L’era digitale ha trasformato buona parte del linguaggio comune in metafora informatica. Virus, cavalli di Troia, errori fatali, sono solo alcuni dei pericoli che minacciano la nostra relazione con i computer. In particolare, c’è un fenomeno più infettivo dell’influenza, più virale dei virus, e più pericoloso dei video in cui supposti sconosciuti si baciano per la prima volta, indifferenti allo scambio di saliva delle proprie mucose. È la minuscola particella simbolica “#” il cui significato muta, simile a una sequenza di DNA, a seconda delle lettere che lo seguono.
Ma come nel caso di un’epidemia, il problema non è tanto che un hashtag possa essere virale, quanto piuttosto che possa essere virulento. Quando Beppe Grillo ha pubblicato sul suo blog un post sul ritorno delle malattie infettive con tanto di #tbcnograzie, il web italiano si è subito scaldato. Grillo denunciava la ricomparsa in Italia delle malattie infettive—debellate, secondo lui, da secoli—a causa dell’immigrazione selvaggia proveniente dall’Africa e la mancanza di preparazione e di profilassi delle forze dell’ordine per gestire questa situazione. E proprio ieri ha rincarato la dose in merito all’Ebola.
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Sia chiaro: tubercolosi ed Ebola non sono problemi da sottovalutare. Il Mycobacterium tubercolosis, l’agente eziologico della tubercolosi, infetta circa otto milioni di persone e ne uccide solo due in tutto il mondo. Si crede infatti che un terzo della popolazione mondiale sia stata al esposta al bacillo, compresi i 40 poliziotti di cui parla Grillo.
Risultare positivi al test di Mantoux non significa essere malati di tubercolosi: il test evidenzia un’esposizione pregressa al batterio, che permette all’organismo di generare gli anticorpi. In molti casi si può entrare in contatto con il batterio e debellarlo senza bisogno di vaccini, semplicemente.
Ho avuto l’occasione di lavorare per un paio di mesi sull’altipiano andino in Ecuador, in un ospedale con la segnaletica scritta in due lingue, spagnolo e quechua. Nella provincia di Tungurahua, dove si trova questo ospedale, c’è un sacco di tubercolosi. Le comunità indigene della zona fanno i propri studi epidemiologici, guidati dai medici, per capire la situazione #tbc nei loro villaggi. Praticamente tutti sono positivi e tanti, soprattutto i più deboli, sono malati o almeno lo sono stati.
Stiamo parlando di una realtà molto diversa dall’Italia. Quando si vive a strettissimo contatto e in condizioni sanitare precarie, basta che uno dei familiari venga contagiato per infettare tutti. Sono posti freddi, umidi e spesso poco soleggiati, condizioni che favoriscono lo sviluppo di patologie polmonari. Infine, povertà, miseria e malnutrizione fanno la loro parte. Ma un individuo sano, con un sistema immunitario normale, riuscirebbe a combattere l’infezione egregiamente. Non è un caso che la tubercolosi sia la causa principale di morte nelle persone affette da HIV in tutto il mondo.
Certo, anche solo un malato di TBC è una preoccupazione. Si tratta di una vita umana, e di un potenziale focolaio epidemico. Ma tornando al nostro Paese, un’epidemia di tubercolosi in Italia è improbabile, e lo stesso dovrebbe valere per l’Ebola, anche perché nel continente africano la sua diffusione è stata favorita da aspetti culturali, economici e sociali decisamente diversi da quelli italiani.
Comunque sia, è evidente che qui in Italia a qualcuno possa far comodo parlarne.
“Gli acari stanno facendo sesso sulla tua faccia?
Le malattie le abbiamo portate avanti e indietro, in lungo e in largo per il pianeta, da sempre. Cinque secoli fa, gli europei hanno barattato il vaiolo per la sifilide appena sbarcati nelle Americhe. È addirittura possibile mappare gli spostamenti delle popolazione umane tramite l’analisi genetica dei microorganismi che ci vivono addosso, come è stato fatto con la lebbra—Mycobacterium leprae, cugina della TBC—e come stanno facendo attualmente con gli acari che vivono, mangiano e si riproducono sulla nostra pelle. Fanno letteralmente parte di noi.
L’umanità è impensabile senza questi scambi, sia con altre specie, sia con la propria: del trade, sia di merce, di cultura che di geni. Non ci sarebbe progresso senza il dinamismo delle sue popolazioni. Il problema delle malattie non sono i migranti, abbiamo sempre migrato. L’importante è avere una chiara visione scientifica. Le guerre, i pregiudizi in mala fede, le false notizie, feriscono più della spada e dei virus. Se c’è qualcosa di più pericoloso dei virus, è la #cattivainformazione.