La mia vita da prostituta transessuale romena in Italia

Vestita in maniera indecente, con i tacchi a spillo troppo alti e un piede appoggiato al muro, mi sedevo ogni sera all’angolo della strada e aspettavo. Uscivo sempre alle nove di sera, come da programma. Immagino che anche Laura, la romena uccisa a Roma, facesse la stessa cosa, sperando in una vita migliore e di poter aiutare la sua famiglia.

Era partita per l’Italia da giovane ed era finita per prostituirsi in strada. Come tante altre donne romene—come me. Arrivi in Italia con il tuo bagaglio di speranze, che poi finiscono disilluse una per una. Il 10 novembre del 2017, un venerdì, Laura ha ricevuto una coltellata al petto, in un parco centrale di Roma. Aveva 27 anni. Il motivo dell’omicidio: l’odio.

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Laura era transessuale.

Un passante l’ha trovata morta la mattina del sabato. Il sospettato è un uomo scappato dagli arresti domiciliari, dove scontava la pena per tentato omicidio. “Pensavo fosse una donna,” ha detto. “Invece poi mi sono accorto che non era così. Allora le ho chiesto di restituirmi i soldi, lei non voleva e abbiamo litigato.” Laura ha provato a difendersi. Lo sappiamo perché la sua roba era sparsa per terra, nel parco dove è stata uccisa.

Laura si prostituiva, e ogni mese mandava soldi ai suoi genitori e ai suoi sette fratelli. Da bambina l’avevano portata a Bucarest dai medici, perché si sentiva donna. I dottori le avevano fatto una serie di analisi senza trovare nulla. I suoi genitori—poveri e poco informati—non avevano mai capito cos’è la transessualità, ma l’avevano accettata così com’era. Stando a quanto sappiamo ufficialmente, Laura Ursaru è la prima donna transessuale romena ammazzata in Italia. La famiglia ha lanciato una raccolta fondi per portarla a casa.

In questi ultimi giorni ho riflettuto parecchio sulla faccenda. Laura era arrivata in Italia a 19 anni, io a 16. Tutte e due zingare, immigrate, transessuali e prostitute. Non proprio la ricetta migliore per suscitare l’empatia delle persone.

Dal 2008, da quando abbiamo dati, sono state uccise nel mondo 2.609 persone transgender, il 69 percento delle quali immigrate. Il 62 percento prostitute, come me e Laura. In Italia, secondo uno studio di Trans Respect versus Transphobia, negli ultimi nove anni ci sono stati 32 omicidi di transessuali—sempre a giudicare da questi dati, sarebbe la cifra più alta in tutta Europa.

Laura. Foto via Facebook

Ogni sera vendo ancora oggi il mio corpo nei parcheggi. Prima di tornare in Romania, ho lavorato a Milano, Venezia, Bologna e Trento. Anche se sono andata a scuola, non ho avuto scelta. Non vengo da una famiglia ricca, e dopo aver ricevuto tanti rifiuti e tante porte in faccia, in qualche modo dovevo trovare i soldi per continuare il trattamento ormonale.

La mia migliore amica d’infanzia faceva la prostituta in Italia. Mi aveva detto che si guadagnava il necessario per sopravvivere, ma mi aveva anche avvertita: non c’è niente di sicuro, e non avrai mai una pensione. Comunque avevo deciso di provarci; da allora sono passati 12 anni.

All’inizio avevo paura. Nella mia testa mi immaginavo ogni tipo di scenario, ma col tempo mi sono abituata. La maggior parte dei clienti sono sposati, hanno fantasie che non possono mettere in pratica in famiglia, le soddisfano con noi e se ne vanno. A volte, però, alcuni vengono solo per tormentarti e umiliarti.

Come quella volta che stavo battendo il marciapiede di via Piave, vicino alla stazione dei treni di Mestre. Una macchina di grossa cilindrata si era fermata davanti a me. Era estate, e faceva un caldo tremendo. “Finalmente un po’ di aria condizionata,” avevo pensato. Il tipo aveva abbassato il finestrino, e in risposta io gli avevo enunciato la mia solita litania: “transsesuale, bocca, cullo, ativa, pasiva, dentro i seni.” Mi aveva fatto segno di avvicinarmi: “Sali.” Ero salita.

Aveva avviato il motore e fatto partire la macchina. Era rimasto in silenzio, lo vedevo agitato. Ero stata presa dal panico per qualche secondo, ma dentro di me avevo continuato a ripetermi: “È normale, non è mai stato con una trans.” Di solito, i miei clienti mi portano in parcheggi bui o sotto i ponti. Succede tutto in macchina. Anche quella volta ci eravamo fermati sotto un ponte che avevo indicato io. Chiedo sempre i soldi prima di iniziare; lui me li aveva dati e aveva cominciato a reclinare il sedile. Mi ero messa i soldi in borsa e avevo abbassato il sedile anch’io.

“Posso alzare il volume della musica?” mi aveva chiesto. Non era la prima volta che un cliente si rilassava con la musica, e quindi gli avevo detto che non c’era problema. Aveva alzato il volume al massimo. All’improvviso mi aveva stretto la mano sinistra con forza. Per fortuna porto sempre in tasca uno spray al peperoncino—non risolve le cose, ma ti fa guadagnare un po’ di tempo.

Con la mano destra avevo afferrato lo spray: stavo tremando, e questo mi impediva di aprirlo più velocemente, cosa che già di per sé non era facile. Avevo paura. Piangevo e urlavo. In qualche modo ero riuscita ad aprirlo e spararglielo negli occhi. Lui aveva allentato la presa e io ero riuscita a scappare il più veloce possibile, senza mai guardarmi indietro.

Mi ero buttata in mezzo alla strada, davanti a una macchina che si era fermata giusto in tempo per non investirmi. “Aiuto, ti prego,” gridavo in italiano. Il conducente aveva aperto ed ero salita in macchina. Stavo tremando. “Fammi vedere, dove ti hanno picchiato? Dove sono?” mi aveva chiesto. Avevo indicato il ponte, ma non c’era nessuna traccia della macchina. La chiamata alla polizia non è servita a nulla. Non si è più saputo niente.

Io sono riuscita a scappare. Laura no.

La prostituzione su strada è un’attività pericolosa, e spesso nemmeno le forze dell’ordine sono dalla tua parte. Le volanti si fermavano davanti a me circa una volta a settimana, e mi è capitato non di rado di offrire “servizi speciali” gratis, per paura.

Un’amica mi aveva raccontato questa storia, ma non le avevo voluto prestare ascolto. Tuttavia, già la prima sera in Italia avevo dovuto ricredermi, quando la polizia mi aveva fatto visita per “iniziarmi.” Gli agenti si erano fermati e mi avevano chiesto i documenti. Nel darglieli, notavo la loro indignazione. “Qualcosa non va?” avevo chiesto. “Devi venire al commissariato, dobbiamo identificarti e fotografarti,” mi avevano risposto. “Perché?” “Perché non sei autorizzata a prostituirti qui. Ma possiamo risolvere in un altro modo…..”

Da persona transessuale incontri tanti muri artificiali. In Romania, ad esempio, l’identità di genere non è prevista dalla legge anti-discriminazione o dal codice del lavoro. E questo porta a una discriminazione sistemica. “Le persone transessuali hanno meno opportunità nella vita, perché il processo di transizione è molto lungo e complicato, l’accesso ai servizi medici è soggetto a restrizioni, e accedere al mondo lavorativo rimane una problema,” dice Vlad Viski, il presidente di MozaiQ—un’associazione che si batte per i diritti LGBT in Romania.

Proprio per questi motivi, tante donne trans come Laura o come me arrivano a prostituirsi: perché hai bisogno di soldi. Non è il lavoro ideale, e non lo raccomando a nessuno. Ma alla fine si tratta di un lavoro come tutti gli altri, che è pericoloso più che altro perché è la società a renderlo tale. Che poi, in Romania la stregoneria è legalizzata, perché non legalizziamo anche la prostituzione?

Non voglio farvi pensare che sia tutto così brutto. Se riesci a superare il fatto che vendi il tuo corpo per soldi, possono anche capitarti episodi davvero comici. Come quando un cliente si è voluto far legare come un cane: gli ho messo il guinzaglio e l’ho portato a passeggio per casa; ha persino voluto bere l’acqua dalla scodella. Un altro ha voluto essere il mio schiavo, mi ha pagato per lavare i miei piatti sporchi e pulirmi casa.

Ora sono tornata in Romania, anche se non so ancora quanto ci resterò. Il mese scorso, io e un’altra decina di persone—insieme all’associazione MozaiQ—siamo andate davanti all’ambasciata italiana di Bucarest per ricordare Laura. L’ambasciatore Marco Giungi era lì con noi. Guardando le foto di Laura appoggiate a terra e circondate dalle candele, sono riuscita a pensare solo a una cosa: al suo posto potevo esserci io.

Detto questo, anche stasera si ricomincia.