Quando arrivano le prime scosse di terremoto, i muri iniziano a tremare e gli oggetti volano giù dagli scaffali. L’istinto naturale sarebbe di scappare, raggiungere un luogo aperto e mettersi in salvo. Ma c’è chi questa possibilità non ce l’ha.
Rinchiusi dietro le sbarre, i detenuti possono solo attendere sperando che la cella non gli crolli addosso.
Videos by VICE
“Ci si sente come topi in trappola,” si dice all’interno del carcere.
Nella serata di mercoledì un nuovo sisma ha colpito il Centro Italia. In particolare, due forti scosse, di cui una di magnitudo 5.9, si sono verificate nella Valnerina, un’area che si estende tra le province di Perugia e Macerata.
La terra ha tremato anche nel carcere di Camerino, piccolo centro del maceratese situato in una zona a forte rischio sismico. Il terremoto avrebbe danneggiato gravemente la struttura e – come riportato dal SAPPE – causato il ferimento di tre guardie carcerarie.
Nella notte il penitenziario è stato evacuato e tutti i suoi 42 detenuti trasferiti a Rebibbia.
Ricavato agli inizi del Novecento all’interno di un convento francescano, il carcere di Camerino era già da diverso tempo nel mirino di sindacati di polizia e associazioni che ne denunciano la scarsa sicurezza e le precarie condizioni abitative.
“È stata una tragedia sfiorata ma annunciata,” ha commentato il segretario regionale per le Marche del Sappe Nicandro Silvestri ieri mattina.
Il trasferimento dei detenuti è una soluzione già adottata in passato dopo eventi sismici.
Quando nel 2012 l’Emilia-Romagna è stata colpita dal sisma, più di 300 persone recluse nelle carceri di Bologna e Modena sono successivamente state spostate fuori regione.
Leggi anche: Sepolti vivi: luci e ombre del 41-bis, il più duro regime carcerario italiano
Subito dopo le scosse – come aveva detto l’allora ministro della Giustizia Paola Severino – le celle sono state tenute aperte per qualche giorno, perché “non si può aggiungere al carcerato l’angoscia della claustrofobia.”
Stando alla testimonianza del detenuto Giovanni Lentini – recluso prima a Bologna e poi a Milano – in concreto significava consumare i pasti “in dieci in un cella.”
“Non si riusciva più ad avere un momento di privacy, eppure ci sentivamo più al ‘sicuro’. Volevamo goderci quei momenti come se fossero gli ultimi. Per questo non stavamo mai fermi e non scendevamo più all’aria. Sembravamo zombie che vagavano nel buio.”
Nelle ore più critiche del sisma, tuttavia, non esistono direttive precise sul protocollo da seguire. Ogni decisione ricade sul direttore del penitenziario, il quale deve bilanciare in breve tempo fattori contrastanti: l’incolumità dei carcerati e il rischio di fuga.
L’apertura delle celle, e il progressivo spostamento dei reclusi in uno spazio aperto, sarebbe in teoria la soluzione più veloce. Ma a volte questa strada non è praticabile.
All’interno di un istituto, infatti, convivono detenuti di diverso tipo — da chi deve scontare pochi mesi, a soggetti pericolosi in regime di massima sicurezza. Alcuni detenuti, come gli affiliati ai clan mafiosi, hanno il divieto di incontro: nella confusione del momento si possono creare situazioni altamente pericolose.
Come è successo nel novembre del 1980, quando approfittando delle fortissime scosse che devastarono l’Irpinia, gli esponenti della Nuova Camorra Organizzata di Raffaele Cutolo fecero un regolamento di conti con i propri avversari. Il bilancio fu di tre morti e otto feriti.
“È difficile prendersi la responsabilità di aprire le celle,” dice a VICE News Salvatore Ricciardi, il quale ha passato più trent’anni in carcere per omicidio e vissuto sulla sua pelle l’esperienza del terremoto.
“Stavamo cenando quando a un certo punto cominciarono a ballare gli stipetti e tutti gli oggetti caddero giù,” racconta Ricciardi a VICE News.
“Quando stai là dentro diventa il panico. Mi è capitato di vedere persone svenute per la forte paura. C’è una situazione di angoscia perché non sai se la cella verrà aperta, o se ti cadrà addosso un pezzo di soffitto. In un appartamento uno può dire ‘mi metto sotto i pilastri centrali per proteggermi’, nella cella non puoi fare niente. Non hai questa possibilità.”
“Il nostro era un braccio speciale ad alta sicurezza,” prosegue Riccardi, “non ci fecero uscire per niente. Si sentivano detenuti urlare da tutte le parti. Chiamavano le guardie che però erano già scappate verso le scale, per poter raggiungere più facilmente l’esterno. Le guardie non sono preparate ad affrontare una situazione del genere.”
Per fortuna il carcere era di cemento armato “e quindi non ci furono danni. Se fosse crollato qualcosa, avremmo fatto la fine dei topi in gabbia.”
Nelle ore successive al sisma del centro Italia di questa settimana, tre detenuti sono evasi dal carcere di Rebibbia dopo l’arrivo nella casa circondariale romana di alcuni detenuti del carcere di Camerino.
Uno dei tre evasi era stato condannato per omicidio e avrebbe finito di scontare la pena nel 2041, sugli altri due pendeva una condanna per tentato omicidio e per sfruttamento della prostituzione.
Il personale carcerario avrebbe notato la presenza di un lenzuolo appeso al muro di cinta durante un giro di controlli.
Leggi anche: Facebook in carcere: dentro il controverso rapporto tra i detenuti italiani e i social
Segui VICE News Italia su Twitter, su Telegram e su Facebook
Segui Matteo Civillini su Twitter: @m_civillini
Foto in apertura di Marco via Flickr, pubblicata su licenza Creative Commons