I fari di una Land Rover 4×4 spezzano il buio del piccolo borgo formato da qualche abitazione di fortuna. Siamo nella parte orientale del Marocco, nei pressi del deserto algerino. Un uomo esce dalla macchina. Ne sveglia un altro che va ad aprire il nascondiglio, dove si trova quella che ci viene presentata come l’enorme mascella superiore di un Mosasauro.
Si tratta di un rettile marino di circa 70 milioni di anni fa. Il fossile, inondato dalla luce nella piccola stanza, sembra ben conservato. I bambini si avvicinano in pigiama per guardare le ossa. L’uomo in macchina aspetta un acquirente per vendere questo pezzo raro, con cui spera di guadagnare 10.000 dirham, o 1.000 euro. È una bella somma, specie se si pensa al fatto che — secondo uno studio della Banca Mondiale condotto nel 2002 — lo stipendio medio è di 233 euro al mese.
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Grossisti e collezionisti stranieri vengono a frotte nel Draa-Tafilalet. È in questa regione del sud-est del Marocco — alle porte del Sahara e del con l’Algeria — che si trova la provincia di Errachidia, epicentro della vendita di fossili per quasi 40 anni.
Ma c’è un problema: il patrimonio marocchino è in pericolo, e il governo potrebbe presto intervenire per prevenire questo saccheggio. I trafficanti di scheletri di dinosauri, i collezionisti di meteoriti e gli estrattori di fossili che non hanno una licenza potrebbero perdere il loro lavoro ed essere trattati come trafficanti di droga.
Finora, questo enorme traffico di pietre e ossa, che si sviluppa principalmente a Erfoud (ma anche a Ouarzazate, Midelt, Taouz, Azrou, Ouzina, Tazzarine o Agdz), non ha infastidito il governo marocchino.
Nella sua camicia colorata, Samir Zuhri, 57 anni, osserva la bottiglia d’acqua che ha ordinato in un bar davanti alla stazione ferroviaria di Rabat-Ville. Il paleontologo, professore presso l’Università di Casablanca, esprime il suo malcontento.
“In Marocco, tutto ciò che è nel terreno appartiene allo stato. C’è una norma generale che include il patrimonio che viene dalla terra,” dice. “Ma siccome il testo non è chiaro, i trafficanti se ne approfittano. Questi sono malfattori molto organizzati che sanno come aggirare la legge.”
Come i circa 50 paleontologi del paese, Samir Zuhri scopre ogni mese che un pezzo estratto dal suolo marocchino si trova in musei internazionali e nelle collezioni private.
Un giorno, il gruppo di scienziati ha scoperto che un enorme spinosaurus maroccanus era stato esposto a migliaia di chilometri di distanza, dall’altra parte dell’Atlantico, a Chicago. È stato un grande paleontologo americano, Paul Sereno, ad assemblarlo pezzo per pezzo.
“Come ha fatto questo pezzo così unico a passare la dogana?” si chiede Mohamed Boutakiout, professore di paleontologia e geologia generale presso l’Università Mohammed V di Rabat, convinto del fatto che questo dinosauro alto cinque metri e lungo quindici dovrebbe appartenere al Marocco.
Boutakiout ritiene che i musei stranieri paghino — e tanto — per ottenere questi scheletri, trasportati in più viaggi dai trafficanti che ne nascondono le ossa nelle auto.
“Dopo [lo scheletro] viene assemblato in un posto qualsiasi e venduto per milioni di euro nelle principali case d’asta,” dice Boutakiout. “La dogana? Non c’è alcuna legge specifica che vieti di far uscire i fossili. (…) Per loro queste cose sono ciottoli. C’è moltissimo da fare.”
Abbiamo contattato il Dipartimento geologico del Ministero dell’energia, delle miniere, dell’acqua e dell’ambiente. Una legge specifica è in fase di preparazione, ma ci hanno risposto che oggi un testo provvisorio vieta la vendita o la rimozione delle ossa se non è convalidata dallo Stato. Lo stesso vale per molti tipi di meteoriti.
“Non ho mai sentito parlare di arresti o confische,” risponde Samir Zuhri. “Lo stato non fa nulla.”
Erfoud è la capitale di questa corsa alle ossa marocchine. Alcuni giapponesi, italiani e francesi vi si sono trasferiti per fare da collegamento con l’estero. Sono in competizione con i marocchini estremamente navigati e ben connessi. “Ci sono dei locali che hanno delle competenze pazzesche considerando che non hanno studiato,” dice Samir Zuhri
Agricoltori, giovani delle campagne senza un lavoro, modesti dipendenti dei servizi in pensione: vagano ogni giorno per l’Atlante e nel deserto alla ricerca del tesoro. Scavano, trapanano, scavano e talvolta distruggono grandi fossili di dinosauri. La colpa è dei metodi e degli strumenti inadatti, della pala degli escavatori usata come scalpello. I teschi e i denti sono gli oggetti più richiesti sul mercato, quindi spesso gli scheletri vengono smantellati in fretta.
Durante gli scavi di alcune università marocchine, accade spesso che gli archeologi si incontrino con i saccheggiatori. “Succede di frequente durante i nostri scavi che delle persone con dei picconi vengano a derubarci,” lamenta Samir Zuhri. “Non abbiamo nessuna protezione. Così cerchiamo di scavare tutto il giorno stesso, o di mantenere segreto il luogo, in modo che non sia saccheggiato di giorno o di notte.”
Samir Zuhri racconta che diversi colleghi sono stati cacciati con lanci di pietre. “All’inizio ero molto severo con loro, ma poi ho capito che la gente mantiene le proprie famiglie grazie a questo. E che senza, potrebbero morire di fame.” Secondo le stime locali citate da AFP, il 70 per cento degli abitanti di Erfoud (circa 20mila persone) vive grazie a questa attività.
“Per me, i grossisti, i clienti stranieri e i cercatori di frodo fraudolenti sono i veri colpevoli,” spiega Zuhri. I piccoli fornitori vendono per poco o niente, perché sono proprio all’inizio della catena di produzione. Una volta esportati, questi pezzi possono valere anche migliaia di dollari,” prosegue il paleontologo.
Il Marocco si presta di più a questo tipo di traffico rispetto all’Algeria, alla Tunisia e alla Libia. Il paese è facilmente accessibile, vasto, non vi è alcun rischio terrorismo e la legislazione non è precisa. Il paese è quindi, non a sorpresa. una delle principali nazioni esportatrici di fossili, ossa e meteoriti, come il Brasile o la Cina.
Nelle montagne berbere di Demnate, un filo spinato spinato delimita un parco dopo la strada che porta all’Alto Atlante. È il sito di Iroutlane, grande due ettari. Dei turisti marocchini sono venuti da Casablanca per ammirare le enormi impronte risalenti a decine di milioni di anni fa.
“Vedete questi pezzi di gesso su queste tracce?” chiede Ahmad, una guida che vive a Demnate. “Sono dei trafficanti che hanno modellato il tutto per rinforzare le tracce e scavare intorno senza romperle.”
Alcune tracce sono già scomparse, nonostante il recinto costruito un paio di anni fa dopo una visita della famiglia reale, che comunque non impedisce ai trafficanti di operare di notte, guidati da persone del posto pagate una fortuna.
Abdeslam, 42 anni, è il guardiano del posto. Ha costruito la sua casa a pochi metri dal sito. Anche al di fuori del parco, è circondato dalle impronte di dinosauro. “Tu dici che con questi reperti mi posso comprare tre case come la mia, mentre io ancora non ho finito la prima,” ride.
Sua moglie porta un vassoio con pane e tè alla menta, che lui chiama il “whisky berbero.” Seduto tra i segni dei dinosauri, strappa un pezzo di pane. “Le tracce, quasi tutto il mondo se ne frega. Loro non ci portano denaro. In queste condizioni, i trafficanti possono venire a rubare e a comprare le persone del posto per il loro aiuto. “
Tra queste brutte notizie per il patrimonio marocchino, emerge anche un lato positivo. Gli scavi dei tombaroli hanno permesso ai paleontologi di fare delle scoperte. “Il Marocco è un paese speciale per la sua geologia, perché si trova sul cosiddetto confine Latétis,” spiega Mohamed Boutakiout. “Ha registrato tutti gli strati geologici a partire dal Precambriano, cioè gli strati che partono da 3 miliardi di anni fa e arrivano fino ad oggi.”
“L’altra cosa è che siamo un paese dove piove meno, quindi si può accedere a questi depositi per affioramento. Al contrario dei paesi europei, coperti dai boschi che nascondono molte cose nel sottosuolo. Qui tutto è accessibile,” conclude, ricordando che “da molto tempo il Marocco è soprannominato il ‘paradiso dei geologi’.”
Queste numerose scoperte di nuove specie in regioni sconosciute del Marocco sembrano aver sensibilizzato le autorità rispetto all’urgenza della situazione. Infatti, allo stato attuale non esistono musei nazionali di paleontologia, e le poche iniziative nel settore sono limitate. “Non abbiamo musei strutturati,” sospira Mohamed Boutakiout.
“Abbiamo creato un’associazione, l’APPGM, a cui hanno aderito ingegneri minerari, accademici e persino degli industriali. Ci siamo ispirati ai trattati e alle leggi europee, francesi, spagnoli, tedeschi… Abbiamo raggiunto una sintesi che è pronta per essere discussa in parlamento per farla diventare legge.”
All’uscita da Erfoud incontriamo Hami T. in un bar. È un cacciatore di meteoriti. È arrabbiato, e parla veloce: “Anche se vogliono metterlo al bando, è impossibile. Ti spiego perché: perché presto diranno basta tutti i cittadini della regione di Oujda fino al Sahara, andranno davanti al Parlamento. Ma tu pensi che ci piaccia scavare le montagne? Non lo facciamo per divertimento. Quando hai 20 persone che ti aspettano perché gli porti del cibo, non lo fai per divertimento. Senza, di cosa vivrebbe la gente di qui? Ci sono tre cose qui oltre ai fossili: datteri, pietre e sabbia.”
Vicino alla stazione degli autobus della città troviamo Hassan, il “re del deserto,” come ama presentarsi. Ci fa fare un tour della sua proprietà dedicata alla dissezione dei blocchi di pietra e alla lucidatura dei fossili. Ha 22 dipendenti.
Un’enorme macchina con delle lame affilate taglia i blocchi di pietra provenienti da una cava. C’è qualcosa per tutti gli appassionati di fossili: vasche idromassaggio con gli ortocerati, lavandini con le goniatiti, water con gli edrioasteroidi. I pacchi sono messi in attesa all’ombra, prima di esseri inviati in Malesia, Austria e Canada. Il costo è di 20.000 euro per una vasca idromassaggio.
Hassan mostra un piatto gigante fatto di trilobiti assemblati. Un museo privato canadese ha pagato 25.000 euro per farselo consegnare. L’azienda lavora a pieno regime: il suo magazzino è pieno di fossili veri e falsi, souvenir per i turisti meno abbienti.
“Quando si conclude la stagione della scuola dei francesi e dei belgi, riceviamo le visite dei tedeschi e degli austriaci, molto appassionati di fossili.” Hassan si sfrega le mani. La sua attività è legale, paga ogni mese un permesso di estrazione nella cava di Merzane, a 17 chilometri da Erfoud.
Bachir Boudine è un venditore di tappeti berberi che da venti anni si è ‘riciclato’ con i fossili e i meteoriti. Dice di non aver mai accettato ossa di dinosauro —troppo pericolose, secondo lui. Ogni mese è visitato da molti pastori, nomadi, vagabondi. Vengono tutti per offrirgli un mucchio di pietre. Questi uomini non hanno i permessi. Vengono da lui per vendere meteoriti o fossili di grande valore per un tozzo di pane.
“Dipende da quello che uno porta. Ma io sono abituato a grossi container verso gli Stati Uniti, per rivendere ai miei clienti pietre che a volte possono pesare fino a 350 chili.”
Bachir e suo fratello sono conosciuti da molti nomadi divenuti cacciatori di meteoriti nel deserto algerino e mauritano. Bachir, occhiali sul naso, spiega: “Ascoltano la radio, sono su Internet e seguono le notizie della NASA per sapere quando e dove cadrà un meteorite raro.” Normalmente li paga 70 euro al grammo e li rivende a 150.
“Un giorno, è caduto un grande meteorite. Aveva un costo di 10.000 dirham [1.000 euro] al grammo. La gente andava lì con la famiglia e in grandi gruppi, creando delle catene umane per coprire quanto più terreno possibile.”
Fa irruzione un uomo. Ha portato due rocce nella sua borsa. Una è di forma triangolare, si scorge una sorta di disegno primitivo. L’altra pietra è più leggera, brilla. Il visitatore pensa di aver portato un meteorite e una pietra sacra per il culto.
Bachir tira fuori la sua lente di ingrandimento. Ispeziona la pietra lucida. Niente da segnalare. Proviene da un lago salato essiccato. Per quanto riguarda l’altra pietra, si rifiuta di acquistarla. Senza dubbio troppo rischiosa per la sua attività in caso di cambiamento della legge. “Preferisco rimanere cauto con la preistoria. Oggi, anche la vendita di alcuni meteoriti è sensibile,” dice Bachir. Il visitatore riparte a mani vuote.
Non lontano dalla cava ufficiale di Merzane, ci sono una trentina di buchi e di reti di tunnel che dipingono un paesaggio lunare. Il vento soffia, spazza la sabbia e scopre rocce piene di fossili.
Mohamed, 40 anni, sta per tagliare un piatto per far emergere le alghe fossilizzate. Spiega che divide il suo tempo tra i piccoli cantieri e questo lavoro. Le sue entrate dipendono dal suo carisma. “Io sono pagato per i piatti. Più sono grandi, più guadagno. Ci sono stati mesi in cui non ne ho trovato nessuno.” Mohamed vende piatti a circa 40 euro ciascuno. Con un po’ di fortuna, ne possono venir fuori una decina al giorno. Se non crolla il tunnel . “È un rischio, perché alcuni scavano troppo in profondità e troppo lontano.”
Poco distante, troviamo l’albergo di Lhou Oudhou, nel piccolo villaggio di Merzane, costruito nel 1966 per l’apertura della cava di fossili. Come la maggior parte degli abitanti del villaggio, Ouhdhou proviene da una famiglia di nomadi che è diventata semi-stanziale.
“I fossili e i meteoriti hanno dato lavoro e reddito ai nomadi. La cava è un esempio perfetto. È stata un bene per noi, che cerchiamo i fossili e i minerali, perché ci ha permesso di avere un reddito e allo stesso tempo di rimanere nel nostro elemento: il deserto e le montagne.”
Durante il 1980, l’estrazione era al suo apice. Ma ormai i fossili sono rari in superficie. “Certamente ci sono meno fossili,” dice Lhou Oudhou, “ma c’è anche più concorrenza.” Tutto un mondo che aspetta di sapere se le autorità cambieranno le regole di questa caccia al tesoro.
Tutte le foto sono di Sebastian Castelier
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