, le hai scritto?” E lui ha detto, “Di che parli?” con la stessa voce che uso io quando dico una bugia. Ha incalzato, “Ma di chi parli? Oh, quel messaggio? Perché, non posso scriverle? Non c’è niente tra noi!” E mentre lo diceva io pensavo, “Ecco, ti stai scavando la fossa.”

A quel punto mi sono avvicinato al loro tavolo fingendo di dover sistemare qualcosa, perché volevo continuare a sentire quello che si dicevano. Hanno iniziato a litigare, e lui diceva, “Volevo sapere se le fregava ancora qualcosa di me!” Nel frattempo, aveva tutta la camicia sporca di pizza (il locale dove lavoro fa anche la pizza) e stava quasi per piangere. Era uno spettacolo terribile. E urlava. Persino il mio collega che fa il buttafuori mi ha detto, “Non ce la faccio, non posso sbatterlo fuori in queste condizioni.” D’altronde di lì a poco probabilmente se ne sarebbe andato di sua iniziativa. 

Invece di andarsene, si è alzato e ha ordinato un’altra fetta di pizza. Cioè, un attimo fa stavi per scoppiare a piangere e ora vuoi mangiare? Ho pensato che la cosa si faceva interessante. Lei gli ha detto, “Dobbiamo parlare,” e lui le ha risposto “Vattene via! Vattene!” urlando come un bambino sconvolto. Una parte di me voleva dirgli di stare zitto, ma un’altra trovava il tutto molto divertente. Dopo, persino io che ho smesso di fumare sono uscito a farmi un sigaretta.

Tornando alla nicchia antigienica con il divano di cui parlavo prima, quello è il luogo in cui le coppie vanno per avere un po’ di intimità, di solito dopo che il ragazzo dice, “Ti va se ci sediamo a parlare?” Quando succede, io me ne accorgo subito e faccio di tutto per evitare che sconfinino nel pornografico. È meglio così. Mi è già capitato molte volte di dover interrompere dei pompini sul nascere. In quelle situazioni, tra me e me penso cose tipo, “Andiamo, ragazzi. Non potete andare a fare queste cose a casa? Sto lavorando. E voglio staccare, mangiare un panino e andare a letto.”

A volte capita che qualcuno porti un amico a un appuntamento. In quelle occasioni, l’amico si ubriaca e finisce sempre per stare male.

Una volta, una ragazza si era portata dietro un’amica per assicurarsi che andasse tutto liscio. Cosa che capisco perfettamente, ci mancherebbe. Ma era evidente che la sua amica era a disagio. Così, si è ubriacata e si è addormentata sul tavolo. Le ho sciacquato la faccia per farla riprendere, ma non è servito a niente. Stava davvero male. L’appuntamento, per contro, sembrava andare bene. Quando mi sono deciso ad andare dalla ragazza per dirle di portare a casa la sua amica, il tizio mi ha guardato in un modo che tradiva tutta la sua voglia di uccidermi.

Anche se non lavoro lì tutti i giorni, sono sicuro che ogni sera c’è almeno un appuntamento imbarazzante. Quando lavoro io, ce n’è sempre uno. Ma il mio lavoro è fare il barista, ed è quello che faccio. Se un appuntamento sembra particolarmente interessante, sì, in quel caso lo sto a osservare. Ma se è l’ultima tappa della loro serata, se sono le tre e venti del mattino, se sto per staccare e andarmene a casa, allora inizio a odiarli. Insomma, dipende dalle circostanze. Se mi sembra che stia andando bene e i due sono al bancone, a volte offro io. Mi piace fargli da spalla, se vedo che ne lui ne ha bisogno.

O magari sono solo un cupido ubriaco. Chi può dirlo?