Andare in guerra dev’essere una faccenda bella complicata: personalmente non ho alcuna intenzione di cimentarmi nell’impresa e provo un sincero disgusto per la pratica in generale, ciononostante non posso fare a meno di pensare che, specialmente in passato, le battaglie fossero combattute anche e soprattutto da individui che non volevano avere nulla a che fare con gli spari e le granate.
Per questo motivo, quando mi è capitata sotto gli occhi questa analisi della mitragliatrice italiana Breda Modello 30 non ho potuto fare a meno di provare una sincera, completa e totale compassione per i soldati italiani che hanno dovuto imbracciarli.
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Non per nulla Ian McCollum, l’esperto di armi che su YouTube lavora alacremente con il nome di Forgotten Weapons mostrando e raccontando le armi da fuoco della storia moderna, la definisce la “peggior mitragliatrice italiana” — E non escludo che si possa trattare di un débâcle su scala globale benché non me ne intenda troppo di pallottole e caricatori.
La Breda Modello 30 è stata una mitragliatrice di produzione italiana utilizzata dalle truppe del Regio Esercito durante la seconda guerra mondiale e prodotta dal 1930 al 1943. L’idea era quella di produrre una mitragliatrice che non dovesse più soltanto supportare le restanti truppe nelle fasi di avanzata e di ritirata, ma che potesse accompagnare i fucilieri durante tutte le fasi del combattimento.
Il problema è che la Breda Modello 30 era troppo sofisticata per poter svolgere il proprio compito in maniera soddisfacente: le sue meccaniche precise al millimetro la rendevano vulnerabili agli ambienti polverosi e impervi delle battaglie e il design dei caricatori li rendeva inaffidabili in situazioni concitate come quelle della guerra.
Ian McCollum, d’altronde, esordisce nel suo video definendo la Breda Modello 30 “la peggior mitragliatrice leggera potenzialmente mai costruita” e seppellendola definitivamente suggerendo che “probabilmente se aveste fatto parte dell’esercito italiano nella Seconda Guerra Mondiale non avreste mai voluto imbracciare quest’arma,” ciononostante, benché le “meccaniche dell’arma siano davvero pessime, la qualità delle sue componenti è ottima.”
La Breda Modello 30 in azione.
Benché la Breda Modello 30 porte con sé una serie di falle di progettazione al limite del tragicomico — la mitragliatrice era munita di una oliatrice necessaria a lubrificare le pallottole che entravano in canna, peccato che l’olio permetta a sabbia e polvere di appiccicarsi alle munizioni con estrema facilità — lo storico degli arsenali italiani ha saputo regalare piccole gioie nel corso del tempo.
“La serie di mitragliatrici leggere Beretta 38 e le pistole Beretta 1934/35 erano apprezzate da chiunque le utilizzasse, e il fucile Carcano è molto meglio di ciò che gran parte delle persone credono,” mi ha spiegato Ian, contattato via mail. “Anche la mitragliatrice pesante Breda Modello 38 faceva il suo.”
Per quanto riguarda la Modello 30, resta da chiedersi come un’arma così palesemente imperfetta sia finita in mano a dei soldati che facevano affidamento su di lei per combattere, “Non ho informazioni specifiche circa la progettazione e l’adattamento della Breda 30, ma non sembra che sia stata pensata da un singolo designer,” mi spiega.
Truppe italiane armate di Breda 30.
“Credo sia stata una combinazione di fattori a portare all’adozione della Modello 30: il governo italiano probabilmente voleva un’arma costruita in Italia, e così facendo ha escluso dalla sua rosa di opzioni tutte le armi costruite dai cechi, dai francesi e dagli americani; per questo motivo, se la Breda è l’unica azienda principale ad offrire dei processi di collaudo necessari all’adozione militare di un’arma, ci si può facilmente ritrovare in una situazione in cui un’arma mal progettata sia l’unica opzione disponibile,” continua Ian, parlandomi dei possibili motivi per cui la Modello 30 sia stata adottata.
Sarebbe sbagliato però credere che l’Italia sia l’eccezione alla regola di una tradizione militare rigorosa e precisa, “Il fucile britannico L85A1 e l’arma per supporto leggero L86A1, erano entrambe armi piene di problemi quando sono state adottate, ed è stato così perché l’arsenale che le ha sviluppate non aveva grande esperienza con le armi da fuoco,” mi spiega Ian. “Numerose caratteristiche di queste armi sono state modificate durante il collaudo e visto che i tempi di sviluppo e i costi continuavano a crescere, i politici in carica avevano imposto sempre più misure necessarie a tagliare le spese.”
Spesso e volentieri, infatti, era il sistema di collaudo stesso ad adattarsi alle esigenze del momento, “Gli standard per il collaudo sono stati ripetutamente modificati per permettere all’arma di superare i test nonostante le sue falle, e così è arrivata in mano ai soldati con diversi problemi fondamentali ancora irrisolti.” Per capirci, l’L85A1 è così pessimo che Ian ha girato una playlist intera di video che lo riguardano.
Sono passati diversi anni dalla Modello 30, e oggi sembra che le cose siano un po’ migliorate per l’Italia. Nella speranza di non doverlo mai scoprire con un’altra guerra, Ian continua il suo minuzioso lavoro di studio e catalogazione delle armi della storia, e vale la pena seguirlo se si vuole avere un’idea di quanto ci siamo sbattuti nell’ultimo secolo pur di ammazzarci a vicenda.