Attualità

Alle origini dell’odio degli italiani per i rom

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Qui di seguito ripubblichiamo un estratto dal nostro articolo del 2014 sull’odio degli italiani nei confronti dei rom. Vai qui per leggere la versione completa.

In questi anni, l’intolleranza diffusa nei confronti dei rom è stata spesso cavalcata dai partiti politici, che hanno usato i rom come merce di scambio per vincere le elezioni. La maggior parte delle volte è stata “l’emergenza sicurezza” a essere tirata in ballo, talvolta per giustificare sgomberi da parte delle amministrazioni, di frequente sull’onda di fatti cronaca. Altre volte, invece, ad aver fortuna è stato il sempreverde “prima gli italiani poveri” (o comunque “prima gli italiani” e basta). L’assioma seguito è: i rom rubano-vivono nel degrado-non vanno tutelati. Su questa scia si è arrivati a sostenere, addirittura, che il fatto di essere una minoranza etnica garantirebbe ai rom “numerosi privilegi” a scapito degli italiani. […]

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In realtà, come mi spiega Carlo Stasolla, presidente dell’Associazione 21 luglio, “queste persone sulla carta hanno i diritti che hanno tutti i cittadini. Tra l’altro, ‘rom’ non è uno status giuridico. Secondo una stima, in Italia circa la metà dei rom sono italiani. La loro è un’identità culturale.” Identità che non comprende affatto rubare (o non più di quanto fanno gli italiani), tanto meno sottrarre i bambini.

La leggenda sul “furto di minori”, tra l’altro, è stata completamente smentita da una ricerca dell’università di Verona del 2008 che ha accertato che dal 1985 al 2007 in Italia non esiste nessun caso di condanna per sequestro o sottrazione di persona per presunto rapimento di bambini da parte di rom. “Il problema,” dice Stasolla, “è che queste persone, sin dal loro arrivo in Italia nel 1400, hanno assunto il ruolo di capri espiatori. La funzione sociale dei rom è la stessa di un cestino della spazzatura in una casa: raccogliere il marcio. E oramai anche per amministratori e media è più comodo che sia così.”

Così come, probabilmente, è comodo far girare l’idea che “gli zingari non vogliono una casa”, verità tutta italiana e ben radicata ma completamente falsa. “Ci sono 800mila rom in Spagna e due milioni in Romania che vivono in una casa, forse bisognerebbe chiedere a loro se preferiscono stare in una baracca. I rom vogliono una casa, come tutti i cittadini. In Italia, poi, su 180mila rom presenti sul territorio, solo 40mila vivono nei campi,” mi spiega Stasolla, che è convinto che l’unico modo per sfatare questi falsi miti che alimentano l’intolleranza e abbattere il pregiudizio sia la conoscenza. “La ragione di tutto sta nell’ignoranza. Pur vivendo da noi da centinaia di anni, ancora non conosciamo queste persone.”

Il problema, però, è anche politico. John Dalhuisen, direttore del Programma Europa e Asia Centrale di Amnesty International, sostiene che “troppo spesso i leader europei si mostrano compiacenti verso i pregiudizi che alimentano la violenza contro i rom. Se da un lato, in generale, condannano i più gravi episodi di violenza, dall’altro le autorità sono riluttanti a riconoscerne l’effettiva dimensione e sono lenti a contrastarla.”

Secondo il Rapporto 2013 dell’Associazione 21 luglio, il problema del nostro Paese è che “non ha adottato una legge a livello nazionale che mettesse in opera una strategia sulla cosiddetta ‘questione rom’, preferendo piuttosto limitarsi a gestire volta per volta le sole questioni di ordine pubblico.” In realtà, una sorta di indicazione nazionale c’è stata ed è la cosiddetta ’emergenza nomadi’, proclamata nel 2008 dal governo Berlusconi per affrontare “una situazione di grave allarme sociale con possibili ripercussioni in termini di ordine pubblico e di sicurezza per la popolazione locale.” Il decreto è stato dichiarato illegittimo dal Consiglio di Stato nel 2011, non prima di aver consentito agli amministratori locali numerose deroghe ai diritti umani: campi-ghetto e una pioggia di sgomberi forzati. Così è successo con i ‘piani nomadi‘ di Roma e Milano, delle giunte Alemanno e Moratti, e nelle altre regioni interessate dall’emergenza (Campania, Piemonte e Veneto). Nel resto d’Italia si è fronteggiato di volta in volta la situazione, ma il comune denominatore delle politiche è sempre stato uno: dover gestire una minaccia per la pubblica sicurezza.

“Quello dei rom è l’unico caso in Italia in cui un’intera comunità è costretta a prendere la responsabilità di singole persone,” mi dice Riccardo Noury, portavoce per l’Italia di Amnesty International. “Il problema, poi, è che non si riesce a uscire dalla mentalità dei campi, una logica che dice di seguire le presunte esigenze di ‘nomadismo’ e invece ghettizza lontano dai centri. Se guardi la mappa dei campi di una città sembra l’oblò di una lavatrice.”

Noury mi spiega che questa storia dei rom relegati nelle baracche ai margini è una prerogativa del nostro Paese. “L’Italia in Europa da questo punto di vista è il ‘paese dei campi’. Questo perché da noi, salvo rare eccezioni, non esiste un’alternativa. Nell’Europa orientale non è difficile trovare rom che stanno in delle case. Magari in quartieri monoetnici e poveri, ma non in delle baracche. C’è però da dire che lo stigma verso il popolo rom è comune in tutta Europa.”

Non solo, però, siamo il ‘paese dei campi’, ma anche quello degli sgomberi, fatti per lo più ‘per la sicurezza comune’. Un paradigma largamente utilizzato in Italia sia a destra che a sinistra. “Questo perché la politica ha ufficializzato questo luogo comune: meno rom, più sicurezza”, mi spiega Noury. “Ed è un pensiero radicato da entrambe le parti […] E questa trasversalità politica dell’intolleranza trova riscontri in altri paesi europei: in Francia c’è stato un ministro dell’Interno socialista che sull’espulsione dei rom ha basato tutta la campagna elettorale.”

Il luogo comune ‘meno rom, più sicurezza’ di cui parla Noury è stato negli anni il paravento per consentire innumerevoli sgomberi che Amnesty ha classificato come illegali: nessuna notifica preventiva, nessuna consultazione con la popolazione che vive nel campo, nessuna possibilità di fare ricorso e nessuna previsione di un alloggio alternativo. “Ecco, uno dei diritti umani che un rom vede violato più spesso è il diritto a un alloggio adeguato. Senza contare che uno sgombero porta con sé conseguenze devastanti sulle persone per quanto riguarda la salute, l’igiene, il diritto all’istruzione,” dice Noury. Diritti rivendicati ogni giorno nei confronti di tutte le categorie sociali. Dove va a finire l’indignazione appena si entra in argomento rom? Si scontra con l’unica forma di apartheid socialmente accettata in Italia. E c’è un atteggiamento che riguarda tutti, dalla politica ai media, dai giovani agli anziani, alle persone istruite o meno. E se ve lo stavate chiedendo, sì, siamo davvero così ignoranti.

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