Il Canada si è comprato un pezzo di cannabis light italiana

cannabis light canada

LGC Capital è un fondo di investimenti canadese focalizzato “sul mercato globale della cannabis legale.” Ha già investito in aziende di cannabis light in diversi paesi, tra cui Giamaica, Australia, Sudafrica. Recentemente, come riportano diversi media canadesi, si è interessato per la prima volta al mercato italiano.

Secondo il Marijuana Business Daily, LGC Capital avrebbe comprato per 4,8 milioni di euro il 47 percento—diventando quindi il socio di minoranza—dell’italiana EasyJoint, mentre quest’ultima “punta all’espansione nel mercato europeo e canadese.”

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Per chi non lo ricordasse, EasyJoint è convenzionalmente definita la prima azienda italiana (o almeno la prima a essere diventata famosa) per la vendita di quella che a maggio 2017, quando tutto è un po’ iniziato, era stata definita “marjuana che si fuma ma non sballa.”

Ovvero: infiorescenze di derivazione industriale con un tenore di THC (la parte ‘psicoattiva’ della pianta) molto basso. Oggi, a 18 mesi di distanza, abbiamo imparato questo e anche che in realtà la cannabis light in vendita in Italia—almeno a livello ufficiale—“non si fuma,” ma sarebbe esclusivamente da “collezione.”

In ogni caso, a confermarmi dell’avvenuto accordo con il fondo canadese è Luca Marola, AD di EasyJoint e attivista per la legalizzazione della marijuana in Italia. Mi spiega che la firma tra le parti è avvenuta sabato scorso, dopo aver vagliato nei mesi precedenti diverse proposte arrivate da altri player canadesi, statunitensi e del sud-est asiatico.

Si tratta di proposte giunte dopo la copertura mediatica dedicata in questo anno e mezzo alla sua iniziativa—“sfruttare un vuoto normativo sulla canapa industriale,” mi disse all’epoca, oggi in piccolissima parte colmato—da parte dei giornali italiani e poi esteri, fino ad arrivare al New York Times.

Mentre però la legalizzazione della marijuana nel nostro paese sembra ancora molto lontana, ad aver legalizzato è stato proprio il Canada. “Noi eravamo lì ad assistere al giorno uno di legalizzazione. […] E la cosa importante da sottolineare è questa: non si sono aperte le porte dell’inferno, il Canada non è sprofondato al centro della terra, non ci sono stupri, omicidi o altre cose,” mi spiega Marola. “Mentre il governo centrale [canadese] ha definito la cornice entro cui stare, i vari stati hanno declinato la legazione a seconda delle proprie esigenze.”

Sempre secondo Marola, il modello canadese sarebbe esportabile sia in Europa che Italia. “A differenza dell’Uruguay dove è lo stato a definire il prezzo della vendita al pubblico, [il modello canadese] è un meccanismo rispettoso delle specificità territoriali […] e rassicurante per la libertà d’impresa [entro i limiti definiti dalla legge],” continua.

A detta sempre di Marola, in Canada EasyJoint esporterà una linea di prodotti “d’eccellenza italiana” ad hoc, e con il partner commerciale cercherà di espandersi in Europa (dove è già presente in quattro paesi) fino a addentrarsi anche nel mercato della cannabis terapeutica. Per cui, come si legge su La Stampa, “la legge italiana consente al ministro della Salute di concedere la lavorazione alle società private,” anche se al momento “il regolamento è rimasto lettera morta.”

Ma volendo rimanere sempre in tema “cannabis light,” ad oggi, in Italia come siamo messi?

Dopo la stroncata del Consiglio Superiore di Sanità su un suo possibile consumo, proprio il ministro della Salute Giulia Grillo aveva detto che avrebbe assunto “le decisioni necessarie” sulla cannabis light, ma solo dopo un parere dell’’Avvocatura generale dello Stato (che deve ancora arrivare).

Nel frattempo, il ministro Salvini ha emesso una circolare in cui chiarisce che le “infiorescenze della canapa” con tenore superiore allo 0,5 percento [prima era allo 0,6] di THC sono inserite nella nozione di “sostanze stupefacenti.” Mentre il ministro della Famiglia Fontana, fervente proibizionista, ha recentemente affermato che la cannabis light non è light, perché con 20/30 grammi si potrebbe fare una canna normale.

Eppure, quando chiedo a Marola se l’aver venduto una quota minoritaria della società sia dovuto all’incertezza—o perlomeno al clima—del periodo sulla cannabis light in Italia, mi dice di no e di essere ancora ottimista sul futuro.

Guarda anche il nostro documentario sugli inizi della cannabis light in Italia: