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Nei circoli di Milano dove si beve, si mangia e si resiste alle mode della città

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In questo momento di disorientamento generale fatto di coprifuochi, gomitate al posto delle strette di mano, i circoli sono ancora più preziosi perché diventano dei veri e propri punti di riferimento nei quartieri.

Io e i circoli abbiamo una lunga storia d’amore: la mia festa di laurea, anni orsono, si tenne al circolo b.u.c.o sotto il ponte di Stalingrado a Bologna. Crescendo mi sono imborghesita (e trasferita a Milano), ma non ho mai smesso di farmi affascinare dalle realtà dei circoli in città: non faccio differenza tra Acli, di stampo cattolico, Arci, antifascisti e popolari, o cooperative/ONG. Sono mossi tutti da uno spirito fantastico, una vita di comunità che non esiste praticamente più.

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La Milano fighetta ha provato a mettere lo zampino nei circoli (come nelle balere), ma nonostante le infiltrazioni molti hanno resistito: hanno gli anticorpi giusti. Rimangono degli angoli di vita vera, con cibo e vino semplice e con prezzi umani. In questo momento di disorientamento generale fatto di coprifuochi, gomitate al posto delle strette di mano, i circoli sono, dal mio punto di vista, ancora più preziosi perché diventano dei veri e propri punti di riferimento nei quartieri.

Certo a Milano ci sono anche realtà come il Circolo dell’Unione, fondato nel 1841 da un gruppo di giovani, nobili e borghesi, liberali. Nelle sue eleganti sale, durante i pranzi sociali, presumibilmente si parlava già di Italia Unita visto che tra i soci ritroviamo alcuni nomi importanti del Risorgimento Italiano. Non è di questi circoli che parlerò, ma di quelli dove sentirsi a una vecchia festa di paese e dove le persone ancora lavorano per portare avanti cultura e servizi alla comunità.

Chi conosce Milano conoscerà anche il suo circolo più famoso: il Circolo degli Ex Combattenti, alle porte di Chinatown, nato nel 1918 per i reduci della Prima Guerra Mondiale. È protetto dal FAI visto che l’edificio daziale risale al 1880 ed è quindi considerato bene architettonico storico. Quando entri trovi il classico baretto con il bancone di resina, tavolo da biliardo e mazzi di carte ovunque per ogni tipo di gioco. Spuma, Punt e Mes, birra, vino della casa e patatine a gogò.

Ma si può anche mangiare (e benino!): l’immancabile cotoletta, riso giallo, salumi e formaggi. La chicca vera è il giardino, all’interno, che ospita canarini e cocoriti, sotto un glicine che durante la fioritura è uno spettacolo. Spesso ci sono serate musicali per tutti i gusti: disco anni ’80, jazz, popolare milanese o latino americana. Un pasticcio popolare. Purtroppo i vicini di Corso Garibaldi e Brera l’hanno scoperto e ogni tanto organizzano delle festine che stonano con i pensionati di Porta Volta. Ma in questo periodo difficile per i Circoli, va bene tutto.

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Il Circolo Terre e Libertà. Foto dell’autrice

Al mio circolino del cuore invece non ci sono intrusi. In una traversina nascosta di Corso Lodi si trova il Circolo Terre e Libertà, punto di riferimento del quartiere dal 1946.

Le caratteristiche estetiche, colori e arredamento, sono gli stessi, perfino i vecchietti si somigliano, tanto che mi viene un dubbio che qualcuno di loro giochi su più fronti. Giardino esterno meno romantico di Porta Volta, senza le classiche lucine da rooftoop newyorkese, ma quando vado a visitarli noto subito del movimento. Stanno allestendo un punto di ritiro dell’Alveare, un gruppo d’acquisto che prende i prodotti da agricoltori e artigiani locali. Mi siedo con un’amica e ordiniamo del rosso. Prima di tutto ci chiedono se vogliamo il bicèr o il bicerìn (per i non milanesi bicchiere o bicchierino) accompagnato da patatine, taralli e olive.

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L’aperitivo (foto scattata dall’autrice a gennaio 2021)

Giovanni, detto Juva, che si occupa della comunicazione, mi racconta: “La clientela, se così la possiamo chiamare, è quotidiana e immancabile, sette su sette, molto abituata alla propria routine fatta di partite a carte e ombre di vino: ciascuno è fedele ai propri orari, alcuni siedono sempre allo stesso posto e c’è perfino chi si fa servire nel proprio bicchiere personale. Per loro gli spazi e i servizi del circolo sono parte integrante e insostituibile delle proprie vite.”

Mi guardo in giro e nella bacheca trovo qualcosa in più oltre alle serate live di musica. Tutti i Giovedì, Vinili e Vinello, vendita e scambio di dischi, rigorosamente in vinile. I Venerdì Open Mic, stand up comedy, tutte iniziative rigorosamente accompagnate da aperitivo. Ma il loro attivismo non finisce qui: organizzano vacanze in Toscana, book crossing, mercatino vintage, cinema, pranzi sociali, cene di Natale e fanno anche servizio di portineria ai soci. Prima di andare via mi regalano anche un cioccolatino e io in cambio gli lascio il mio cuore.

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La sala per i live del Circolo Arci Bellezza. Foto per gentile concessione del circolo

Quando si parla di circoli è immancabile il Circolo Arci Bellezza, in zona Bocconi, anche perché fu tra i primi a organizzare cene a tema, le cine-cene, corsi di teatro e residenze gratuite per artisti – Brake the wall. Ci si occupa anche di politica, si dibatte (pensate, ancora qualcuno lo fa!) ma in modo easy: aperitivi, chiacchiere sulla costituzione e letture collettive. Tantissimi corsi per tutte le età: dalla ginnastica dolce al digital marketing passando per il gospel e il teatro.

Ma il vero gioiello è la Palestra Visconti, nel seminterrato, dalla quale uscirono negli anni 50′ famosi pugili e fu anche set del celebre film Rocco e i suoi fratelli (da qui l’altisonante nome). E prima del lockdown di domenica se si passa vicino via Bellezza si sente la musica dei corsi di tango, che ti fa sentire in un’altra città e in un’altra epoca.

Con  il passare degli anni le gestioni dei bar e l’amministrazione dei circoli cominciano a pesare sui soci sempre più anziani e meno numerosi, Così le ONG e le cooperative si inseriscono, arrivano dei volontari più giovani e comincia la convivenza.

Alberto Molteni, direttore artistico del circolo, mi racconta che “l’anima culturale, sociale e solidale dell’Arci Bellezza è quello che ci ha permesso di andare avanti anche nel lockdown in Primavera, senza fermarci un minuto, bensì avviando attività come la raccolta fondi per l’Ospedale Sacco, la campagna La Bellezza di Resistere (tutti i giorni sui nostri canali social-web veniva rilasciato un contenuto speciale – video, lezione, lettura consigliata, canzone live, ricette per tenere compagnia) e AiutArci a Milano (un gruppo di volontari, in collaborazione con Comune di Milano, hanno consegnato centinaia di pacchi alle famiglie in difficoltà del nostro quartiere)”.

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Cotoletta dell’Arci Bellezza. Foto per gentile concessione del circolo

Però non è tutto così naïf,: con  il passare degli anni le gestioni dei bar e l’amministrazione dei circoli cominciano a pesare sui soci sempre più anziani e sempre meno numerosi, dando luogo anche a problemi di sostenibilità economica. Così le ONG e le cooperative si inseriscono, arrivano dei volontari più giovani e comincia la convivenza. Una esilarante e straniante coesistenza tra gli ‘storici’ e i nuovi arrivati, quasi tutti tra i venti e i quarant’anni. “Un percorso inizialmente non privo di difficoltà e attriti (mai provare ad aggiornare un listino prezzi bloccato dai tempi delle lire!) ma anche un processo generoso e proficuo per tutti” mi confessa sempre Juva.

In alcuni casi il passaggio di testimone si completa, in altri no. I volontari purtroppo, come spesso accade, perdono man mano il forte interesse iniziale e  abbandonano. Il periodo del lockdown ha invece marcato un cambio di passo e fatto da spartiacque: l’improvvisa chiusura del circolo ha creato un vuoto nell’organizzazione della vita quotidiana di ciascun frequentatore, una crepa che si è rimarginata alla riapertura, col quartiere che si è subito riappropriato con forza dei momenti autentici di socialità che gli erano stato sottratti. E se queste reti informali in precedenza si stavano logorando  niente paura: il 2020 pare sia uno degli anni più entusiasmanti per i circoli!

In zona Affori il Circolo Italo Calvino, con 30 anni di attività alle spalle, mi colpisce subito per le iniziative outdoor: visite guidate al cimitero monumentale, ad esempio, o alle varie mostre che Milano offre. Ma questo circolo ha anche una produzione propria, soprattutto mostre fotografiche allestite per le strade del quartiere. Non mancano corsi di cucito e presentazioni di libri che organizzano con la Biblioteca Affori, partner fedelissima.

Il cibo è una costante in questo mondo dei circoli, dal pranzo alla cena, le cucine sempre aperte: dalle lasagne e arrosti, passando per il cous cous fino alle immancabili crostate.

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Circolo bocciofilo Piero Caccialanza. Foto per gentile concessione del circolo

Per completare questo tour milanese ci spostiamo a Nolo, uno dei quartieri più interessanti al momento (e qui la Loggia di Calvairate mi ucciderà). I Circolo bocciofilo Piero Caccialanza esiste da sempre: se chiedi in giro da quando c’è, nessuno sa rispondere (in realtà ho scoperto che fu fondato nel 1937, col nome di Bocciofila Lombarda). È un rifugio dal casino di Via Padova, a ridosso dei binari del treno. Uno spazio senza vocazione che ha accolto, oltre a un benzinaio, tanti appassionati di bocce che si sfogano con le quattro corsie al chiuso, più i campi all’aperto. È il circolo più sportivo di Milano. I tavoli con tovaglie rigorosamente di carta fanno subito sagra di paese, festa di piazza, e sono imbandite da carne, tagliatelle, mozzarelle e pesce su ordinazione. “Quando attraversi il cancello e poi la porta d’ingresso ti dimentichi di tutto”, mi confessa Gabriele, un cliente fedelissimo che incontro nel giardino dotato anche di area bimbi.

Un terzo paesaggio – per citare Gilles Clement – perché i circoli, a volte, sono spazi indecisi, apparentemente privi di funzione che vanno guardati con occhi diversi, capendo cos’è successo negli anni, riconsiderandoli, anche sforzandoci di osservare qualcosa che non capiamo o che sovverte le nostre regole estetiche.

In una Milano “moderna” e sempre alla ricerca del locale “instagrammabile” direi che i circoli sono essenziali all’equilibrio della città. E dopo il lockdown le priorità sembrano più che mai cambiate, compresa la necessità di costruire rapporti umani di qualità, che in questi luoghi si instaurano naturalmente.

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