Il 17 novembre 2018 è stata una giornata molto particolare per la Francia: oltre 280mila persone hanno manifestato in più di 2000 luoghi, lungo strade, autostrade, rotonde e piazze. Le proteste sono continuate anche domenica e all’inizio di questa settimana.
Il bilancio, ad oggi, è piuttosto pesante: 282 persone fermate, circa 500 feriti—poliziotti inclusi—e una manifestante morta. Chantal Mazet, questo il nome della vittima, è stata investita da una macchina che ha cercato di forzare il posto di blocco in una rotonda nella zona commerciale di Pont-de-Beauvoisin. E la maggior parte degli incidenti ha avuto questo tipo di dinamica: automobilisti spazientiti che provano a sfondare i blocchi stradali.
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Le forze dell’ordine hanno fatto sapere che è estremamente difficile rispondere alle mobilitazioni: perché “sono diffuse, spesso sono improvvise e non autorizzate, e sono composte da persone che non sono abituate a protestare.”
Per l’appunto, ci troviamo di fronte a qualcosa che in Francia non si era mai visto prima: ossia al cosiddetto movimento dei “gilet gialli.” Il nome deriva dai giubbetti retro-riflettenti in dotazione a ogni automobile, che a loro volta sono diventati il simbolo di una mobilitazione strana, ambigua e complessa.
Finora, questa protesta partita in sordina su internet ha impensierito non poco l’Eliseo; e adesso punta direttamente a Parigi: il 24 novembre è stato infatti convocato “l’atto secondo” nella capitale. Ma come nasce questa protesta? E perché, alla fine, è interessante anche per l’Italia? Proviamo a fare un po’ di chiarezza.
COM’È NATA LA PROTESTA DEI “GILET GIALLI”
Il detonatore è l’annuncio dell’aumento, a partire da gennaio, di 6,5 centesimi e 2,9 centesimi sulla benzina senza piombo. Il progetto è esplicito: come racconta il giornalista Francesco Maselli, esperto di politica francese e autore della newsletter Marat, Macron punta a equiparare il costo di diesel e benzina per finanziare “progetti di transizione ecologica e aumentare in generale le entrate fiscali dello stato.”
Le intenzioni del presidente francese, tuttavia, incontrano subito la decisa opposizione da parte degli automobilisti—specialmente quelli che vivono nella Francia rurale e usano la macchina per qualsiasi spostamento (a Parigi, per dire, solo il 13 percento degli abitanti usa l’auto). Precedentemente, le critiche si erano rivolte all’abbassamento della velocità da 90 a 80 km/h sulle strade statali, ritenuto un mezzo per far cassa e spiccare più multe (cosa effettivamente successa).
Nel frattempo, su Change.org esplode una petizione che chiede la riduzione del prezzo della benzina alle pompe. Creata nel maggio del 2018 dalla 32enne Priscilla Ludovsky—residente a Savigny-le-Temple, nel dipartimento di Senna e Marna—a metà ottobre raggiunge oltre 300mila firme (al momento ne ha quasi un milione).
In parallelo alla petizione, due camionisti trentenni—Eric Drouet e Bruno Lefevre, anche loro residenti in Senna e Marna—creano un evento Facebook per “bloccare tutte le strade francesi” il 17 novembre. Sempre su Facebook, alcuni video realizzati da cittadini comuni e sconosciuti diventano virali—parliamo di cifre che oscillano tra i 3 e i 6 milioni di visualizzazioni. L’idea di usare i giubbetti gialli viene proprio da uno di questi video.
Per il resto, gli autori sono in genere perfetti sconosciuti. Come Jacline Mourad, una donna bretone con un “passato da chiaroveggente” che “offre sessioni spirituali con l’ectoplasma” ed è “preoccupata dalle scie chimiche”. Altri, invece, sono legati alla politica: un video-appello che raggiunge 4 milioni di visualizzazioni è realizzato da Franck Buhler, membro del partito neogollista Debout la France (Alzati Francia).
Ma attenzione: secondo Libération (e altri), non si può accusare la “fasciosfera” di essere all’origine della mobilitazione; né sostenere che l’estrema destra è dentro l’organizzazione. Quello che colpisce, sin dalle fasi embrionali, è la completa assenza di leader (anche se qualche figura mediatica è già emersa), sindacati, associazioni, partiti politici e struttura formale: il movimento, infatti, si è “letteralmente costruito con il progredire della discussione su Facebook.” Tant’è che, in breve, il numero dei gruppi Facebook locali dei “gilet gialli” è lievitato a più di 370.
Come facilmente intuibile, all’avvicinarsi del 17 novembre—che inizia ad avere un’aura quasi messianica—le rivendicazioni si moltiplicano a dismisura. Non è più una semplice protesta degli automobilisti contro l’aumento della benzina: è un moto d’“esasperazione” generale contro le tasse, la classe politica, i funzionari statali che guadagnano troppo, la riduzione del potere d’acquisto, e soprattutto Macron.
Una manifestante, parlando con RTL, spiega infatti che “il presidente è sulle labbra di tutti, provo quasi dell’odio verso di lui. Tanto lui ci disprezza. Dell’ecologia me ne frego. Quello che voglio è poter mettere nel piatto qualcosa da mangiare.”
CHI SONO I “GILET GIALLI”
L’eterogeneità delle rivendicazioni rispecchia perfettamente quella dei componenti del movimento. Ma chi ne fa effettivamente parte? Ecco: per il carattere e la natura dei “gilet gialli,” rispondere non è per niente facile.
Sulla pagina Facebook Les Gilets Jaunes c’è un tentativo di autodefinizione—ovviamene da prendere con le pinze. Il “gilet giallo,” si legge, “è una persona come te e me, che manifesta nel giorno di riposo, un ragazzo, un pensionato, un artigiano, uno studente, un disoccupato, un imprenditore, qualcuno che è a favore o contro tutto. Ma è soprattutto una persona che ha paura di non arrivare alla fine del mese. […] Ed è qualcuno che si è stufato di dover fare costantemente attenzione alle tasse, di preoccuparsi per l’età del pensionamento, e di lesinare su cibo e altre spese.”
Il profilo degli otto francesi—tutti tra i 27 e i 35 anni—che hanno creato i primi eventi Facebook non si discosta molto da questa descrizione. Secondo una nota dei servizi segreti, nessuno è un militante politico, o ha un passato da militante, o ha legami con “gruppi a rischio”; la cosa che li accomuna è la passione per i raduni automobilistici.
C’è un altro, decisivo tratto in comune: l’appartenenza territoriale e il contesto socio-economico della cosiddetta “Francia periferica.” Il geografo Christophe Guilluy, inventore del termine, ha spiegato in un’intervista a Le Parisien che “il malcontento viene dai territori che sono meno produttivi economicamente, e dove il tasso di disoccupazione è più stabile. Si tratta dei territori rurali, delle piccole e medie città lontane dalle grandi metropoli […] dove vivono le classi medie, gli operai, gli impiegati i lavoratori autonomi, i pensionati.”
Negli ultimi 20 e 30 anni, queste categorie hanno subito profondi sconvolgimenti—di cui il movimento dei “gilet gialli” è la conseguenza più visibile. “Questi francesi,” continua Guilluy, “sono stati investiti dalla chiusura progressiva delle fabbriche e dei negozi, dalla crisi del mondo rurale e dalla desertificazione dei servizi pubblici. Tutto ciò si è dunque cristallizzato attorno alla questione centrale del potere d’acquisto.”
Il geografo, inoltre, parla di un altro elemento decisivo: il “gilet giallo” medio è una persona che non “è più integrata politicamente ed economicamente” nella vita contemporanea francese. Questo aspetto emerge in maniera piuttosto netta in alcune interviste ad esponenti del movimento. A Radio Parleur, due manifestanti bretoni l’hanno definito un movimento “cittadino, di popolo e apolitico,” pieno di gente “che non hai militato in alcun partito,” e sul quale non può essere messo alcun “cappello politico o sindacale.”
Naturalmente, i partiti politici hanno provato eccome a metterci sopra il cappello. Sin dall’inizio, l’opposizione ha cavalcato la protesta per mettere in difficoltà il governo e Macron. La destra francese si è immediatamente accodata ai “gilet gialli”: Debout La France, Rassemblement National—l’ex Front National di Marine Le Pen—e Les Républicains hanno dato il loro sostegno, e i suoi leader hanno partecipato a qualche presidio.
La sinistra, almeno in principio, è stata più titubante. Come ha ricostruito un articolo di Philippe Rioux su La Depeche, la questione di fondo è stata la seguente: “come sostenere questo scoppio di collera popolare senza ritrovarsi a braccetto con la destra e l’estrema destra?” La France Insoumise, il partito di sinistra radicale guidato da Jean-Luc Mélenchon, alla fine ha sciolto i dubbi e deciso di sostenere apertamente la manifestazione.
Non è chiaro se forme di “recupero” partitiche del movimento possano effettivamente funzionare. Secondo la giornalista Aline Leclerc di Le Monde, nella rivolta dei “gilet gialli” c’è “un sentimento d’abbandono della piccola borghesia che ha l’impressione di essere la grande sconfitta. Nel senso che guadagna troppo per essere aiutata, e quindi non viene esentata da certe tasse, ma al contempo guadagna troppo poco per vivere degnamente.”
E questo sentimento, sul piano politico, non può che tradursi in un rigetto totale della politica partitica. “Moltissimi manifestanti,” sostiene Leclerc, fanno parte di quella Francia che non vota o lascia la scheda bianca.” Al momento, dunque, “è impossibile sapere come il movimento potrà tradursi in termini elettorali.”
MA ALLA FINE, COSA DIAVOLO È QUESTO MOVIMENTO DEI “GILET GIALLI”?
Questa è un po’ la domanda che si stanno facendo tutti. Di sicuro, non c’entra nulla con l’altro movimento di massa—la Nuit Debout—affacciatosi sulla scena politica francese nel 2016. Per ora, alla ricerca di una spiegazione convincente, commentatori e politici hanno setacciato la lunga storia dei movimenti di protesta francesi contro le tasse: si sono così tirati in ballo i “berretti rossi” in Bretagna, sia nel 1675 contro la monarchia che nel 2013 contro l’ecotassa del governo socialista; e il poujadismo degli anni Cinquanta del secolo scorso, uno dei precursori del populismo reazionario.
Quest’ultimo paragone l’ha fatto lo stesso Macron, che in un’intervista ha parlato di “una forma di poujadismo contemporaneo.” Ma per quanto ci siano delle analogie, la grande differenza sta nel fatto che Pierre Poujade—il leader del movimento—alla fine ha creato un partito e nel 1956 . In questo caso, non si vedono Poujade all’orizzonte.
E quindi, tocca chiederselo ancora una volta: cosa diavolo sono questi “gilet gialli”?
Per quanto non sia un grande sostenitore delle comparazioni tra movimenti di paesi diversi, negli ultimi anni c’è stata una protesta davvero molto simile a quella che sta scuotendo la Francia. E l’abbiamo vissuta sulla nostra pelle: la cosiddetta “rivoluzione” del dicembre 2013, guidata dal Coordinamento 9 Dicembre—passati alla storia come “Forconi”.
Anzitutto, il profilo socio-economico dei partecipanti è in larga parte sovrapponibile a quello dei “gilet gialli.” Come aveva detto il sociologo Aldo Bonomi, dentro il #9dicembre erano finiti “i piccoli imprenditori di quello che ho ribattezzato ‘capitalismo molecolare’, il piccolo commercio diffuso, i commercianti, i bancarellari, gli ambulanti, la logistica minuta e cioè i padroncini, i camionisti. Una moltitudine rancorosa appartenente a un modello economico che sta sparendo.”
Per quanto riguarda l’aspetto organizzativo, anche nel caso del #9dicembre la protesta è nata al di fuori della rappresentanza tradizionale e si è snodata su eventi e gruppi Facebook. Se si un’occhiata allo stile grafico e comunicativo dei “gilet gialli,” si trovano ulteriori assonanze: video con il cellulare girati da uomini e donne di mezza età; immagini rozze e artigianali; inviti alla condivisione contrassegnati da punti esclamativi e motti come “ FAITES TOURNER” (“FATE GIRARE” in francese); e meme in cui spadroneggiano cattivo gusto (tipo la ghigliottina per Macron) e comic sans.
Ma è soprattutto a livello comunicativo, di piazza e immaginario che la somiglianza è impressionante. Nei momenti caldi del #9dicembre, i presidi erano visitati da personaggi famosi e controversi (qualcuno ha detto Povia?); ecco: l’altro giorno, il comico antisemita e di estrema destra Dieudonné è stato accolto a Langon, nella Gironda, con l’immancabile quenelle. E visto che—esattamente come al tempo della “rivoluzione”—nei blocchi stradali finisce un po’ di tutto, non sono mancati episodi di razzismo e omofobia.
I gruppi Facebook dei “gilet gialli,” inoltre, sono imbottiti di paranoia. La paura costante è che il governo e i media li vogliano in qualche modo fregare—una paura alimentata da una serie di notizie false su “censure” televisive o lettere in cui Macron autorizza le forze dell’ordine a usare indiscriminatamente la forza contro i manifestanti.
La coincidenza tra “gilet gialli” e #9dicembre è totale su un aspetto molto specifico: il mito dei poliziotti che abbracciano la causa. Ora, c’è un piccolo fondo di verità: alcuni sindacati di polizia avevano effettivamente sostenuto la protesta del #9dicembre; e lo stesso ha fatto l’associazione Union des policiers nationaux indépendants (UPNI, che tuttavia non è un sindacato) con i “gilet gialli.” È bastato un semplice comunicato di quest’ultima per convincere i “gilet gialli” che “i poliziotti si sono uniti al movimento popolare!”
In entrambi i casi, tuttavia, sono stati dei video virali a cementare il mito. Dopo gli scontri di piazza Castello a Torino, le clip di poliziotti che si toglievano il casco avevano rotto l’Internet italiano; Beppe Grillo aveva addirittura chiesto agli agenti di “non proteggere più questa classe politica che ha portato l’Italia allo sfacelo.” Le motivazioni reali, lo sappiamo, erano più prosaiche: cessate esigenze di ordine pubblico.
Bene. Ora guardate questo video girato a Bordeaux, che ha totalizzato più di due milioni e mezzo di visualizzazioni.
Chiaramente, ci sono anche numerose differenze. La “rivoluzione” del dicembre 2013 era più organizzata (essendo di fatto un “cartello” tra micro-partiti e movimenti già esistenti), più “ribellistica” e più politicamente orientata a destra. I “portavoce” del movimento #9dicembre, tra le altre cose, chiedevano un “governo di transizione” retto dalle forze dell’ordine e pretendevano “la sovranità dell’Italia, oggi schiava dei banchieri come i Rotschild.”
Infine, l’impresa del #9dicembre ha avuto molta meno consistenza numerica, e alla prova dei fatti—cioè quando si doveva lanciare la “marcia su Roma”—è implosa miseramente tra spaccature interne e il flop a piazza del Popolo. Un destino che però può travolgere anche i “gilet gialli”; e questo ci porta dunque all’ultimo punto.
L’INCOGNITA DEL FUTURO DEL MOVIMENTO
Di fronte a una protesta di questo genere, è chiaro che qualsiasi governo entra in difficoltà. Come prenderla, infatti? Come domarla? Al momento, l’esecutivo e il presidente sembrano intenzionati a tirare dritti sull’aumento di carburante e sulla transizione ecologica. Il premier Edouard Philippe ha dichiarato che “noi vogliamo liberare [ i francesi] da questa dipendenza dell’automobile.”
Come spiega Francesco Maselli, è una precisa strategia: la “lontananza da chi vive in periferia […] è vissuta quasi come un vanto da parte della classe dirigente di En Marche!.” L’insorgenza dei “gilet gialli” mostra che “ci sono due paesi che non riescono a comunicare su moltissimi argomenti divisivi (il cambiamento climato è di certo uno di questi), e Macron ha scomesso su uno dei due sia durante la campagna elettorale che in questo primo anno e mezzo di mandato.”
Per il resto, giunti al quarto giorno di presidi, la mobilitazione sembra sul punto di affievolirsi. In un certo senso, è fisiologico. Da un lato, sostiene Aline Leclerc di Le Monde, molti manifestanti non possono semplicemente permettersi di non lavorare per una settimana interna; e dall’altro, il blocco totale alla fine andrebbe a colpire “le persone che somigliano a loro”—quelle, in sostanza, che hanno bisogno di spostarsi in macchina senza intralci di sorta.
Di sicuro, l’impatto sulla politica francese è stato enorme e profondo. Alcuni hanno espresso una profonda inquietudine per i risvolti del movimento. Il socialista Julien Dray, per esempio, ha scritto su Facebook che questa jacquerie rischia di “pendere da una sola parte” e di “diventare un poujadismo anti-statalista sul modello del Movimento Cinque Stelle in Italia.”
Dal canto suo, il geografo Guilluy ha notato che “il risentimento” che circola nella società francese è ormai “gigantesco.” I problemi, pertanto, sono stati esposti all’aria aperta e rimangono lì. E se la contestazione dei “gilet gialli” non dovesse durare, conclude, è probabile che spunterà fuori un altro movimento con caratteristiche simili.
Insomma: un po’ com’era successo il #9dicembre—sebbene in Italia ce lo siamo dimenticati—anche in Francia è sorto un nuovo modello di protesta sociale in grado di incanalare il malessere che ribolle sotto la crosta della politica ufficiale e che nessun partito sembra in grado di catturare. E questa dinamica ormai non vale più per singoli paesi, ma investe l’intera Europa.