Il tour fra i pochi cocomerari di Roma rimasti, dove mangiare anguria tutta la notte

Tour cocomerari Roma

È tempo d’estate, è tempo di tour, fresco come una secchiata d’acqua durante una grigliata al mare. Stavolta ci siamo immolati per voi alla ricerca dei migliori cocomerari di Roma: una notte e un pezzo di giorno alla scoperta dei sei chioschi che risorgono quando arriva il caldo.

Siamo intorno alla fine dell’Ottocento e già sorgevano i primi chioschi stabili di cocomerari, anche se ne è rimasto solo uno tanto antico. Ma i chioschi di cocomerari più conosciuti di Roma sono quasi tutti nati verso gli anni ’60

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Il tutto per le strade più periferiche della Capitale, mica piazza Navona: roba di ciabatte e canottiera sporca, di famiglie sudate, di coatti che escono dalla serata e amici che si riuniscono nel nome del frutto più godurioso durante la calura soffocante.

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Tutte le foto di Andrea Di Lorenzo

Piccola premessa: un giorno ho pensato male di andare a una serata dietro casa. Afflitti da una quantità di musica orrenda, per la prima volta quest’anno è arrivata la domanda che tutti pensavamo: “Ao, ok, è una serata di merda. Ma che ce la prendiamo una fetta di cocomero prima di andare a casa?” Ed è così che ci siamo incamminati verso Pasquale il Cocomeraro su via Portuense. Zitti, mangiavamo il nostro cocomero in pezzi, fresco, zuccherino, insieme ad altri che se gustavano il loro in silenzio, smascellando duro. E insomma, in quel silenzio surreale, sotto le luci al neon del chiosco a illuminare montagne di angurie, ho pensato che solo a Roma puoi vedere una scena del genere. Fare serata a mille sì, ma poi oh, le tradizioni sono tradizioni. Da lì a pensare di fare un tour per sfondarmi di cocomeri è stato un attimo.

Ho deciso di fare questo tour anche perché i cocomerari di Roma stanno sparendo alla velocità della luce.

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Così ho chiamato il fido fotografo Andrea e abbiamo optato per un tour notturno, o sarebbe stato troppo facile. Alle 23 è iniziato un giro che si è chiuso alle 17 del giorno dopo, fatto di stanchezza, afa e la voglia di conoscere un altro pezzo di Roma raccontata dai suoi personaggi più veri. Vi ricordiamo che l’estate scorsa abbiamo documentato il mestiere dei grattacheccari, che allietano da oltre un secolo la calura romana a suon di scrick scrack. I cocomerari, però, sono l’altra faccia, rara ma viva, dell’estate romana. E se vogliamo meno conosciuta.

Il mestiere del cocomeraro non è solo appannaggio di Roma e si trova in altre città, ma qui è così remoto, da non saperlo datare. All’inizio erano carrettini, con l’arrivo del ghiaccio dei nevaroli abruzzesi e frascatani, che conservavano in grotte la neve invernale, il carretto è diventato chioschetto. Siamo intorno alla fine dell’Ottocento e già sorgevano i primi chioschi stabili di cocomerari, anche se ne è rimasto solo uno tanto antico. Diciamo che i chioschi di cocomerari più conosciuti di Roma sono quasi tutti nati verso gli anni ’60. Che poi è in quel periodo che mi piace immaginarli, in un’atmosfera smaccatamente pasoliniana.

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Il banchetto di LiTon a Porta Metronia. Immancabili le lucine.

Ma iniziamo il nostro tour, che ha presentato subito due problemi. Primo: in quali cocomerari andare? Ce ne sono alcuni che si conoscono solo se sei di zona. Secondo: come possiamo reperire le informazioni basilari su questi posti? Perché in questo caso internet è veramente poco d’aiuto: nemmeno Google registra sulle mappe “Vito er Cocommeraro”, figurarsi se ci sonogli orari.

Quindi abbiamo deciso di andare subito in uno dei più famosi, da “Zeppetto” sulla Tiburtina, incastonato tra un Euronics e un Eurospin. Ed è partita malissimo, perché il chiosco dove sempre trovavi famiglie romane sedute a chiacchierare in mutande intente a mangiare le fette di cocomero più grosse di Roma, era triste e buio. Avevo sentito dire che probabilmente non gli sarebbe stata rinnovata la licenza dal Comune di Roma, ma pensavo si fosse risolta. E invece il nostro tour è iniziato con la scoperta della scomparsa di uno dei punti di ritrovo più storici: aveva 46 anni. E in parte è anche per questo motivo che ho deciso di fare questo tour: perché i cocomerari di Roma stanno sparendo alla velocità della luce.

Ne sono rimasti più o meno sei in tutto (ma se ne conoscete altri scrivetecelo)

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LiTon, ci serve la prima fetta di cocomero del tour.

Un po’ scoraggiati abbiamo girato la macchina in direzione Porta Metronia. Qui, di fronte alla rotonda che porta verso il centro e dall’altra parte nel quartiere dell’Appio Latino, c’è un cocomeraro che non ho mai visto chiuso. Dietro il banco frigo, in uno spiazzo fatto di lucine appese agli alberi, sedie e tavoli di plastica, c’era LiTon, un uomo bengalese che gestisce il chiosco da cinque anni, dopo la morte del signor Nicola, che l’ha tenuto per 45 anni. Il posto è passato ai figli e i figli avranno detto: manco morti scarichiamo e vendiamo cocomeri tutta la notte. E quindi LiTon se l’è affittato felicemente.

La fetta di cocomero di Latina era succosa e zuccherina, alla giusta cifra di 1 euro, bacinella d’acqua per sciacquarsi le mani compresa.

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Il cocomero di LiTon viene da Latina ed è buono.
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Pischelli in coda per la fetta di cocomero.

LiTon non aveva molto da raccontarmi: resta aperto i tre mesi estivi e poi vende frutta ambulante il resto dell’anno. La cosa interessante qui erano le persone sedute. Questo chiosco è praticamente il ritrovo di pischelli, pischelle, adulti e anziani della zona, che si siedono e non si alzano fino a notte fonda e chiacchierano e fumano e mangiano cocomeri rossi. “Veniamo qui da quando siamo piccoli, ogni estate”, mi dicono Mattia, Marco, Mattia e Matteo, che non avranno avuto più di 20 anni.

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Mattia, Marco, Mattia e Matteo.

Le persone più anziane dicono “ehh, ai tempi miei il cocomeraro era il modo di passare le serate, ora i giovani vogliono bere, sballarsi.” E invece, signori anziani, stavolta tocca che vi smentiamo. In parte. Scusate, anziani, non volevo. “Se vieni il venerdì e il sabato qui c’è la coda che invade la strada,” mi dicono i ragazzi. Li saluto e ripartiamo.

“Ao regazzì, nun me rompe le scatole che devo lavora i cocommeri, eh”

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Vito Er Trasteverino è uno dei cocomerari più antichi.

Se dici cocomeraro a Roma, dici quello sull’Aurelia. Quello sull’Aurelia, strada di scorrimento, è “Vito er Trasteverino, dove er cocomero è sopraffino.” Nonostante sia ben lontano da Trastevere, questo chiosco spartano, fatto di un banco frigo e una cassa di cocomeri interi, mantiene il suo animo trasteverino, che per chi non lo sa significa essere romani veri. Qui, a gestirlo, ci sono Claudio, Sonia, Ivan e don Alfonso. La leggenda del posto.

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Don Alfonso e la signora Sonia.

Dopo aver preso la mia bella fetta di cocomero a 1 euro, ho cominciato ad aggirarmi sospetto e a fare domande strane. In stile guardia. Tipo: “Da quanto ce l’avete questo posto?” “Mi dica come fa a sopravvivere l’inverno.” “Perché il bicchiere di cocomero tagliato costa di più?” E mentre mi rispondevano un po’ reticenti ho cominciato a passeggiare dietro il bancone per guardare i vecchi articoli di giornale e importunarli. Tutto fino a quando don Alfonso non mi ha detto “Ao regazzì, nun me rompe le scatole che devo lavora i cocommeri, eh.” Il primo banchetto di Vito era effettivamente a Trastevere e animava la Festa de Noantri, la processione della Madonna più famosa di Roma.

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Foto d’epoca. In alto a destra una trionfale piramide di cocomeri antichi.
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I coltelli. Immancabili, per mangiare educatamente il cocomero in strada.

Come spesso accade coi personaggi leggendari di Roma, o semplicemente con le persone ancora anziane di queste parti, all’inizio vorrebbero accoltellarti pur di essere lasciati in pace. Poi ti danno l’indirizzo di casa. Ed è così che don Alfonso ha iniziato a raccontare, dopo la bella strigliata. “Facciamo i cocomerari da 4 generazioni. Da 60 anni. Io c’ho 70 anni e faccio praticamente sto lavoro da 78 (ridacchia). Abbiamo aperto che c’erano i campi qui e altre cose che non si possono dire, che ci sono le signore. E non solo sono romano, sono trasteverino (che ti da di diritto il certificato di romano più romano che esista, ndr.) e abito a Viale dei Romanisti.” Il cocomero da Vito er Trasteverino era buono, veniva dalla Sicilia, perché per loro quella è la prima scelta. Davanti c’erano mazzi di coltelli di metallo da usare per tagliare il cocomero a quadratini ed è forse l’unico cocomeraro che rimane aperto tutto il giorno e non solo la sera.

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Don Alfonso.

Abbiamo salutato il signor Alfonso, signore vero con anello d’oro e unghia del mignolo lunga per far vedere che non fa un lavoro di fatica e la sua famiglia -un pezzo di storia della città, che ha visto i figli e i figli dei figli dei clienti- e ci siamo avviati. O ci abbiamo provato, visto che un ragazzo ci ha fermati dicendoci che ci aveva riconosciuti per il tour dei supplì e che ha seguito la nostra mappa. Essere riconosciuti perché ti sei spappolato il fegato di supplì è una soddisfazione mica da niente. Vieni qui, Riccardo, facciamoci una foto.

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Riccardo, fan dei tour di Munchies.

Terza tappa, quella da cui ha avuto origine tutto: Pasquale sulla Portuense. Se la prima volta era gremito di ragazzi usciti da una serata, stavolta, all’1.30 di mattina, era piuttosto vuoto. Il chiosco di Pasquale è il più grande di Roma. Ci sono montagne di cocomeri, frutta, verdura e il frigo con cocomero tagliato, cocomero in fette, macedonie, cocco e fragole con la cioccolata. Quando arrivi il cartello “Cocomeri di Latina, Sapore Garantito” ti accoglie caldo. Così come lo slogan “Se trova solo da Pasquale er Cocommero speciale”. E se i cartelli sono accoglienti e le luci pure, Pasquale lo era un pochino meno.

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Pasquale cocomeri roma
Pasquale vende anche frutta ricoperta di cioccolata

Dopo aver chiesto la consueta fetta di cocomero, che mi avrebbe di lì a poco fatto gonfiare la pancia come un tonno gravido, ho provato a instaurare un dialogo. “No, guarda, niente foto, non dico niente.” Quello che ho capito è che i cocomerari, a differenza dei grattachecari, sono persone piuttosto schive. Ma nemmeno due parole sul suo chiosco mi sembrava esagerato. “Non voglio apparire, non voglio essere al centro dell’attenzione, non me ne frega niente,” mi diceva Pasquale. E io cercavo di capire il perché. Scava e scava e salta fuori che lui, come tanti altri, è incazzato con l’amministrazione comunale. Pensa che vogliano farli chiudere come quando hanno tolto le carrozze in centro (che poi stanno ancora là). Non capivo il perché e un amico mi ha detto che la sindaca voleva abolire i chioschetti ambulanti e solitari lungo le strade per accorparli in mercati o agglomerati.

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Il cocomero di Pasquale. Terza fetta della serata.

Quello però che Pasquale ha e gli altri no, oltre a un cocomero buonissimo, è l’attenzione all’ambiente. Nel suo piccolo ti chiede di strappare solo un foglio di scottex per asciugarti le mani e i secchioni dell’immondizia sono divisi chiaramente.

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La raccolta differenziata da Pasquale è cosa seria.

“Certo, ci tengo moltissimo, penso sia importante rispettare l’ambiente.” Ultimo morso, ormai anche la luna sembrava una fetta di cocomero, una tappa fallita perché il posto era chiuso e tutti a casa. A fare una quantità di pipì da spavento.”

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Quarta tappa: da Izaz a Cinecittà. Ci sono anche delle sedie nel parco secco.

Il giorno dopo mi sono vestito come quella sera, sperando di ingannarvi dicendo che ho fatto una giornata filata. Ma non mi va di ingannarvi, era un altro giorno, anche se con un gran caldo, quindi estremo lo stesso. La prima tappa era a Cinecittà, quello che era già chiuso la sera prima. Una tenda sperduta su un viale, due uomini romani che tagliavano le loro fette con il coltello e Izaz, ragazzo eritreo che col coltello è veramente forte.

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Izaz, che è veramente forte col coltello.
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Ha anche l’acqua per sciacquarsi le mani.

Lo guardavo ipnotizzato tagliare perfettamente la frutta per le macedonie fatte al momento. “Il banchetto qui non è mio, sono un operaio. Lo faccio da tre anni e il resto dell’anno vendo frutta al mercato”, mi racconta. Che poi è quello che fanno un po’ tutti. Prendo la mia fetta e mi siedo su una sedia in mezzo al parco ormai secco. Mi sciacquo le mani e ripartiamo verso Centocelle dove, però, anche stavolta troviamo solo il nulla. E un altro cocomeraro ci ha lasciati.

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La banda del cocomero: Giorgio (sinistra) e Shiro (destra).

Senza scoraggiarsi ci dirigiamo sulla Tuscolana, dove Andrea si ricorda di un chiosco. E, finalmente, troviamo quello che cerchiamo. Dei ragazzi di massimo 30 anni, ciociari, che non hanno ereditato il banchetto, ma l’hanno preso da un bengalese. “Abbiamo fatto il contrario, di solito loro si prendono quello che gli italiani non vogliono più.” Shiro e Giorgio sono due fratelli che ogni mattina si incollano decine di angurie dalla Ciociaria e vengono a venderle a Roma.

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Il cocomero di Shiro e Giorgio era davvero buono. Siamo alla sesta fetta.

“Non abbiamo nemmeno una famiglia di cocomerari, abbiamo un banchetto di pizzicaroli e di intimo.” Sono giovani, lavorano sodo, si sono fatti le maglie tipo Banda Bassotti con scritto “La Banda del Cocomero” e hanno il miglior cocomero sulla piazza.

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La maglia che voglio a tutti i costi.

“Un cocomero ci costa circa 10 euro di prima scelta. Quest’anno con le piogge di Maggio è stato un disastro. E poi mettici la burocrazia, che non sai quanto cazzo è complicata per un banchetto di cocomeri di tre mesi,” mi dice Shiro. Che poi potrebbe essere uno dei motivi perché tanti chiudono. Mangio il mio cocomero, mi ficco sul loro camion per fare una foto sdraiato un po’ Paolina Borghese, un po’ Mowgli e mi dirigo all’ultima tappa, stavolta solo.

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Ultimo, ma non per importanza, il cocomeraro di Ponte Milvio. Inciso: detesto Ponte Milvio, un angolo di Roma fatto di locali snob e gente snob e il fantasma di Moccia che aleggia con i suoi lucchetti tanto smielati che li hanno fatti togliere. Comunque, qui, in questo scenario fighetto, ma esteticamente bello, c’è il chiosco di cocomeri più antico di Roma, “Dar Pistola”.

“Uscire per prendere una fetta di cocomero sta culturalmante finendo, ora i ragazzi preferiscono una birra”

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Romani che mangiano cocomero a merenda. Classic.

Oltre ad essere una struttura in ferro battuto compresa di bagno, mentre gli altri sono tende o baracchini temporanei, è anche l’unico a non vendere le fette di cocomero, ma solo il bicchiere. Allora, il cocomero si acquista o in fette da 1 euro o qualcosa in più o in bicchieri con la frutta già tagliata. E il costo raddoppia, è un servizio. Qui hanno solo il bicchiere a 3 euro. Il posto è del 1926, anche se la famiglia del Pistola lo possiede solo dal 1978. Però fin dal 1926 è stato un cocomeraro. Oggi vende cocomeri, ma durante l’inverno è una frutteria come tante.

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“Vendiamo tutta la frutta, ma siamo famosi per il nostro cocomero,” mi dice Francesco. “Uscire per prendere una fetta di cocomero sta culturalmante finendo, ora i ragazzi preferiscono una birra. E con il Movimento 5 Stelle ci sono molti più controlli, considera che io ho tutto a norma, ma il 99% dei cocomerari sono abusivi o non emettono scontrino.” Dar Pistola è famoso anche per accogliere personalità di spicco che, evidentemente, abitano da quelle parti. “Da qui ci sono passati tutti, da Bonolis ad Antonella Elia a Renato Zero. Renato viene solo qui, ormai è uno di famiglia.”

“E perché tuo padre lo chiamavano Er Pistola?”

“Non l’abbiamo mai scoperto. L’ha tenuto segreto per sempre.”

Regalo il cocomero a dei ragazzi seduti sul ponte, guardo sfilare piccole fan accompagnate dalle madri, tutte con la maglia di Ultimo e me ne vado tra il sole e il sorriso di un altro tour finito senza essere morto. E una fame della madonna, perché quel coso, per quanto ne mangi, non ti riempie.

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I cocomerari sono un’istituzione silente di Roma. Luoghi scevri da quasi ogni tipo di turista, dove sopravvive una tradizione causa effetto straordinaria: ho caldo, ti do un soldo, mi rinfreschi con un frutto che cresce a 10 km. Sono luoghi popolarissimi, dove incontrare le persone e i personaggi più veri della città, dalla famiglia di borgata a queste leggende che continuano a passare le proprie notti felici di servire un po’ di freschezza alle persone impazzite dal caldo.

La prima fetta è stata la prima dell’estate. In un attimo ne ho mangiato così tanto che ho cominciato a diventare rosso. E al posto dei brufoli mi sono cresciuti semini neri su tutto il corpo. “Taja, che è rosso! Addorciteve la bocca!”, strillavano i cocomerari.

Ora non lo strillano più, ma la bocca addorcitevela lo stesso.

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