Io e Victoria siamo in una piccola stazione del sud ovest della Danimarca. Arriviamo dal Parco Nazionale del mare dei Wadden, di fronte all’isola di Romø, e ci aspettano circa 4 ore di treno per tornare Copenaghen. Sui binari i nostri compagni di viaggio ci porgono un iconico pranzo al sacco: una busta della spesa con un bel po’ di ostriche giganti dentro. Victoria ne ingolla una ancora prima che arrivi il treno. Io mi auguro fortemente che non rimetta durante il viaggio, perché non ho minimamente idea di come siano i bagni nei regionali danesi.
“Il problema non sono tanto le ostriche che ho mangiato in questi giorni,” mi spiega però lei. “Una volta, per dire, ne ho mandate giù 48 in una sola serata. Ma una trentina mangiate così, non spurgate, è stata una lotta contro il water”.
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Torniamo a tre giorni prima. Siamo in Danimarca per un viaggio-safari alla scoperta della storia delle ostriche “più buone del mondo” e del perché questo paese scandinavo si candida seriamente a diventare la meta preferita per gli amanti dei frutti di mare.
In due giorni Victoria, di ostriche, ne ha mangiate circa 30, di cui alcune con un peso specifico importante. Io solo 5 o 6, perché l’idea di mangiare ostriche alle 9 del mattino mi fa leggermente salire la nausea, e perché un Natale di tanti anni fa ho avuto un’intossicazione da ostriche che somigliava di non poco a una salmonella. Sì, il legame ostriche e bagno è ben saldo, come potete vedere.
Primo giorno: partiamo per il nostro safari da Copenaghen la mattina. Ci aspettano circa 4 ore di viaggio per andare al nord-ovest del paese; la Danimarca per fortuna è piccola. Limfjorden è un fiordo incantevole al nord del paese dove si trova una distilleria artigianale dove fare il pieno di alcolici che sono una bomba, ma soprattutto il Danish Shellfish Center, un centro di ricerca ed educazione che si assicura che lo stato delle ostriche e degli altri frutti di mare sia il più in salute possibile.
Limfjorden sarà solo la prima tappa di un viaggio che ci porterà verso sud ovest, al Parco Nazionale del mare dei Wadden dove si organizza un festival delle ostriche che, nonostante solo un’edizione, è già culto.
Sostanzialmente la Danimarca si divide a metà per le ostriche. Ci sono quelle danesi autoctone, piccole, piatte regolarissime e rotonde. Il loro sapore dovrebbe essere più salato e la texture cambiare nettamente da quelle del Pacifico, infestanti, che hanno invaso tutta la costa danese. Sono enormi, crescono in fretta e il Governo Danese spinge a raccoglierle perché tolgono spazio a quelle danesi.
Sono le 15.30 e arriviamo all’oyster bar Glyngøre Shellfish, “Finalmente mangiamo delle ostriche e non ne parliamo e basta,” sospira Victoria. In questa parte del paese si spingono le ostriche danesi autoctone: lo scopriamo proprio mentre Svend Bonde, personaggio iconico di questo nostro safari danese, ce ne porge una, adagiata su un letto di alghe che profumano intensamente di mare.
Il locale è una costola dell’azienda di distribuzione di ostriche, granchi e astici: nel retro del locale ci sono le sue vasche dove mantiene le ostriche fresche – non sono allevate sono raccolte in mare e poi tenute lì in stoccaggio, a spurgare, insieme a astici e granchi.
Ci sediamo. In abbinamento non dello scontato champagne, ma una birra alle ostriche. È scura, salata, buona. “La cosa più interessante è come abbiano riportato in auge una tradizione inglese. Anche in Inghilterra c’era la tradizione di mangiare molte ostriche e di mettere i gusci nella Stout,” mi spiega Victoria, che intanto ha mangiato tre ostriche mentre io sono riuscita ad assaggiarne solo una – questo vi fa capire il tenore del suo viaggio vs il mio.
Svend ci racconta la storia delle ostriche in Danimarca: “Fino al 1984 solo lo Stato poteva pescare le ostriche. C’era un monopolio. Solamente il sovrano poteva mangiarle, se venivi beccato a pescarle rischiavi di essere arrestato. Dopo sono state date le licenze alle aziende e ai privati.”
Gli chiediamo la differenza fra le ostriche danesi vs quelle enormi del Pacifico: “Le ostriche danesi sono le migliori ostriche al mondo: sono piccole crescono piano piano e questo le rende più interessanti e più saporite. Poi guardatele: hanno una struttura unica! Quelle pacifiche, forse lasciate moltiplicarsi qui da qualcuno che le portava dall’altra parte del mondo, hanno iniziato a mangiarsi lo spazio di quelle autoctone e a infestare le coste”.
Non so se quelle danesi autoctone siano o meno le ostriche più buone del mondo, ma sono di sicuro quelle che mangiano i reali danesi; Svend non può vantarsene apertamente o farsi pubblicità, ma da qui partono le ostriche che riempiono i banchetti aristocratici del paese.
La sera, per non cadere in un repentino calo di proteine e colesterolo, andiamo in un ristorante aperto da poco da due giovani ristoratori che hanno lasciato Copenaghen per il nord del paese.
Come benvenuto un’ostrica, bruinoise di mela autoctona, olio al crescione. Seguono altri piatti interessantissimi come quello a base di tonno e rafano: il tonno inizia ad essere pescato anche in Danimarca, ed è stranissimo mangiarlo in una versione così poco mediterranea o senza le salse tipiche della cucina giapponese. Il ristorante è moderno e ci tiene a servire prodotti della zona, ed è senza dubbio la cena più interessante di tutto il viaggio, sebbene Victoria lamenti la mancanza di un adeguato numero di ostriche.
Ma il giorno dopo neanche io sarò stata esente da un gran numero di ostriche nello stomaco. Alcune appena pescate.
La sveglia è presto, verso le 6. Il tempo di vestirci pesanti, andare al Danish Shellfish Center e indossare pure una salopette impermeabile, e andiamo a pescarci la colazione. Prima di partire ci fanno firmare una carta che esonera il centro da possibili malattia tipo morta istantanea, E.coli e salmonella.
La biologa che ci accoglie, ci fa un piccolo tutorial su come prenderle: retino, movimento di piede laterale e una cosa che assomiglia a un cono per dividere le corsie in autostrada, ma che in realtà aiuta a vedere sott’acqua e a individuare bene le ostriche.
Sulla spiaggia poco lontana dal centro troveremo solo le ostriche del Pacifico. Quelle danesi si trovano in acque più profonde e le prenderemo poi quando più tardi andremo in barca. Arriviamo nei pressi della spiaggia del fiordo e notiamo, in uno spazio che dovrebbe essere un parcheggio, dei gusci frantumati di ostriche.
Ci spiegano che quello era effettivamente un parcheggio, ma che i locali hanno smesso di mettere lì le auto perché i gabbiani pescano le ostriche, le bucano col becco e in volo lanciano questi proiettili organici, facendo un bel po’ di danni alle carrozzerie. I gabbiani sono animali vendicativi anche in Danimarca.
Per pescare le ostriche a riva il trucco è andare almeno ad altezza cosce, individuare dei punti bianchi e vedere poi con il cono se si tratta di ostriche.
“Guardare attraverso il cono ti fa sboccare un pochino, perché ha una lente di ingrandimento che mentre l’acqua scorre non fa benissimo, soprattutto se non hai ancora fatto colazione”. Victoria è in formissima, ne raccoglie una dozzina. Il commento è: “Alcuni sembrano dei mostri immangiabili, alcune sono più vecchie di noi.” Più grande un’ostrica, più è vecchia.
Torniamo con la colazione, sono le 8.30 e al centro ci aspettano le ostriche raccolte, un termos di caffè e, in alternativa, una bottiglia di chardonnay. Prima di affondare i denti in questi meravigliosi frutti del mare danesi, ci insegnano qualche trucchetto per aprirle con tanto di guanto in maglia metallica. Noi italiane ci dimostriamo abbastanza incapaci, mentre i danesi con noi sono dei veri professionisti.
Victoria mangia circa quattro ostriche e manda giù un bicchiere di vino: non sono ancora le 10. È tempo di salire sulla barca di ricerca del Centro, per andare a pescare le ostriche danesi.
Il compito del centro di ricerca in questo fiordo è molto importante: ogni settimana in ogni area vengono raccolti dei samples di ostriche per capire se possano essere mangiate o meno. Quella delle ostriche, ci dicono, è la pesca più controllata in Danimarca. Il compito della barca è anche quello di monitorare lo stato dei fondali, scoprire se la varietà danese sta bene o meno.
Una volta salite sulla barca del centro scopriamo anche perché la varietà di ostrica del Pacifico è più infestante: si riproduce molto più in fretta. Mentre le ostriche danesi hanno bisogno che il maschio prima diffonda il suo seme e che la femmina poi lo accolga per fertilizzare le uova, le pacifiche hanno una modalità di procreazione molto più aggressiva; rilasciano in acqua le uova, che a quel punto dovranno solo incontrare il liquido seminale dei maschi. Inoltre ci spiegano che le ostriche sono ermafrodite, ovvero cambiano il loro sesso in base alla temperatura e alla salinità dell’acqua.
Con noi c’è il capitano della nave e Kasper, che ha 26 anni e ama fare questo lavoro perché, dice, impara tantissimo. Abbassa la rete, tira su dopo un po’ e il risultato ci piace, anche se ci aspettavamo più ostriche, ma come detto precedentemente quelle danesi sono nei fondali più profondi e bisogna avere fortuna.
Frutti di mare, qualche ostrica danese e un sacco di stelle marine. Ci dicono che, insieme al ristorante Alchemist di Copenaghen, il centro sta studiando proprio le stelle marine per capire se possono essere usate in cucina e nell’alta ristorazione.
Un’altra cosa che la barca monitora sono le razze infestanti che potrebbero minare la salute delle ostriche autoctone, e che con il riscaldamento del mare iniziano ad abbondare. Ad esempio, mi dice il capitano della nave, c’è una piccola lumachina che va sopra il guscio delle ostriche e fa dei piccoli buchi per mangiarne il frutto.
È arrivato il momento della seconda colazione a base di ostriche. Victoria ne mangia 3 danesi, poi arriva la sua più grande sfida del viaggio: un’ostrica pacifica portata dai nostri compagni di viaggio. È enorme, il suo contenuto sembra più una bistecca che un’ostrica.
“Quando l’ho vista mi sono venute in mente solo delle bestemmie, ma era una sfida fra il ragazzo che ci accompagnava nel tour che mi ha detto ‘tu dici di essere una grande mangiatrice di ostriche, se mangi questa il titolo è ufficialmente tuo’. E quindi non ho potuto resistere perché sono la persona più competitiva del mondo, e perché adoro le ostriche”.
Quella che mangia è un’ostrica che ha circa 15 anni a giudicare dalla grandezza e vale, almeno nel nostro personale conteggio, almeno cinque o sei ostriche normali.
In tutto questo l’umido e il vento si fanno sentire, fa un freddo cane e ci si staccano le dita. Ci ripariamo dove possiamo ma stiamo iniziando ad accusare il colpo. Torniamo a terra finalmente: ci aspetta un po’ di macchina per andare all’interno del fiordo in un’isoletta. Andiamo ovviamente a mangiare altre ostriche, questa volta in un ristorante.
Nel tragitto iniziamo a capire le differenza di sapore e consistenza fra le ostriche: quella danese è decisamente più amarognola, le pacifiche, che poi sono quelle che siamo abituati a mangiare anche in Italia, sono più dolci.
Arriviamo in quest’isolotto in mezzo al fiordo e apriamo Google Maps per capire esattamente dove ci troviamo: Venø. Venø Kro è un ristorante conosciuto in zona da diversi decenni. Candele accese e un vista spettacolare.
Qui si viene appositamente a mangiare frutti di mare e pesce fresco.
Il plateau che ci servono è una vera gioia per gli occhi: aragostelle (tipo gamberi di fiume dolcissimi, cucinati con l’aneto), astici, granchi e scampi. La maggioranza di questa roba viene dall’azienda vicino, la Venø Seafood, che è guidata da un giovanissimo ragazzo di 23 anni, che andiamo a trovare subito dopo esserci rifocillate a suon di crudi (e finalmente anche champagne).
Intanto aggiorniamo la conta di ostriche. Questa volta sono almeno spurgate: siamo a più quattro.
Satolle incontriamo Kristian dela Venø Seafood: ha cominciato a 18 anni a lavorare nell’azienda di famiglia. Con il passare del tempo non si spiegava come fosse possibile che i danesi non mangiassero le ostriche danesi, ma solo quelle pacifiche: “Adesso quella danesi sono più di moda, e costano ovviamente anche di più”.
Allora Krsitian decide di prendere in mano l’azienda e di fare stoccaggio di ostriche danesi, in modo che siano disponibili tutto l’anno. Può conservarle per massimo 6 mesi e le manda in tutto il paese. Ma Kristian, essendo un ragazzo giovane, pensa anche al futuro del mare. Visto il problema dello sfruttamento dei mari e delle pesca, cerca di sostenere la fauna del fiordo ripopolandolo; dopo aver fatto crescere in tutta sicurezza i rombi nelle vasche all’aperto, nell’acqua del fiordo, li rimette in mare quando sono pronti per la riproduzione, facendo sì che non vengano pescati prima.
Cambiamo completamente location e ci dirigiamo verso sud ovest. Abbiamo tempo di digerire le ostriche prima di mangiare ancora un altro po’ a cena.
Ci dirigiamo verso sud, nella costa occidentale dello Jutland, tra il mare dei Wadden intorno a Rømø: qui c’è il Parco Nazionale del mare Wadden, patrimonio dell’Unesco dal 2014. Qui il discorso ostriche danesi vs ostriche pacifiche si abbandona: quelle pacifiche hanno completamente riempito la costa e il Governo vuole che i danesi le mangino tutto l’anno. Per invitarli a farlo c’è anche un festival, che per il 2020 è saltato, ma che dal 2019 si prefigge l’obiettivo di portare i danesi e i turisti a pescare ostriche a mano.
Ce ne parla meglio a cena, nel ristorante Ros all’interno dell’Hostrups Hotel, Povl Lønberg, simpaticissimo promotore del festival e amante dell’Italia, tanto che ci accoglie dicendo “Ho saputo che alle ragazze italiane piacciono le ostriche”. Povl continua dicendo che si stanno attrezzando anche con corsi di cucina per i più piccoli, cercando di insegnare loro a cucinare le ostriche: “È una proteina molto più sostenibile della carne; le ostriche sono talmente infestanti che stanno soppiantando altre specie autoctone. Se non puoi batterle, puoi almeno mangiarle, no?”.
Durante la cena mangiamo anche il piatto classificato secondo l’anno scorso durante il festival, a base di ostriche e frutti di mare. Una bomba a mano. Nei giorni del festival gli chef cucinano piatti a base di ostriche per i visitatori a cinque euro l’uno circa, un prezzo molto competitivo per la Danimarca. “L’anno prossimo inviteremo anche chef italiani”, ci dice Povl.
Intanto ordiniamo delle altre ostriche, pensando che saranno le ultime del viaggio. Victoria ne mangia quattro fra un piatto e l’altro.
A cena ci servono anche un agnello, rinominato “agnello 3738” come dice scherzando, ma non troppo, Povl: è di una fattoria vicino l’albergo con una produzione molto bassa di bestiame, tutto tracciabile. Gli agnelli, così come altre ostriche, li vedremo l’indomani mattina con uno splendido sole, prima del nostro ritorno a Copenaghen.
Il mare dei Wadden si estende per 500 km e per tre paesi. Qui nella parte danese siamo incredibilmente vicini alla Germania, e la sua influenza si vede in una lingua mista, che praticamente non parla più nessuno, e nell’architettura.
In macchina vediamo le case rurali, distanti l’una dall’altra e poste su piccole colline, questo perché nel mare dei Wadden e in questa zona le maree fanno avanti e indietro e, prima delle costruzione di una diga, allagavano i campi e ovviamente le case.
Arriviamo in un punto panoramico dove il cicerone di questa mattina, Frank, che è nato e cresciuto in questa spettacolare parte di mondo, ci aspetta con delle ostriche: “Sembra di essere nel Signore degli Anelli”, commenta Victoria.
“Ero l’unico bambino per chilometri, quindi andavo spesso sulla spiaggia e ho imparato molto sul parco e la sua composizione. Essendo una terra che veniva allagata molto spesso è molto fertile, portentosa”, ci racconta mentre apre le ostriche che ha portato per la colazione. Sono ostriche del mare dei Wadden, che possono resistere anche una settimana fuori dal frigo e fino a sei o sette giorni fuori dal frigo. Mentre le apre si sente un “Oh cazzo!” di Victoria. Sono comunque le otto e mezzo del mattino. Victoria ne mangia due. Con questo panorama dietro, quando ti ricapita.
Arriviamo alla fine del nostro tour abbastanza convinte che non avremmo più mangiato ostriche per almeno qualche settimana, ma Frank è lì per smentirci: “Vi ho portato il pranzo”. Il pranzo è una busta della spesa piena di ostriche e un coltello; lui ne apre una subito per Victoria lì sulle rotaie, con il treno che arriva puntualissimo. Salutiamo, ci sediamo stanche, piene di proteine, una botta di sali minerali e tanto colesterolo. Nessuno scappa in bagno, almeno.
Scendiamo a Copenaghen, io noto che manca la busta, e Victoria “Nooo, l’abbiamo lasciata sui sedili”.
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