Gli “alieni” di Lettonia ed Estonia: dentro le vite dei non-cittadini dell’ex Unione Sovietica

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Sono passati 25 anni da quando le tre repubbliche baltiche – Estonia, Lettonia e Lituania – hanno ottenuto l’indipendenza dalla “madre Russia”. Un’eredità sovietica però sopravvive: la difficile questione dei cittadini di origine russa che si trasferirono in questi paesi ai tempi dell’URSS.

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Con il crollo dell’Unione Sovietica, infatti, le 15 repubbliche che la costituivano decisero di assegnare in automatico la cittadinanza ai residenti permanenti. Tutte tranne Lettonia ed Estonia.

A oggi, sono quasi 300mila le persone che risiedono in Lettonia senza possedere una cittadinanza, e circa 90mila abitano in Estonia in condizioni simili. Si tratta dei nepilsoni (o kodakondsuseta isik, in estone): sono i “non cittadini,” i cosiddetti “passaporti grigi.” Non possono votare, hanno restrizioni nell’accesso ai pubblici impieghi e nell’acquisto di proprietà, e per richiedere i propri documenti devono rivolgersi all’ufficio immigrazione di quello che è il loro paese natale.

Il loro è un passaporto particolare, di colore grigio appunto, con la scritta “alien” – e da qui l’appellativo di “alieni delle repubbliche baltiche.”

Questa condizione di stranieri in patria è stata portata ancora una volta all’attenzione internazionale qualche giorno fa, grazie all’appello dell’alto commissario delle Nazioni Unite per i diritti umani Zeid Ra’ad Zeid Al-Hussein.

Se in Lituania infatti la minoranza russa è sempre stata relativamente esigua, Estonia e Lettonia, come reazione al processo di russificazione introdotto ai tempi di Stalin, hanno deciso di ricongiungersi quanto più possibile con il proprio passato presovietico. E di negare dunque la cittadinanza a quella parte di popolazione di origine russa, nata o arrivata sul proprio suolo fra il 1940 e il 1991: l’anno dell’indipendenza.

In Estonia – paese a 300 km dalla Finlandia – estoni e russi convivono da sempre. Negli ultimi due decenni però, la riscoperta dell’identità estone è stata una vera e propria priorità nazionale, con tanto di performers in abiti medievali all’europea che accolgono i turisti, e caffè che esibiscono orgogliosi nel loro menu la celebre “zuppa di formaggio estone.”

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A pochi minuti dal centro invece, ci sono i luoghi di ritrovo russi: più allegri e pacchiani, con la musica a tutto volume e una lingua dal suono diverso, meno finnico e più slavo. Perché nella capitale Tallinn, “a parlare il russo è addirittura metà della popolazione,” come ci ricorda Stanislav, alieno estone, originario proprio di Tallinn.

“Nei primi anni Novanta,” spiega Stanislav a VICE News, “la cittadinanza era concessa su basi puramente etniche. Nei passaporti sovietici compariva la dicitura ‘etnia’. Sul mio – ad esempio – c’era scritto ‘etnia russa’. Dovevi essere o di etnia estone o avere un cognome compatibile. Molti che ottennero la cittadinanza infatti erano nati nel Caucaso, dove c’erano state deportazioni di estoni.” Il principio dunque era quello dello ius sanguinis.

All fine degli anni Novanta, invece, fu introdotto il test di lingua e cultura estone, che dava diritto – se superato – ad accedere alla cittadinanza. Era un test molto difficile, soprattutto per i più anziani. Molti cittadini russofoni hanno infatti poca familiarità con la lingua estone e, pur non essendo ghettizzati in quartieri specifici, frequentano in prevalenza altri cittadini russofoni e scuole in lingua russa.

Per questo motivo sia la Federazione Russa sia l’Unione Europea sono intervenute in favore dei non-cittadini. La prima ha emesso un decreto presidenziale nel 2008 per permettere agli apolidi e ai non-cittadini – la differenza è esigua e vale solo in Lettonia – l’ingresso nel territorio russo senza bisogno del visto; l’UE, da parte sua, ha riconosciuto loro la libera circolazione nello spazio Schengen e ha fatto pressioni per rendere l’esame più accessibile. Tant’è che oggi il numero di alieni è sceso di oltre la metà.

Foto di Christiaan Triebert via Flickr

Stanislav si definisce un “apolide privilegiato.” Abita in Italia da diversi anni e, nonostante il passaporto grigio, è cittadino comunitario a tutti gli effetti: “Posso votare per le comunali e per il parlamento europeo, non ho bisogno nemmeno del permesso di soggiorno. Se avessi chiesto la cittadinanza russa, come hanno fatto altri nelle mie condizioni, sarei andato incontro a molti più problemi, come diventare extracomunitario o dover fare il servizio militare in Russia.”

Resta, nel suo caso, il divieto assoluto di entrare negli Emirati Arabi Uniti (l’unico paese al mondo che non accetta gli stateless), mentre per il Regno Unito deve munirsi di un visto costoso e burocraticamente complicato da ottenere. Al momento non ci è ancora riuscito.

Per il resto, la circolazione per lui non presenta particolari problemi – o almeno quasi mai. “Due anni fa ero in Estonia e dovevo partire dall’aeroporto di Tallinn per tornare in Italia,” racconta Stanislav. “Sul mio regolare biglietto Ryanair avevo scritto ‘cittadinanza estone’. Ho viaggiato in Olanda, in Francia, in Portogallo e in Belgio, sempre con la dicitura ‘estone’, perché pensavo che ormai, essendo l’Estonia nell’Unione Europea, si fosse democratizzata e non facesse più queste distinzioni. Invece, quando sono arrivato al gate, due hostess estoni mi hanno fermato, impendendomi di salire sull’aereo. Secondo loro non meritavo di scrivere ‘estone’ sul passaporto. Mi hanno chiuso il gate in faccia e sono rimasto a Tallinn un’altra settimana.”

Al “razzismo burocratico” si accompagna anche il razzismo dei comuni cittadini, e anche l’antipatia tra le due comunità. Gli uni vedono negli altri il retaggio di un’oppressione; gli altri si sentono discriminati come cittadini di serie B.

Il dialogo resta difficile, anche perché la differenza tra i due popoli è palpabile. Da una parte la cultura russofona, che comprende anche ucraini, bielorussi e georgiani. Dall’altra la lingua e la cultura estone, che non è di origine baltica, ma ugrofinnica, come la vicina Finlandia.

“Basta andare nelle chiese,” spiega Stanislav. “Gli estoni sono di tradizione luterana, nonostante la maggior parte di loro sia atea (si dice sia il paese più ateo del mondo!); i russi invece sono ortodossi. E mentre le chiese luterane sono tutte bianche e nere, le chiese ortodosse hanno oro da tutte le parti.”

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Le tensioni tra le due comunità hanno raggiunto il culmine nel 2007, quando la decisione di rimuovere la statua di un soldato russo dal centro di Tallinn provocò una vera e propria guerriglia urbana, con più di 100 feriti e un ragazzo russo accoltellato a morte.

La convivenza è ancora oggi più tesa nella zona orientale, vicino al confine con la Russia. Come nella città operaia di Narva, dove abita Sergei. Secondo lui, nella vita la tempistica è tutto. È nato nel 1984, quindi è un passaporto grigio. Ma se fosse nato dopo l’indipendenza, sarebbe stato un cittadino come tutti gli altri, invece che essere un “nessuno,” come dice lui. Il suo status gli ha procurato anche molti problemi nella ricerca di lavoro.

Anche Rosa vive nell’Estonia dell’Est. Ha lavorato 25 anni come direttrice in una scuola superiore dove studiavano soprattutto ragazzi di lingua russa. Qualche anno fa il governo estone ha inviato degli ispettori per verificare la sua fluidità nella lingua del paese, e lei non è riuscita a passare l’esame per ben quattro volte. “Ho studiato,” spiega, “Ma ogni volta che non ho ottenuto abbastanza punti. È una procedura umiliante.” Dopo alcune pressioni e minacce di licenziamento, ha accettato un taglio dello stipendio e una retrocessione.

Come la vicina Estonia, anche la Lettonia – quando ha dichiarato l’indipendenza – ha mantenuto una linea dura, rifiutando di concedere la cittadinanza alla maggior parte delle famiglie russe che non erano nel paese prima dell’epoca sovietica.

Anche qui per ottenere la cittadinanza è necessario sostenere un esame scritto di lingua e storia locale. Ma non solo. Anastasia, ex aliena lettone, ci racconta che l’esame prevede anche di cantare a memoria l’inno nazionale, accompagnandolo con una danza tipica. “Nonostante la mia madrelingua sia il russo, conosco il lettone abbastanza bene e quando mi sono decisa a fare l’esame non ho avuto molta difficoltà a superarlo. Mia nonna invece, oltre a non conoscere bene la lingua, trovava sciocco sottoporsi a inni e danze, e ha preferito rinunciare. Più avanti ha ottenuto la cittadinanza russa.”

Anche Marina ha problemi con la lingua. Abituati a esprimersi in russo, molti russi capiscono il lettone – magari lo parlano anche – ma non sono in grado di scriverlo correttamente. I problemi, però, rimarrebbero anche se Marina imparasse bene la lingua. Il test di storia richiede infatti che si affermi che l’Unione Sovietica ha occupato la Lettonia. Ma per Marina non è andata così: “Sono convinta che la Lettonia abbia aderito volontariamente all’Unione Sovietica; perché dovrei mentire?”

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L’annessione sovietica del giugno 1940, facilitata dalle clausole segrete del patto Molotov-Ribbentrop, è un nodo cruciale per i due gruppi etnici. Significa occupazione illegale e deportazioni in Siberia da una parte, e processo di annessione in parte o del tutto “volontario” dall’altra. E questi aspetti storico-ideologici nel test contano molto, anche ora che – come il suo omologo in Estonia – è diventato notevolmente più accessibile.

Nel 2011 l’alieno e attivista Vladimir Linderman aveva anche proposto di fare un referendum per adottare il russo come seconda lingua ufficiale della Lettonia. Il referendum però si è rivelato un fallimento. Anche perché, nonostante la comunità russofona sia presente dai tempi dell’impero zarista, nella narrazione storica lettone è ancora vista come uno strumento di indebolimento per l’identità nazionale.

Pur avendo dalla sua le ferite delle deportazioni, la narrazione lettone presenta comunque qualche punto debole. Per screditare l’occupazione sovietica infatti, si è finito spesso per fornire una visione troppo edulcorata dei tre anni di occupazione nazista (1941-44), le cui conseguenze sono state forse abbastanza blande per la popolazione lettone, ma hanno significato lo sterminio quasi totale della grande comunità ebraica. E questa tendenza revisionista vede tra le sue manifestazioni più inquietanti la parata annuale dei veterani delle Waffen SS.

In questi 25 anni, il panorama politico sia dell’Estonia che della Lettonia è stato caratterizzato da governi di destra e centro-destra a forte connotazione etnica. “Un po’ come se in Italia governasse la Lega per 20 anni,” commenta Stanislav.

Agli sforzi molto determinati di integrazione e collaborazione con Nato e Unione Europea (entrambi gli stati hanno aderito all’UE nel 2004), sono corrisposti rapporti sempre tesi con la Russia.

Sia Riga che Tallinn guardano con apprensione alla politica estera aggressiva di Putin, fatta di manovre, esercitazioni e sconfinamenti improvvisi. Provocazioni a cui si è risposto con altre provocazioni: il 24 febbraio dell’anno scorso, in occasione della festa dell’indipendenza dall’URSS, a Narva hanno sfilato a pochi km dal confine russo diversi carri armati americani con tanto di bandiera a stelle e strisce. Un chiaro avvertimento dell’Alleanza Atlantica contro le interferenze russe.

Se da un lato la Russia tenta di allarga la sua influenza sul Baltico, dall’altra si registra la mancata volontà da parte delle repubbliche baltiche di integrare le minoranze considerandole parte attiva e non una forma di ostacolo nella costruzione dell’identità nazionale.

L’appello dell’alto commissario dell’ONU è quindi più che mai attuale. E non solo perché il suo obiettivo è porre fine a un’anomalia burocratica che si trascina da un quarto di secolo, ma perché – con Schengen sempre più a rischio – il passaporto grigio potrebbe diventare nient’altro che un inutile pezzo di carta straccia.


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Foto di apertura di UNHCR / L. Charrier via Flickr