Come Instagram sta cambiando il modo in cui ricordi le cose

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Poco tempo fa sono stata all’Hermitage di San Pietroburgo, in Russia, uno dei più prestigiosi musei al mondo. Immaginavo che sarebbe stata una bella gita culturale, e invece ho fatto fatica persino a intravedere alcune delle opere più famose esposte per via della barriera di smartphone che mi bloccava la visuale. Ovunque ci fosse uno spazio libero, subito veniva occupato da almeno due persone per il selfie di rito con il quadro alle spalle, quello che avrebbe generato l’eterno ricordo della loro giornata all’Hermitage.

Per molte persone fare centinaia—o migliaia—di foto è ormai un’abitudine, soprattutto in vacanza, quando tutto è meticolosamente documentato su Instagram. Ma in che modo questo comportamento altera i veri ricordi del nostro passato, e il modo in cui percepiamo noi stessi all’interno di quel passato? In qualità di esperta della memoria, la questione mi incuriosiva molto.

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Purtroppo, in psicologia la ricerca sul tema è ancora piuttosto carente. Ma ci sono alcune cose che sappiamo con certezza: cellulari e tecnologia sono diventati il nostro nuovo magazzino dei ricordi. Non è una novità, gli esseri umani hanno sempre utilizzato dei supporti esterni per aiutarsi a ricordare determinate cose o per conservare informazioni preziose.

La scrittura, per esempio, è uno dei metodi che assolvono a questa funzione. Oggi, purtroppo, dedichiamo troppo poco tempo alla memoria, e ci affidiamo completamente ai cloud, le memorie digitali che conservano i nostri ricordi. Invece che ricordare cosa abbiamo mangiato al matrimonio di qualcuno, sfogliamo la libreria sul cellulare. Tuttavia, concentrarsi sul fare foto a un evento piuttosto che viverlo davvero ci porterà ad avere ricordi meno precisi. È dimostrato, perché mentre facciamo foto siamo distratti.

Lo stesso effetto di “distrazione” si ha se invece di cercare di ricordare ci affidiamo a un oggetto esterno che lo faccia al posto nostro. La memoria va allenata perché funzioni sempre al meglio. Ci sono moltissimi studi che confermano l’importanza di esercitare la memoria—per esempio per gli studenti universitari. La memoria è, e resterà sempre, fondamentale per l’apprendimento. Secondo molte ricerche, affidarsi esclusivamente a memorie esterne e online potrebbe avere conseguenze drastiche sulla nostra capacità di ricordare.

Nonostante tutto, qualche lato positivo nella moderna offerta di strumenti c’è. Anche se alcuni studi dicono che questo meccanismo ci rende più stupidi, quello che succede effettivamente è che le nostre capacità si modificano: se da un lato trascuriamo l’abilità a ricordare, dall’altro sviluppiamo l’abilità di gestire in modo più efficiente il modo in cui ricordiamo. È la cosiddetta metacognizione: una capacità fondamentale per gli studenti, per esempio quando devono pianificare cosa e come studiare. Secondo alcuni studi le fonti di memoria esterne, selfie inclusi, potrebbero aiutare gli individui con problemi di memoria.

Ma se in alcuni casi le foto ci aiutano a ricordare, la qualità dei ricordi sicuramente ne risente. Probabilmente avendone una prova visiva ci ricorderemo meglio come appariva una cosa, ma a discapito di altri tipi di informazioni. Uno studio, infatti, dimostra che mentre le foto aiutano a ricordare quello che hai visto a un evento, riducono contemporaneamente le tue probabilità di ricordare cosa sia stato detto in quell’occasione.

La nostra identità è il prodotto delle esperienze che viviamo, a cui attingiamo grazie alla memoria e ai ricordi. Quindi, che impatto ha la produzione continua di immagini sulla nostra percezione di noi stessi? Non ci sono prove empiriche che lo dimostrino, ma personalmente sono pronta a scommettere che abbiano un certo impatto.

Troppe immagini potrebbero farci ricordare un evento del passato in modo univoco, eliminando tutti gli altri ricordi. Sebbene per certi ricordi sia normale basarsi quasi esclusivamente sulle foto, come nel caso dei ricordi d’infanzia, questi ricordi non sempre corrispondono alla realtà dei fatti.

Un altro fatto che incide sulla questione è che, secondo quanto stabilito dalla ricerca, gli scatti che conserviamo mancano di spontaneità. Le foto sono pianificate, le pose non sono naturali e a volte offrono una ‘maschera’ della persona. Le immagini riflettono la nostra tendenza narcisista ad assumere espressioni innaturali: grandi sorrisi, sguardi sensuali, facce buffe o gesti offensivi.

Ma soprattutto, i selfie e le foto in generale sono dimostrazioni pubbliche di determinati atteggiamenti e intenzioni. In altre parole, non riflettono quello che siamo davvero, ma quello che vogliamo mostrare agli altri. Per questo, se ci basiamo sulle foto per ricordare il nostro passato, rischiamo di crearci un’identità distorta e basata soltanto sull’immagine di noi che volevamo proiettare.

Detto questo, nemmeno la nostra memoria naturale è perfettamente accurata. Numerosi studi hanno dimostrato che il nostro cervello crea spesso falsi ricordi. Questo succede perché ognuno di noi vorrebbe mantenere un’identità desiderabile e stabile nel tempo, ed evitare narrative contrastanti nella propria storia personale. Se per esempio sei sempre stato disponibile e gentile, ma in una determinata circostanza decidi di voler essere più intransigente, la tua mente potrebbe scavare nel passato alla ricerca di episodi in cui hai dato prova di aggressività, e anzi potrebbe addirittura inventarseli di sana pianta.

Avere sul telefono tantissime foto che documentano il nostro passato potrebbe rendere la nostra memoria meno malleabile rispetto ai cambiamenti della vita, e la nostra identità più stabile e coerente.

A sua volta, però, questo potrebbe creare problemi nel momento in cui la nostra identità si dovesse modificare rispetto a quella passata. Ne risulterebbe un’esperienza spiacevole, ed è proprio per evitare questa ‘sofferenza’ che la memoria funziona in modo ‘naturale’: proprio perché è malleabile, ci permettere di adattare i nostri ricordi per risparmiarci il trauma della contraddizione con noi stessi. Ognuno di noi vorrebbe un’essenza stabile e immutabile nel tempo. Se non riusciamo a cambiare agilmente il modo in cui vediamo noi stessi, la nostra capacità di agire e la nostra salute mentale potrebbero risultarne compromesse.

In sostanza, la nostra ossessione per le foto potrebbe farci perdere la memoria e dare vita a spiacevoli contraddizioni identitarie.

È interessante pensare a come la tecnologia possa cambiare il modo in cui funzioniamo. Se riusciamo a essere consapevoli dei rischi, però, possiamo cercare di mitigarne gli effetti nocivi. La cosa che davvero mi spaventa, tuttavia, è che per un qualsiasi problema tecnico, un giorno potremmo perdere tutte le preziosissime foto che custodiamo sul nostro smartphone.

Quindi la prossima volta che sei al museo, prenditi un momento per guardarti attorno e godertela. Nel caso dovessi perdere tutte le foto…

Giuliana Mazzoni è docente di psicologia. Questo articolo è stato pubblicato su The Conversation, nel rispetto delle licenze Creative Commons. Leggi qui l’articolo originale.

Questo articolo è tratto da Tonic.