Música

Tutto quello che non sapevi sulla colonna sonora di Shining

I film di Stanley Kubrick, a partire da 2001: Odissea nello spazio del 1968, sono sempre stati caratterizzati da un approccio innovativo nell’uso della musica. Dotando di nuovi valori e significati le pagine musicali preesistenti, Kubrick le decontestualizza dal loro fine originario e se ne appropria. I suoi testi sonori sono quindi risultato di esperimenti e innovazioni sonore in cui convivono cultura pop e musica colta. Tuttavia, nonostante gli standard già raggiunti nel 1975 con Barry Lyndon, Shining è un esempio raramente eguagliato nella sua produzione sia di sofisticata interazione di musica e immagini che di musica come mezzo per ottenere fini contestuali, di caratterizzazione e narrativi.

L’uso quasi esclusivo di musica preesistente non solo lo distingue da molti altri lavori contemporanei e successivi nel genere horror ma solleva anche questioni importanti riguardanti l’estetica concettuale e costruttiva di Kubrick e la sua cruciale collaborazione con il music editor Gordon Stainforth, nelle vesti di un primitivo sound designer.

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Alla fine degli anni Settanta Kubrick, dopo i deludenti risultati di Barry Lyndon (dovuti in parte all’enorme successo de L’esorcista, film per cui era stato inizialmente selezionato per la regia) decide di affrontare l’horror, un genere popolare che per tradizione non si voleva appropriato all’espressione d’autore. L’horror, più di altri modelli cinematografici, si alimenta di convenzioni e luoghi comuni e la musica con cui viene accompagnato non fa eccezione, identificandosi con formule sinfoniche fragorose ed apocalittiche che si rifanno ad una tradizione letteraria gotica, potenziale unico nella produzione e amplificazione delle paure.

In questo periodo storico sono principalmente tre gli stili musicali più utilizzati per le colonne sonore horror. L’elettronica, di cui è profeta John Carpenter; la musica di matrice colta contemporanea, già utilizzata con grandissimi risultati ne L’esorcista; e la manipolazione di cori liturgici rivisitati in chiave sperimentale novecentesca, che nel 1976 valse al compositore Jerry Goldsmith il premio oscar per Il presagio. Kubrick, alla luce della sua già rodata poetica sonora, decide di usufruire di tutte e tre le formule.

Assoldate la navigata manipolatrice elettronica Wendy Carlos e la musicista classica Rachel Elkind per la realizzazione della colonna sonora, Kubrick inizia a selezionare una raccolta di brani contemporanei di linguaggio avanzato: il lugubre e angosciante “Musica per archi, percussioni e celesta” del compositore ungherese Béla Bartòk ed alcuni ballabili degli anni Venti e Trenta, per esempio. L’intento è quello di demonizzare il novecento musicale, estraendone i succhi più intossicati. Non a caso la stessa Wendy Carlos dichiarerà di essersi musicalmente ispirata per la stesura dei titoli di testa (“The Shining”) al quinto movimento della “Sinfonia Fantastica” del compositore romantico francese Hector Berlioz, fondato su una parodia del Dies Irae, inno gregoriano legato alla celebrazione dei defunti. Oltre che in “The Shining”, anche in “Rocky Mountains” si manifestano gli angosciosi vocalizzi manipolati della Elkind, seguiti da interminabili gruppi di note adiacenti (i cosiddetti cluster) e glissati elettronici discendenti che accompagnano la famiglia Torrance verso l’Overlook Hotel, prefigurandone la caduta verso l’abisso.

Ad integrazione di queste, il regista seleziona tre ballabili di epoca fitzgeraldiana come portavoce impassibili ed incolpevoli di ciò che dimora all’interno dell’Overlook Hotel. Nella loro distratta ed innocente spensieratezza, questi ballabili two-step si caricano di un senso d’orrore ancora più palpabile rispetto alle realtà sintetiche di Wendy Carlos, collegandosi indissolubilmente ad alcuni momenti topici del film, tra cui il dialogo nella toilette rossa tra Jack Torrance e Grady, ed evocando con lugubre immediatezza il popolo sepolcrale dell’Overlook. “Midnight, the Stars and You” di Ray Noble, invece, si collegherà per sempre al carrello conclusivo sulla fotografia del veglione del 4 luglio del 1921.

Anche i titoli stessi manifestano elementi allusivi alla sceneggiatura: basti pensare a “It’s All Forgotten Now” e al modo in cui contrappunta lo scambio verbale tra Jack Torrance e Grady che gli ricorda di essere lui, da sempre, il custode dell’Hotel; e subito, quasi a voler confermare la raggelante rivelazione, echeggia “Home”, accogliendo di nuovo Jack all’interno della sua vera casa, l’Hotel, dal quale malgrado le apparenze non si è mai allontanato.

Così come la forma narrativa del film riprende l’essenza fisica e simbolica del labirinto, suo elemento cardine all’interno del film, anche la musica riproduce la struttura vertiginosa ed irrisolvibile dell’Overlook Hotel mediante amputazioni, manipolazioni e ricombinazioni.


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Kubrick sapeva fin dagli inizi della stesura della colonna sonora che avrebbe utilizzato musiche di compositori come Penderecki, Bartók e Ligeti. Per questo, appena sei settimane prima dall’uscita di Shining, diede a Gordon Stainforth, music editor del film, una grande quantità di registrazioni da poter iniziare a manipolare. Il tutto ammontava a circa cinquanta ore totali. L’elemento che più affascinava Kubrick di queste composizioni era il modello espressivo potentemente emotivo, l’impressione dell’ignoto, del metafisico e del trascendentale.

In accordo con l’estetica dell’eccesso, con cui Kubrick desiderava raccontare il lungometraggio, Stainforth riconobbe ed intuì che la musica doveva essere per forza sopra le righe. Qualcosa di meno non sarebbe stata fedele alla qualità maniacale che sottosta al film. Per questo lavorò giorno e notte per creare un unico spartito sovrapponendo non solo più brani ad unica scena ma anche sincronizzando i determinati accenti musicali con rumori ambientali—ad esempio i colpi d’ascia che Jack impartisce alla porta del bagno dov’è nascosta Wendy o le ruote del triciclo di Danny sui tappeti della Colorado Lounge.

Nel procedimento musicale di Stainforth sono sotto-insiemi, suoni ambientali o parole che vengono ricombinati liberamente in nuove frasi di senso compiuto, così da alternarne sensibilmente il lato orrifico. Questo procedimento è riscontrabile nelle tre scene che racchiudono l’epilogo del film.

La scorribanda di Danny sul triciclo nella Colorado Lounge, che alterna il rumore sordo delle ruote sui tappeti a quello più secco del parquet, mette in risalto l’alternarsi dei due stati di coscienza che convivono all’interno del film. Da un lato lo shining, elemento soprannaturale che mostra gli avvenimenti più occulti ed irriconoscibili, e dall’altro una realtà percettiva ovattata.

Dal momento in cui Wendy impugna la mazza da baseball e si precipita alla ricerca di Jack, ormai impazzito, ogni suo movimento viene scandito dalla musica diegetica che arriva dal cartoon Wile E. Coyote e Beep Beep, fino ad esplodere in un unico supertesto musicale composto da alcune sezioni di composizioni del polacco Krzysztof Penderecki: “Polymorphia”, “Utrenja”, “The Dream Of Jacob”, “De natura sonoris n.1” e “De natura sonoris n. 2”. Ed infine la scena conclusiva del labirinto, dove ogni elemento musicale si ricongiunge al suo stato embrionale, fondendosi con le urla di dolore e pazzia di Jack.

Il lavoro rumoristico e sintetico di Wendy Carlos merita sicuramente una nota di riguardo. Come non ricordare l’inquietante, assordante ticchettio della macchina da scrivere di Jack, chiaro segnale di isolamento e pazzia? O lo stesso shining di Danny, rappresentato da un sibilo penetrante, dimostrazione di un elemento soprannaturale avvertibile da pochi? I suoni, dapprima vaghi, diventano protagonisti simbolici di quell’universo maligno che Kubrick costruisce a sua immagine e somiglianza.

Parte del significato storico, estetico e tecnico di questo film, compresa la sua colonna sonora, risiede nelle numerose chiavi interpretative e misteriose che ha generato. È proprio la natura degli impulsi creativi di Kubrick, che incoraggia lo spettatore all’auto esame e al ri-orientamento percettivo tramite trame temporali che coesistono. Nel caso di Shining ci si interroga sui lati nascosti del terrore umano e ci si spinge verso qualcosa di sconosciuto, qualcosa che non osiamo guardare: il terrore di se e degli inquietanti percorsi dell’animo umano.

Al centro del labirinto non giace il minotauro, ma stiamo noi stessi. Da questa prospettiva, il mondo sonoro agisce e si muove in modi molto differenti, dimostrando quanto il potere dell’identità umana sia perennemente conteso tra il sublime ed il mostruoso.

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