La rivolta servile di Spartaco nel 73 a.C, l’insurrezione guidata da Masaniello a Napoli nel 1647, la Primavera dei Popoli del 1848. Avanti rapidamente, e si arriva al 2018: il tumulto popolare per boicottare i sacchetti biodegradabili a pagamento imposti nei reparti ortofrutticoli dei supermercati italiani.
Dal 1 gennaio, infatti, è entrata in vigore la conversione del decreto legge Mezzogiorno 123, approvata lo scorso 3 agosto, secondo cui per il confezionamento dei prodotti alimentari all’interno dei supermercati devono necessariamente essere utilizzati sacchetti biodegradabili, in sostituzione di quelli di plastica che si utilizzavano solitamente nei reparti di ortofrutta (ma anche per gli affettati presi al banco o per il pesce). Il provvedimento mira a ridurre l’ipotesi di pratiche illegali nella produzione di supporti per il confezionamento che danneggiano l’ambiente, e per minimizzare l’utilizzo delle confezioni di plastica. Anche se in realtà, secondo alcune analisi, il provvedimento potrebbe avere un “effetto boomerang” che spingerà i consumatori a lasciar perdere i prodotti sfusi e optare per gli alimenti già confezionati. Con il rischio, quindi, di aumentare il consumo di plastica.
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Quello che ha fatto scattare la rabbia di molti consumatori, però, riguarda il costo aggiuntivo di questi sacchetti. La nuova legge, infatti, vieta di metterli a disposizione a titolo gratuito nei vari reparti in cui sono disponibili. Il costo dei nuovi sacchetti può variare dai 2 fino ai 10 centesimi, e il prezzo deve essere esposto sia vicino alla merce da imbustare, sia indicato sullo scontrino fiscale. Chi utilizza sacchetti non idonei può incorrere in una sanzione che va dai 2500 ai 25000 euro.
Il Codacons l’ha definita “tassa occulta“—sostenendo che il prezzo medio annuo per famiglia sarà di 50 euro—ma secondo le stime fatte dall’Osservatorio di Assobioplastiche, il rincaro in realtà dovrebbe oscillare fra 4,17 e 12,51 euro. “Queste prime indicazioni di prezzo ci confortano molto,” ha spiegato Marco Versari, presidente di Assobioplastiche. “Perché testimoniano l’assenza di speculazioni o manovre ai danni del consumatore. I sacchetti, inoltre, sono utilizzabili per la raccolta della frazione organica dei rifiuti, e quindi almeno la metà del costo sostenuto può essere detratto dalla spesa complessiva.”
Ma le stime in realtà non hanno avuto nessun effetto sull’indignazione collettiva. Da qualche giorno sui social spuntano ovunque testimonianze fotografiche di consumatori che stanno mettendo in atto la strategia di guerriglia vietcong per sabotare i nuovi sacchetti: pesare singolarmente ogni alimento, e applicare l’etichetta con il prezzo direttamente su di esso.
“Fatta la legge, trovato l’inganno” sembra essere lo slogan di questa nuova campagna per i diritti dei consumatori. Con buona pace di tutti i cassieri dei supermercati che devono conteggiare decine di pezzi singoli sotto lo sguardo fiero di chi sta combattendo il potere mentre acquista 63 teste d’aglio per la bagna càuda.
Come se non bastasse, poi, c’è stata ovviamente la sfumatura politica. Sollevata da Il Giornale e da alcune testate web, attorno alla questione sacchetti biodegradabili si è creata una polemica “su chi ci guadagna”. Stando agli articoli, l’unica azienda italiana che produce sacchetti biodegradabili è la Novamont—che “controlla l’80 percento del mercato“—, la cui amministratrice delegata è Catia Bastioli, una manager che aveva partecipato come relatrice alla seconda edizione della Leopolda. Secondo le stime delineate da Il Giornale, “consumiamo ogni anno 20 miliardi [di sacchetti]. Potenzialmente dunque, è un business da 400 milioni di euro l’anno.” All’interno dell’articolo non sono specificate le fonti di questi dati, e la questione quindi è piuttosto fumosa. Ma poco è bastato per farne una questione politica.
Ora: tralasciando per un attimo le dinamiche sociali che setacciano il discrimen fra cosa dovrebbe o non dovrebbe essere considerato inaccettabile dai consumatori, e quali sono alla fine le questioni per cui le persone si indignano in questo paese, è interessante focalizzarsi sulla strategia utilizzata per boicottare la nuova legge. Gli utenti che si bullano di aver passato un quarto d’ora ad etichettare i mandarini singolarmente stanno realmente mettendo a repentaglio gli ipotetici introiti della Novamont e degli “amici di Renzi”?
Come testimoniato da alcuni articoli di debunking, e da alcune testimonianze fotografiche, per comodità e semplicità i sacchetti vengono addebitati al cliente direttamente alla cassa, tramite la lettura del codice a barre sull’adesivo con il prezzo. Quindi non soltanto chi ha pensato di boicottare i sacchetti biodegradabili ha perso del tempo prezioso, ma presentando più adesivi con codici a barre ha anche pagato più sacchetti di quanti effettivamente necessitava, senza usufruirne. Che grande paese che è questo.
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