Abbiamo sempre guardato alle stelle come un effervescente insieme di possibilità, come le bollicine dentro un bicchiere di champagne, ogni notte. Le opere di finzione ambientate nello spazio non raccontano solo paesaggi e creature aliene, ma anche modi di vivere nuovi; contemplare le stelle è sempre stato un esercizio di costruzione di nuovi mondi.
Le possibilità concrete di queste imprese spaziali sono sancite dal Trattato sullo spazio extra-atmosferico che, nel 1967, è stato firmato da 90 paesi durante la prima corsa allo spazio internazionale. L’accordo, ancora valido oggi, sancisce che l’esplorazione spaziale “deve essere compiuta per il beneficio e interesse di tutti i paesi, a prescindere dal loro stato di sviluppo economico o scientifico, e deve essere provincia dell’umanità.” Inoltre, stabilisce anche che i paesi firmatari, compresi gli Stati Uniti, devono essere guidati dal “principio di cooperazione e mutua assistenza.”
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Questo trattato, chiaramente aperto a interpretazioni, era un trampolino per le nazioni in via di sviluppo, affinché potessero forgiare una nuova società libera dalle costrizioni gravitazionali della Terra e — potenzialmente — dal giogo del capitalismo di stampo americano. A quanto pare, non è facile svincolarsi né dall’una né dall’altra cosa. Una proposta degli anni Settanta per redigere i termini del trattato e rendere lo spazio e le sue risorse “l’eredità comune dell’umanità” è stata interpretata come un tentativo di infilare principi socialisti nello spazio (lo era) ed è stata demolita. La lezione imparata: costruire nuovi mondi fuori dal reame della fantascienza è un’impresa assoggettata — spesso senza speranza — a titanici interessi economici.
Ora, qualsiasi possibilità abbia rappresentato un tempo il Trattato sullo spazio extra-atmosferico per il fiorire di nuovi modi di vivere su altri pianeti sta svanendo. Alla fine di aprile scorso, come è stato riportato dalla rivista Outline, la Camera dei Rappresentanti USA ha passato una cosa chiamata American Space Commerce Free Enterprise Act. Lo scopo dell’Atto, si dichiara, è “assicurare che gli Stati Uniti restino la potenza dominante nelle attività spaziali commerciali” e che il governo degli Stati Uniti interpreterà i propri obblighi internazionali “in maniera tale da minimizzare regolamentazioni e limitazioni” sulle aziende spaziali private. Inoltre, sancisce che il governo “non dovrà presumere” che il Trattato sullo spazio extra-atmosferico si applichi alle aziende private, cosa che permetterà ancora più spazio di manovra alle stesse.
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E se ci fosse qualche dubbio sugli intenti dell’Atto, più avanti viene specificato che, “lo spazio non deve essere considerato un bene globale.”
Questa dichiarazione è una forma potente di costruzione di mondi — lo stesso tipo che Cecil Rhodes, l’imperialista britannico che ha fondato Rhodesia, stava perpetrando quando sospirava “annetterei i pianeti, se potessi.” Rhodes aspirava a ricreare un’intera popolazione a immagine e somiglianza del bianco industriale — non c’è da stupirsi che avrebbe fatto la stessa cosa con il regno dei cieli — se solo avesse potuto.
La Federazione collettivista di Star Trek, le visioni ferventi e gioiose dell’Afrofuturismo, l’anarchia dei reietti di Ursula K. Le Guin — tutti questi scenari possibili sembrano crollare sotto il peso di un’industria inarrestabile che forgia una società per i propri interessi con l’aiuto del governo. Se ascolti le persone che beneficiano maggiormente dall’American Space Commerce Free Enterprise Act — come Jeff Bezos, fondare di Amazon e Blue Origin — il capitalismo americano esportato nello spazio avrà di certo i suoi lati positivi.
In un’intervista recente con Business Insider, Bezos ha immaginato un “trilione di esseri umani” vivere nel sistema solare con “un migliaio di Einstein e un migliaio di Mozart.” In breve, una nuova specie di intellettuali e di rinascimento culturale fioriranno nel sistema solare, guidati dai verdi bigliettoni USA. Suona utopico a sua volta — mille Mozart?? — ma tradisce un calcolo crudele. Come ha sottolineato di recente Buzzfeed, la costruzione di mondi pensata da Bezos non immagina che chiunque avrà l’opportunità e l’abilità nello spazio di decidere per il proprio destino, ma sembra implicare invece che un trilione di persone genereranno una classe superiore da un punto di vista culturale, intellettuale e — senza dubbio — economico.
Mille pianeti grigi, un universo di miseria
Bezos ha anche detto che l’umanità avrà “risorse ed energia solare illimitate, per ogni scopo pratico, e via dicendo.” Questo non significa che chiunque avrà accesso in modo equo alle risorse, come quelle minerarie estratte dagli asteroidi, o che siano effettivamente illimitate. Anche il petrolio è spesso descritto da chi è coinvolto per interessi come una risorsa praticamente illimitata — solo il mese scorso il presidente Donald Trump ha twittato che ci sono “note quantità di petrolio ovunque.” Eppure, l’estrazione, produzione e consumo di petrolio e derivati causano sofferenze e privazioni a popoli interi, per non parlare della distribuzione dei profitti di queste attività. E non esiste un accesso equo; lo sanno tutti che solo chi è in cima alla catena può permettersi di usare tutta la benzina che vuole per le sue barche, aerei privati e via dicendo.
Come sarà la vita per il trilione di esseri umani che vivranno nel sistema solare, molti (se non la maggior parte) dei quali sotto il giogo del capitalismo americano? Somiglierà molto alla realtà che già conosciamo, ovvero una vita dedicata al lavoro mentre il benessere prodotto vola dritto in mano a un’élite interstellare.
E se questa visione si espandesse oltre il nostro sistema solare? Trilioni di umani; mille pianeti grigi, mille avide plutocrazie, un universo di miseria.
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Questo articolo è apparso originariamente su Motherboard US.